Ne bis in idem tra Carta dei diritti fondamentali e convenzione applicativa dell’Accordo di Schengen (Tesi di laurea)
Prof. relatore: Chiara Amalfitano
Prof. correlatore: Sofia Monici
Ateneo: Università degli Studi di Milano
Anno accademico: 2016/2017
Il presente elaborato ha ad oggetto il principio del ne bis in idem transnazionale e le fonti europee che ne disciplinano l’applicazione nei rapporti tra Stati dell’Unione.
Muovendo dalla consapevolezza che una completa integrazione europea, anche in materia penale, sarà raggiunta soltanto nel momento in cui i diversi Stati membri inizieranno ad essere effettivamente concepiti come un’unica area in cui vi sia piena fungibilità delle decisioni penali – e, dunque, a prescindere dall’autorità giudiziaria che ha pronunciato tale «sentenza» –, il presente lavoro si propone di effettuare un tentativo di chiarificazione sulle articolate intersezioni tra l’art. 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione e gli artt. 54 ss. della convenzione di applicazione dell’Accordo di Schengen.
È, infatti, la perentorietà della formulazione della norma di rango primario (l’art. 50 della Carta) – che, a differenza dell’art. 54 CAAS, non subordina l’applicazione del ne bis in idem all’avveramento di alcuna condizione di esecuzione, né attribuisce facoltà agli Stati membri di opporre quelle riserve al principio, concesse invece dall’art. 55 CAAS – che porta inevitabilmente ad interrogarsi sulle sorti cui sono destinate le limitazioni al ne bis in idem sancite dalla norma di diritto derivato, con particolare riguardo all’eccezione fondata sul principio di territorialità.
Al fine di dotare il lettore di un bagaglio cognitivo imprescindibile per comprendere appieno la necessità o meno di tali limitazioni nel contesto normativo europeo, il presente lavoro si articola in tre diversi capitoli dedicati rispettivamente: (i) al tortuoso percorso evolutivo che ha accompagnato il principio del ne bis in idem transnazionale alla sua affermazione come diritto fondamentale; (ii) ad una scrupolosa analisi della instancabile opera ermeneutica della Corte di giustizia, grazie alla quale sono stati delineati, nel corso degli anni, i confini di operatività della preclusione processuale in questione; (iii) al controverso rapporto tra il ne bis in idem come sancito dalla convenzione di Schengen e lo speculare diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato consacrato dalla Carta dei diritti fondamentali.
Quest’ultimo capitolo, che racchiude il vero cuore dell’indagine, approfondirà, da un lato, la questione concernente l’attuale vigenza della condizione di esecuzione – sancita soltanto dall’art. 54 della convenzione di Schengen – alla luce della sentenza della Corte di giustizia resa nel caso Spasic; dall’altro lato, invece, affronterà il ben più delicato problema concernente le eccezioni (in senso stretto) al principio. In tal sede, pertanto, verranno analizzati, in primo luogo, i progetti che, in epoca successiva alla convenzione di Schengen, hanno tentato di introdurre una regolamentazione più dettagliata del ne bis in idem nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Successivamente il presente elaborato esaminerà in chiave critica una pronuncia, resa da un giudice italiano, emblematica delle difficoltà affrontate dall’interprete nel tentativo di risolvere un’apparente «antinomia» tra le due norme. Infine, dopo l’analisi della decisione interlocutoria resa dalla Corte di giustizia nel caso Kossowski, si procederà ad una riflessione sulle conclusioni, presentate in tale causa, dall’Avvocato generale Bot, le quali potrebbero fornire lo spunto per un possibile superamento della deroga al ne bis in idem fondata sul principio di territorialità.
Solo una volta posseduti tali strumenti cognitivi sarà più agevole per il lettore comprendere pienamente le ragioni per le quali le limitazioni sancite dagli artt. 54 e ss. CAAS (e in particolare la deroga fondata sul principio di territorialità) debbano essere considerate ancora vigenti, nonostante un contesto normativo, politico e culturale sicuramente più evoluto rispetto a quello nel quale le stesse hanno originariamente operato.