ARTICOLIDIRITTO PENALE

Il reato di bancarotta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto

Cassazione Penale, Sez. V, 7 aprile 2017 (ud. 24 marzo 2017), n. 17819
Presidente Nappi, Relatore Vessichelli

Con la pronuncia che si segnala, la quinta Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che il reato di bancarotta patrimoniale prefallimentare è un reato di pericolo concreto, nel senso che l’atto di depauperamento deve risultare idoneo ad esporre a pericolo l’entità del patrimonio della società in relazione agli interessi della massa dei creditori e deve permanere tale fino all’epoca che precede l’ apertura della procedura fallimentare.

Se di regola «la configurabilità di uno stretto rapporto cronologico tra l’atto dispositivo che diminuisce la garanzia dei creditori della futura procedura consorsuale e gli evidenti segnali o indicatori di quest’ultima (crisi di impresa, insolvenza o dissesto) rende particolarmente agevole la ricostruzione della fattispecie normativa», tuttavia, «il problema ermeneutico può nascere quando quel rapporto cronologico non vi sia e l’atto di cui si assume la natura conforme alla tipologia descritta dall’art. 216 l. fall. non possa correlarsi oggettivamente e soggettivamente in modo intuitivo ed evidente alla fase di crisi o insolvenza dell’impresa».

«Sono note le innumerevoli critiche levatesi in dottrina per la mancata individuazione, da parte della giurisprudenza, nel silenzio della legge, di criteri idonei e certi a soddisfare il principio di determinatezza della fattispecie ed a garantire la esclusione di addebiti di responsabilità oggettiva. Non può essere ignorato, dalla analisi che l’interprete deve compiere, che lontano dalla fase di crisi o di insolvenza, e in specie quando l’impresa o la società sono in bonis, l’imprenditore può dare dinamicamente a singoli propri beni delle destinazioni che non necessariamente collidono ed anzi possono coesistere col principio di responsabilità di cui all’art. 2740 c.c., essendo egli semmai tenuto alla conservazione del valore del patrimonio nel suo complesso. Egli è anzi abilitato a fare spese personali o per la famiglia la cui entità non deve essere neppure assiomaticamente minima se la condizione economica glielo consente; non è perseguibile neppure a titolo di bancarotta semplice se, ancora quanto le sue condizioni sono favorevoli, impiega una parte contenuta del suo patrimonio in operazioni imprudenti; né il singolo suo creditore potrebbe attivare mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale se non ricorresse, quale effetto del suo comportamento quale debitore, una lesione al patrimonio capace di mettere in dubbio la realizzazione coattiva del credito».

Ciò non significa – continua la sentenza – «confondere l’ “esposizione a pericolo” (sufficiente per la integrazione del reato) con il “danno” alla massa dei creditori (requisito non richiesto dalla norma come essenziale). Il punto è che reputare sufficiente la constatazione in sé dell’atto distrattivo equivale ad aderire ad una ricostruzione della fattispecie in termini di “pericolo presunto” e cioè come ipotesi criminosa che si affida ad una catena di presunzioni proprio sulla rimproverabilità della esposizione a pericolo del patrimonio; il pericolo previsto dalla bancarotta prefallimentare non può che essere corredato dalla idoneità dell’atto di depapeuramento a creare un vulnus alla integrità della garanzia dei creditori in caso di apertura di una procedura concorsuale con una analisi che deve riguardare in primo luogo l’elemento oggettivo, per investire poi l’elemento soggettivo, e che certamente deve poggiare su criteri ex ante, in relazione alle caratteristiche dell’atto stesso e della situazione finanziaria della società, laddove l’anteriorità di regola è tale relativamente al momento della azione tipica, senza però che sia esclusa dalla valutazione la permanenza o meno della situazione fino all’epoca che precede l’atto di apertura della procedura e senza, comunque, che possano acquisire rilevanza, nella prospettiva che qui interessa, fattori non imputabili come un tracollo economico».

In conclusione, «si deve ritenere fortemente indiziante l’aver agito nella cd. “zona di rischio penale”, che è quella che in dottrina viene individuata come prossimità dello stato di insolvenza, quando l’apprezzamento di uno stato di crisi, normalmente conosciuto dall’imprenditore, è destinato ad orientare la lettura di ogni sua iniziativa di distacco dei beni nel senso della idoneità a creare un pericolo per l’interesse dei creditori sociali. Quanto detto non esclude, tuttavia, che il reato possa essere integrato da comportamenti antecedenti a tale fase, a condizione che questi presentino caratteristiche obiettive che, di regola, non richiedono particolari e ulteriori accertamenti per provare la esposizione a pericolo del patrimonio e che risultino e permangano congruenti rispetto all’evento giuridico (esposizione a pericolo degli interessi della massa) che poi si addebito all’agente».

Redazione Giurisprudenza Penale

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