ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PROCESSUALE PENALEImpugnazioni

La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello (Tesi di laurea)

Prof. relatore: Dario Grosso

Anno accademico: 2014/2015

Ateneo: Università degli Studi di Napoli Federico II

Questo lavoro si propone di forinire un contributo alla conoscenza del sistema giuridico processualpenalistico nel suo attuale e concreto modo di funzionare. L’elaborato si concentra su tema avente importanza preminente per due motivi principali: in primis poiché riteniamo che l’istruzione in fase di appello si presenti come la “chiave di lettura privilegiata per chi si riproponga di ricostruire la vocazione funzionale del giudizio di secondo grado” come sottolinea puntualmente Francesco Peroni; in secundis perché di fronte ad una prassi europea che si presta ad una “pressione osmotica” sempre più frequente nei confronti degli ordinamenti nazionali non è possibile voltare lo sguardo altrove.

L’inadeguatezza del nostro sistema si è difatti già palesata numerose volte dinanzi ad una giurisprudenza della Corte europea dei Diritti dell’Uomo che pare inconfondibilmente indirizzata verso un processo penale ove le garanzie per l’imputato siano non solo facilmente individuabili ma anche effettive. E questo affinché i singoli ordinamenti della c.d. “Grande Europa” si possano non semplicemente adeguare, ma anche pienamente identificare in un insieme di condivise garanzie processuali; nonché in quella che si presume debba essere una matrice comune per perpetuare il “giusto processo”.

L’elaborazione deve necessariamente partire da una disamina storica di quale sia stata l’evoluzione dell’istituto della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello nel nostro ordinamento attraverso le diverse impostazioni culturali e politiche fornite da i tre corpus normativi che hanno preceduto il codice attualmente in vigore; giungendo, così, fino al progetto incompiuto della legge delega del 1978. Con il codice Vassalli del 1988 l’intera disciplina del dibattimento in secondo grado verrà sintetizzata in un unico articolo, la cui rubrica recita: “Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale”, ed è la parte successiva all’excursus storico, a porsi l’obiettivo di analizzare le ipotesi di rinnovazione disciplinate dai primi tre commi, rinviando, per scopi analitici, al capitolo successivo la trattazione di altre fattispecie rinnovatorie importanti ed altrettanto controverse.

L’approfondimento normativo rappresenterà, però, solo uno snodo, seppur fondamentale, della trattazione in questione. E questo poiché, oggetto di attenta analisi critica saranno sopratutto le posizioni giurisprudenziali, ora oscillanti ora consolidate da tempo, che devono inevitabilmente fare i conti con la normativa sovranazionale, nonché con gli innovativi orientamenti dei giudici di Strasburgo, che più di una volta, del resto, si sono mostrati fonte di ispirazione per le nostre corti e per il nostro legislatore.

L’opzione ermeneneutica inaugurata con la ormai già celebre pronuncia Dan c. Moldavia è stata, difatti, ulteriormente ribadita e rifinita con sentenze successive che, ponendosi nel medesimo solco interpretativo, mostrano l’inadeguatezza di taluni istituti – anche a causa delle soluzioni esegetiche di volta in volta fornite – o addirittura di un intero sistema giuridico, in punto di garanzie per l’imputato. Ed è grazie a tale giurisprudenza che, prendendo come riferimento il prototipo della rinnovazione disegnato dalla Corte EDU, saggeremo, ove possibile, di fornire una lettura del nostro istituto che sia non più solo convenzionalmente orientata ma, allo stato attuale, anche costituzionalmente ispirata, in virtù delle innovazione apportate al nostro sistema giuridico negli ultimi decenni.