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Ilva di Taranto: il Gip solleva questione di legittimità costituzionale sulla esenzione da responsabilità penale ex art. 2 c. 6 D. L. 1/2015

Tribunale di Taranto, Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari, 8 febbraio 2019
Dott. Benedetto Ruberto

1. Pubblichiamo il provvedimento – che ha già avuto larga eco sulla stampa – con cui il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Taranto, in relazione alle vicende dello stabilimento dell’ILVA di Taranto, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 commi 5 e 6 del Decreto Legge 5 gennaio 2015, n. 1 (Disposizioni urgenti per l’esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell’area di Taranto) nella parte in cui autorizzano lo stabilimento di Taranto a continuare la produzione anche in costanza di sequestro penale e nella parte in cui prevedono una esenzione da responsabilità penale per i  gestori dello stabilimento e per i soggetti da essi delegati.

Più nello specifico, oggetto di scrutinio da parte del giudice sono:

  • le norme che hanno consentito e che stanno tuttora consentendo allo stabilimento ILVA di Taranto la prosecuzione dell’attività produttiva in costanza di sequestro penale, in forza delle quali «la società ILVA s.p.a. di Taranto e l’affittuario o acquirenti dei relativi stabilimenti sono immessi nel possesso dei beni dell’impresa e sono in ogni caso autorizzati … alla prosecuzione dell’attività produttiva dello stabilimento e alla commercializzazione dei prodotti», con termine ad oggi previsto sino al 23 agosto 2023;
  • la speciale causa di non punibilità – dogmaticamente inquadrabile, per taluni, come immunità e, secondo altri, come scriminante – prevista dall’art. 2, comma 6, d.l. 1/2015 secondo la quale «le condotte poste in essere in attuazione del piano di cui al periodo precedente [il Piano approvato con D.P.C.M. del 14 marzo 2014] non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati, in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro».

Si tratta di norme – si legge nell’ordinanza – che «presentano evidenti profili di criticità e di incompatibilità con i valori costituzionali, ritenendosi pertanto doveroso sollevare questione di legittimità costituzionale».

2. Con specifico riferimento all’inquadramento giuridico della esenzione da responsabilità penale di cui all’art. 2 comma 6 D. L. 1/2015 – scrive il giudice – «l’interpretazione che si può dare della predetta norma è univoca: vige una vera e propria presunzione iuris et de iure di conformità e di legalità circa le azioni (ed omissioni) del Commissario p.t. e degli altri soggetti menzionati nel testo della norma impegnati ad attuare il Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria di cui al D.P.C.M. 14 marzo 2014, trattandosi di condotte che, secondo l’insindacabile giudizio ex ante dell’Esecutivo (ratificato dal legislativo), costituirebbero l’adempimento delle “migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro”.

In tale circostanza, «il rischio ambientale e tecnologico legato a tali attività viene inquadrato in via presuntiva nel cosiddetto rischio consentito», tant’è che «si è, non a torto, parlato di una vera e propria “immunità penale” concessa ai predetti soggetti, riferita alle azioni attuative previste dall’A.I.A. per l’Ilva del 2014».

Si tratta di una fattispecie – si legge nel provvedimento – che dovrebbe «essere dogmaticamente inquadrata nella categoria delle scriminanti (speciali) e non quale fonte di immunità», dal momento che mentre queste ultime «mirano a garantire e proteggere l’espletamento di determinate funzioni e/o uffici di particolare importanza per il corretto funzionamento dello Stato e si risolvono nella sottrazione di un soggetto all’applicazione della sanzione penale per aver commesso un fatto tipico, antigiuridico e colpevole», le scriminanti «rendono, invece, lecito un fatto tipico contemplato da una norma incriminatrice e il loro fondamento risiede nel bilanciamento tra interessi in conflitto».

Ad avviso del giudice, «il fatto che l’efficacia della disposizione sembra limitata solo a particolari categorie di soggetti – il commissario straordinario di ILVA, l’affittuario o acquirente dello stabilimento ed i soggetti da questi funzionalmente delegati – non appare decisivo per un diverso inquadramento della norma, poiché tali soggetti vengono “deresponsabilizzati” non perché la loro funzione in quanto tale è meritevole di tutela, ma perché, rivestendo ruolo apicale o agendo su delega dei ruoli apicali, vedrebbero a sé imputata l’attuazione del Piano e le scelte di gestione dello stabilimento».

3. Il giudice si pone poi il tema del sindacato di costituzionalità sulle cd. norme penale di favore, quali sono «quelle che hanno prorogato l’attività produttiva dello stabilimento ben oltre l’originaria scadenza del 3 dicembre 2015 e che hanno introdotto l’esimente per le condotte poste in essere in attuazione del Piano ambientale».

Il fatto che gli autori dei reati commessi sotto l’impero di quelle norme non potranno essere perseguiti anche nel caso di accoglimento della questione, ad avviso del giudice a quo non la rende irrilevante: richiamando Corte Cost 394/2006, il giudice ricorda che «il principio della riserva di legge in materia penale e di irretroattività della norma penale sfavorevole non preclude, in senso assoluto, l’adozione di pronunce, da parte della Corte Costituzionale, aventi effetti in malam partem, allorquando tale effetto non discende dall’introduzione di nuove norme o dalla manipolazione di norme esistenti da parte della Corte, ovvero dal ripristino di una norma abrogata espressiva di scelte di criminalizzazione non più attuali, presentandosi ciascuna di tali operazioni chiaramente invasiva del monopolio del legislatore nella materia penale». Nel caso in esame – prosegue l’ordinanza – «l’effetto in malam partem costituisce il risultato della riespansione della norma generale o comune (le norme incriminatrici a tutela dell’ambiente e della sicurezza sui luoghi di lavoro, ovvero poste a tutela della salute e dell’incolumità pubblica) conseguendo, pertanto, alla decisione ablativa di norme che vorrebbero, invece, sottrarre un gruppo di soggetti (commissario straordinario ILVA, affittuari e acquirenti e soggetti da costoro delegati) alla sfera applicativa della prima; quell’effetto è cioè conseguente alla eliminazione di disposizioni qualificabili come norme penali di favore ritenute incompatibili con l’attuale assetto costituzionale».

4. Dopo aver ribadito i principi già affermati dalla Corte Costituzionale nel 2013, il giudice passa ad osservare come i paletti, sostanziali e temporali, già individuati risultino ora «disinvoltamente oltrepassati» a causa sia della dilatazione temporale dell’autorizzazione (sino al 23 agosto 2023 e, dunque, ben oltre gli originari 36 mesi) sia della espressa previsione di una causa di non punibilità a favore dei nuovi acquirenti operante siano alla scadenza dell’autorizzazione integrata ambientale.

Ciò di fatto comporta – si legge nel provvedimento – che «per undici anni dal sequestro dello stabilimento – 25 luglio 2012 – quell’impresa (che, lo si ripete, è stata già ritenuta, in forza di provvedimenti emessi da giudici del tribunale jonico, pericolosissima per la salute della popolazione, dei lavoratori e dell’ambiente circostante) è stata messa nelle condizioni di continuare a produrre, con la garanzia, per i suoi gestori (e soggetti da essi delegati), di non dover essere chiamati a rispondere dei reati eventualmente commessi  in violazione delle norme, di diritto comune, poste a presidio della salute, dell’incolumità pubblica e della sicurezza sul luogo di lavoro».

I profili di contrasto con la Costituzione vengono ravvisati con riferimento ai seguenti articoli:

  • art. 3 Cost., «dal momento che identici fatti-reato (quali, in ipotesi, quelli contestati nel presente procedimento), se commessi da alcune imprese, possono determinare il blocco dell’attività produttiva e la responsabilità dei loro massimi dirigenti o proprietari, se commessi, invece, dai soggetti preposti allo stabilimento ILVA di Taranto non comportano analogo effetto, determinandosi in questo modo, ad avviso dell’odierno giudicante, una inammissibile disparità di trattamento»;
  • art. 35 Cost. laddove si prevede la tutela del lavoro “in tutte le sue forme ed applicazioni”, in combinato disposto con l’art. 32 Cost., che tutela il diritto alla salute, dal momento che «le norme in questione, consentono, di fatto, di imporre ai lavoratori dello stabilimento ILVA di Taranto condizioni lavorative che altrove determinerebbero l’interruzione dell’attività produttiva, l’attivazione dei meccanismi di controllo della A.G. e adeguate sanzioni penali» e dal momento che «certamente e clamorosamente leso è anche il diritto alla salute di coloro che abitano nei pressi dello stabilimento, essendo stato accertato che elevati livelli di inquinamento aumentano il rischio di contrarre malattie mortali»;
  • art. 41 Cost. in quanto «non poter perseguire, per un lasso di tempo potenzialmente indefinito, i soggetti che espongono a pericolo la salute, l’incolumità e la vita dei lavoratori e della popolazione che vive in prossimità dello stabilimento confligge apertamente con il dettato costituzionale, non potendo l’attività produttiva essere esente da controlli giurisdizionali e dovendo essere attenta alle esigenze basilari della persona»;
  • artt. 24 e 112 Cost. perché le norme «si pongono in netto contrasto con il dovere dell’ordinamento di reprimere e prevenire reati che pure il Giudice delle leggi ha riconosciuto come bene oggetto di protezione costituzionale, attraverso l’azione dei pubblici ministeri e l’eventuale sollecitazione del privato leso nei suoi diritti»;
  • art. 117 Cost. perché le norme «violano gli obblighi internazionali assunti dall’Italia, con l’adesione alla Convenzione europea sui diritti umani e, segnatamente, quelli derivanti dagli artt. 2 (“il diritto alla vita di ogni persona è protetto dalla legge”), 8 (“ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, nel proprio domicilio”) e 13 (“ogni persona i cui diritti e le cui libertà riconosciuti nella presente Convenzione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo davanti a un’istanza nazionale”) della Convenzione, come da ultimo sancito dalla Corte Europea di Strasburgo nel procedimento n. 54413/13 (F.Cordella e altri c/ Italia), definito con sentenza del 24 gennaio 2019».

5. In conclusione, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Taranto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 2 comma 5 del Decreto Legge 5 gennaio 2015, n. 1 nella parte in cui proroga alla scadenza dell’autorizzazione integrata ambientale (ad oggi fissata al 23 agosto 2023, a mente dell’art. 2co.2 D.P.C.M. 29 settembre 2017) i termini per l’attuazione del Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria riguardante lo stabilimento ILVA di Taranto e, in ogni caso, il termine originariamente previsto dall’art. 3 co.3 d.l. 207/2012 per la prosecuzione “in ogni caso” dell’attività produttiva nello stabilimento; dell’art. 2 comma 6 del Decreto Legge 5 gennaio 2015, n. 1 nella parte in cui prevede che «le condotte poste in essere in attuazione del piano di cui al periodo precedente [n.d.e.: il Piano approvato con D.P.C.M. del 14 marzo 2014] non possono dare luogo a responsabilità penale o amministrativa del commissario straordinario, dell’acquirente dell’affittuario o acquirente e dei soggetti da questi funzionalmente delegati in quanto costituiscono adempimento delle migliori regole preventive in materia ambientale, di tutela della salute e dell’incolumità pubblica e di sicurezza sul lavoro».

Redazione Giurisprudenza Penale

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