Sul “considerevole numero” di “gravi frodi all’IVA” di cui andrebbe impedita la prescrizione: esercizi definitori attorno alla sentenza Taricco
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 11 – ISSN 2499-846X
Cassazione Penale, Sez. III, 24 ottobre 2016 (ud. 7 giugno), n. 44584
Presidente Fiale, Relatore Andronio, Ricorrente Puteo + al.
In attesa che la Corte costituzionale si pronunci, all’udienza prevista per il prossimo 23 novembre, sulle plurime questioni di legittimità costituzionale (di cui dette conto la nostra Rivista) che le sono state rimesse con riferimento all’art. 2 della legge 2 agosto 2008, n. 130, nella parte in cui, ordinando l’esecuzione del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, apre la porta ad una disapplicazione discrezionale, da parte del giudice interno, di norme penali sostanziali di favore, come invocato dalla sentenza Taricco della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (causa C‑105/14), sul tema è tornata a pronunciarsi la Corte di Cassazione.
Infatti, nel dichiarare la prescrizione dei reati tributari oggetto del processo, la Suprema Corte ha ritenuto di dover previamente verificare (con esito negativo) se la fattispecie concreta integrasse i presupposti individuati dalla Taricco per la disapplicazione del diritto interno, ossia: 1) che il procedimento penale abbia ad oggetto “frodi gravi” in materia di IVA, e 2) che l’applicazione delle norme interne sulla prescrizione comporti l’ineffettività della sanzione penale in un “numero considerevole di casi”.
Preliminarmente, la Corte di legittimità ha chiarito che il concetto di frode qui rilevante non sarebbe solo quello desumibile da norme del nostro ordinamento penale che espressamente tipizzino la fraudolenza quale connotato della condotta (si pensi, per esempio, al delitto di dichiarazione fraudolenta ex art. 2, d.lgs. 74/2000), ma quello di qualunque fattispecie che, pur non connotandosi espressamente come fraudolenta, sia diretta all’evasione dell’IVA. Dovrebbe infatti avvalorarsi, in tal senso, la definizione di “frode” elaborata nell’ordinamento sovranazionale sia dall’art. 325 TFUE (che invoca la lotta degli Stati membri contro “la frode e le altre attività illegali” che ledano gli interessi finanziari dell’Unione) che dall’art. 1 della Convenzione PIF (secondo la cui definizione, frode è “qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa (…) all’utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua la diminuzione illegittima di risorse del bilancio generale [dell’Unione] o dei bilanci gestiti [dall’Unione]”).
1) Quanto al concetto di gravità della frode stessa, la Suprema Corte ha affermato doversi dare rilievo alla “quantità dell’imposta evasa” e alle “modalità attraverso le quali la frode è stata posta in essere”, precisando che il superamento della soglia di punibilità prevista nell’ordinamento interno non potrebbe necessariamente comportare un giudizio di gravità, ma che piuttosto quest’ultimo andrebbe desunto mediante i criteri dettati dall’art. 133 c.p. per la determinazione della gravità del reato: dunque, non solo la gravità del danno o del pericolo cagionato (n. 2), ma anche la natura, la specie, i mezzi, l’oggetto, il tempo, il luogo o comunque le modalità dell’azione (n. 1), oltre all’elemento soggettivo (n. 3). In sintesi, ad avviso della Corte, sarebbe indubbiamente grave una frode consistente nell’evasione di un ingente ammontare di imposta sul valore aggiunto, ma anche l’evasione di un importo contenuto potrebbe integrare il requisito di gravità a fronte della verifica di specifiche modalità dell’azione che la rendano insidiosa (esemplificativamente, secondo la Corte: l’organizzazione posta in essere, la partecipazione di più soggetti al fatto, l’utilizzo di società “cartiere”, la sistematicità delle operazioni fraudolente e la loro reiterazione nel tempo).
2) Riguardo, invece, al requisito per cui l’applicazione delle norme sulla prescrizione minacci il perseguimento di un numero considerevole di casi di frode grave, la Cassazione ha affermato che esso non potrebbe interpretarsi in senso generale ed astratto, ossia riferendolo alla “integralità dei procedimenti pendenti dinnanzi alle autorità giudiziarie italiane”, in quanto ciò implicherebbe una valutazione di natura statistica, basata per di più su dati che fuoriescono dall’orizzonte conoscitivo del giudice, che è quello dei fatti di causa e delle norme ad essi applicabili. Andrebbe invece operata una applicazione del requisito in concreto, calandolo sulla singola vicenda giudiziaria: il giudice dovrebbe, pertanto, considerare il numero di episodi di frode oggetto del singolo procedimento penale, eventualmente sommandolo con quello delle frodi oggetto di procedimenti connessi. Il giudice potrebbe comunque riservarsi di ritenere raggiunto il requisito di fronte ad una singola frode, purché questa sia di “rilevantissima gravità”.
Nonostante sia apprezzabile lo sforzo definitorio della nostra Suprema Corte attorno a requisiti che la sentenza Taricco ha dettato lasciandoli, peraltro, del tutto nebulosi, rimane insopprimibile l’osservazione che questo esercizio di fantasia ha ad oggetto qualcosa su cui la creatività del giudice non è – nel nostro ordinamento – ammessa, ossia la decisione sulla disapplicazione o meno di norme penali sostanziali di favore a danno dell’imputato.
Decisione che, oltretutto, nonostante questo tentativo della Corte di fissarne i parametri, continua a muoversi su un terreno del tutto incerto: non è dato capire, infatti, a partire da quanti casi di frode il loro numero dovrebbe ritenersi “considerevole”, e tantomeno è chiaro quale sia la reale autonomia giuridica di questo secondo requisito dettato dalla Taricco, se è vero – come sostenuto dalla sentenza in commento – che anche una singola frode potrebbe da sola soddisfare il requisito del “considerevole numero”, e giustificare la disapplicazione, purché bella grossa.
Requisiti insomma che, nonostante i tentativi di definizione, rimangono assai incerti e, addirittura, apparentemente suscettibili di ridursi ad un unico reale requisito che sarebbe quello di gravità della frode. E, dal momento che sono in gioco diritti soggettivi fondamentali dell’imputato, tra cui quello a non vedersi disapplicare arbitrariamente e retroattivamente una norma penale sostanziale di favore, la soluzione più commendevole sembra quella di attendere che sulla problematica si pronunci – si spera in modo chiaro e definitivo, e non pregiudicato da questioni di natura formale – la Corte costituzionale.
Come citare il contributo in una bibliografia:
R. Lucev, Sul “considerevole numero” di “gravi frodi all’IVA” di cui andrebbe impedita la prescrizione: esercizi definitori attorno alla sentenza Taricco, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 11