ARTICOLIDIRITTO PENALEIN PRIMO PIANO

Falsità in autocertificazione e divieti di spostamento causa Covid-19: l’attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una determinata attività non rientra nell’ambito di operatività dell’art. 483 c.p.

Tribunale di Milano, Giudice per le Indagini Preliminari, 16 novembre 2020
Giudice dott. Roberto Crepaldi

In tema di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 c.p.), segnaliamo ai lettori la sentenza con cui il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano si è pronunciato sulla possibilità di far rientrare nell’ambito di operatività della fattispecie l’ipotesi di falsità in autocertificazione, con specifico riferimento alle attestazioni circa le proprie intenzioni di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una determinata attività.

Oggetto di valutazione era, in particolare, la condotta di un imputato – al quale veniva contestata la fattispecie di cui all’art. 76 DPR 445/2000 in riferimento all’art. 483 c.p. – che, in sede di autodichiarazione resa ai sensi degli artt. 46 e 47 DPR 445/2000 e consegnata ai Carabinieri nell’ambito dei controlli sul rispetto delle misure di contenimento COVID-19, aveva riferito una circostanza (ossia il fatto che lo stesso si stava recando presso un collega per ritirare dei pezzi di ricambio) poi rivelatasi non vera a seguito di accertamenti svolti dalla polizia giudiziaria.

Sebbene «non vi siano dubbi circa il fatto che l’intenzione dichiarata dall’imputato nel modulo di autocertificazione non abbia trovato riscontro nei successivi accertamenti della Polizia giudiziaria» – si legge nella sentenza – «va, tuttavia, escluso che tale falsità integri gli estremi del delitto di cui all’imputazione, in quanto l’art. 483 c.p. incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità».

Dopo aver richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «sono estranei all’ambito di applicazione dell’art. 483 c.p. le dichiarazioni che non riguardino “fatti” di cui può essere attestata la verità hic et nunc ma che si rivelino mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi», il Giudice ha osservato come tale conclusione appaia confermata nel caso di specie:

– dal dato testuale, «giacché la nozione di “fatto” non può che essere riferita a qualcosa che già è accaduto ed è perciò, già in quel preciso istante, suscettibile di un accertamento, a differenza della intenzione, la cui corrispondenza con la realtà è verificabile solo ex post»;

– sotto il profilo teleologico, «giacché la norma è finalizzata ad incriminare la dichiarazione falsa del privato al p.u. in relazione alla sua attitudine probatoria, attitudine che evidentemente non può essere riferita ad un evento non ancora accaduto»;

– in un’ottica sistematica, «dalla stessa normativa in tema di autocertificazioni, all’interno della quale i “fatti” sono indicati, quale oggetto di possibile dichiarazione probante del privato, insieme agli stati e alle qualità personali, vale a dire a caratteristiche del soggetto già presenti al momento della dichiarazione».

Ne discende – si legge nel provvedimento – che «mentre l’affermazione nel modulo di autocertificazione da parte del privato di una situazione passata (si pensi alla dichiarazione di essersi recato in ospedale ovvero al supermercato) potrà integrare gli estremi del delitto de quo, la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una certa attività non può essere ricompresa nell’ambito applicativo della norma incriminatrice, non rientrando nel novero dei “fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità”».

Come recentemente osservato da autorevole dottrina – conclude la sentenza – «il nostro ordinamento non incrimina qualunque dichiarazione falsa resa ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio ma costruisce i reati di falso secondo una sistematica casistica: ne consegue che il rilievo della falsa dichiarazione è legato all’individuazione di una specifica norma che dia rilevanza al contesto e alla singola dichiarazione»; ne consegue, «per le ragioni appena espresse, che la dichiarazione di una mera intenzione nell’ambito di un modulo di autocertificazione non può rientrare nell’ambito applicativo dell’art. 483 c.p., limitato ai soli “fatti” già occorsi».

Sul medesimo tema rinviamo agli articoli di M.Grimaldi, Covid-19: la tutela penale dal contagio, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 4 e F. Lombardi, Covid-19, misure di contenimento e reati di falso: aspetti problematici dell’autodichiarazione, in Giurisprudenza Penale Web, 2020, 3.

Redazione Giurisprudenza Penale

Per qualsiasi informazione: redazione@giurisprudenzapenale.com