Facebook: dal decreto di sequestro preventivo all’oscuramento della pagina diffamatoria
Giudice per le indagini preliminari, Tribunale di Reggio Emilia, Angela Barardi, decreto 8 marzo 2016
Fumus boni iuris riscontrabile in relazione a reati di diffamazione aggravata e minacce, nonché pericolo del protrarsi dell’offesa alla reputazione della persona offesa, in quanto altri individui potrebbero accedere alla pagina e al gruppo Facebook contenenti le prolazioni incriminate.
Sulla scorta di tali due requisiti, il GIP avanti il Tribunale di Reggio Emilia, dott.ssa Angela Barardi, in data 8 marzo 2016 ha disposto il sequestro preventivo di una pagina e un gruppo chiuso di Facebook (la prima aperta, ossia accessibile a tutti gli iscritti al social network creato da Mark Zuckerberg; il secondo chiuso, nel quale solo gli amministratori o gli altri membri del gruppo possono autorizzare l’accesso ad altri soggetti). Ma la risposta arrivata dal social network non è stata totalmente conforme alle richieste dell’Autorità Giudiziaria del nostro Paese.
Affidata l’esecuzione del provvedimento di sequestro preventivo al Sostituto Procuratore di Reggio Emilia, Maria Rita Pantani, la stessa si è prontamente prodigata a inviare a Facebook copia dell’ordinanza del GIP tramite il portale appositamente dedicato alle forze dell’ordine, intrattenendo una fitta corrispondenza elettronica col magistrato di collegamento presso l’Ambasciata americana, oltre a numerose telefonate con il responsabile londinese del celebre social.
In data 25 marzo, la prima risposta ufficiale di Facebook è stato un completo rigetto al richiesto oscuramento («rejected»), successivamente è stato cancellato il post diffamatorio e minaccioso e, infine, il 4 aprile, a seguito di nuove pressioni del Pubblico Ministero titolare delle indagini, è stata oscurata la pagina pubblica “Musulmani d’Italia”, mentre risulta ancora online il gruppo chiuso.
Si pone, così, con prepotenza ancora una volta la questione relativa all’esecuzione di provvedimenti giudiziari da parte di società estere e in particolar modo relativi all’accesso o – come in questo caso – all’oscuramento di dati presenti sul web o contenuti in dispositivi elettronici. Basti citare l’eclatante caso del fermo da parte della polizia federale in Brasile di Diego Dzodan, vice President Latin America di Facebook, disposto da un giudice a causa della mancata collaborazione nell’acquisizione di messaggi di Whatsapp (società acquistata nel 2014 dal gruppo facente capo a Zuckerberg) nel corso di un’indagine sul narcotraffico.
Oppure si pensi a un altro caso nostrano, che ha visto, invece, pienamente rispettati i dettami dell’Autorità Giudiziaria italiana: si tratta dell’oscuramento, disposto su esecuzione del PM della Procura di Roma, Eugenio Albamonte, di una pagina Facebook e di alcuni profili utilizzati, a detta del GIP, esclusivamente per perpetrare una serie di continue diffamazioni a carico di una giornalista di Repubblica.
Veniamo ora, infine, al merito del decreto di sequestro preventivo emesso dal GIP di Reggio Emilia, qui allegato. Il magistrato reggiano ha dato, innanzitutto, atto dello svolgimento delle opportune indagini preliminari che hanno portato all’identificazione di un primo commento incriminato, pubblicato sulla pagina Facebook “Musulmani d’Italia – comunità”, seguito da una foto della persona offesa – estrapolata dal profilo Twitter – e, successivamente, la pubblicazione di un post delittuoso sul gruppo “Musulmani d’Italia-gruppo chiuso” (indicandone i rispettivi ID), a seguito dei quali, data la natura “aperta” della prima pagina e il nutrito numero di profili iscritti al gruppo chiuso, vi erano stati a numerosissimi commenti da parte di altri utenti.
Le cose pertinenti al reato di cui all’art.321 c.p.p., rispetto alle quali il Giudice ha ritenuto sussistente il pericolo di aggravamento o protrazione delle conseguenze del reato ovvero agevolazione della commissione d’altri reati, sono state individuate nella pagina e nel gruppo di Facebook, la cui stessa natura e la facile accessibilità avrebbero potuto cagionare una maggior lesione alla reputazione della persona offesa, non ritenendo sufficiente la mera rimozione dei post e dei commenti incriminati.
Chiarita la ammissibilità del sequestro preventivo mediante oscuramento della pagina web (si veda la sentenza della Cassazione S.U. 17.7.2015, n.31022, commentata da questa Rivista da Ortolani e Scapin) e la natura di pagina web dei gruppi Facebook, il Gip ha ritenuto di disporre l’oscuramento: “imponendo al fornitore dei servizi internet, anche in via d’urgenza, di oscurare una risorsa elettronica o di impedirne l’accesso agli utenti ai sensi degli artt. 14, 15 e 16 del D.Lgs. 9 aprile 2003, n. 70, in quanto la equiparazione dei dati informatici alle cose in senso giuridico consente di inibire la disponibilità delle informazioni in rete e di impedire la protrazione delle conseguenze dannose del reato”.