ARTICOLIDIRITTO PENALEParte speciale

In tema di abuso dei mezzi di correzione o di disciplina (art. 571 c.p.) – Cass. Pen. 15149/2014

Cassazione Penale, Sez. VI, 2 aprile 2014 (ud. 19 marzo 2014), n. 15149
Presidente De Roberto, Relatore Conti, P.G. Mazzotta

Depositata il 2 aprile 2014 la pronuncia numero 15149 della sesta sezione a proposito dell’ambito di applicabilità della fattispecie di reato di cui all’art. 571 c.p. (abuso dei mezzi di correzione o di disciplina).

Questi i fatti: l’imputato – insegnante supplente di una scuola elementare al quale un alunno di sette anni aveva indirizzato un suono di dileggio con la bocca – veniva condannato alla pena di due mesi di reclusione, oltre al risarcimento dei danni in favore della parte civile, per aver abusato dei mezzi di correzione o di disciplina: in particolare – si legge in sentenza – la condotta sarebbe consistita nel costringere il bambino di terza elementare a girare carponi in aula alla presenza degli altri alunni e ad emettere suoni simili a grugniti.

La Corte ha ritenuto infondato il motivo di ricorso (secondo cui l’imposizione fatta al piccolo alunno aveva esclusive finalità educative tendendo a evidenziare di fronte alla scolaresca e allo stesso alunno la natura dell’offesa arrecata alla funzione docente, nel contempo evitando punizioni più severe e meno rappresentative della ragione della reazione, quali l’espulsione del bambino dall’aula o la sua sospensione dalle lezioni) e ha fatto il punto sulla fattispecie di reato di cui all’art. 571 c.p.

In tema di abuso di mezzi di correzione e di disciplina – affermano i giudici di legittimità – se non possono ritenersi preclusi quegli atti di pressione morale che risultino adeguati alla finalità di rafforzare la proibizione di comportamenti di indisciplina gratuita o insolente idonei a minare la credibilità e l’effettività della funzione educativa, o anche quelli di coercizione fisica meramente impeditivi di condotte violente da parte del discente tuttavia, integra la fattispecie criminosa in questione l’uso di un mezzo – vuoi di natura fisica, psicologica o morale – che abbia come effetto l’umiliazione del soggetto passivo.

Dal momento che, con riguardo ai bambini, il termine “correzione”, presente nella dizione normativa, va inteso come sinonimo di “educazione”, l’intento educativo – continuano i giudici – deve essere esercitato in coerenza con una evoluzione non traumatica della personalità del soggetto cui è rivolto. Nella specie, l’imposizione di una condotta fisica di per sè gravemente umiliante, quale quella descritta, al di là degli intenti educativi che, stando al ricorrente, l’avrebbero ispirata, corrispondeva oggettivamente alla riproduzione di un dileggio che il bambino, dopo averlo indirizzato al docente, era stato costretto a rivolgere a se stesso al cospetto dei suoi compagni di classe, con una ben più accentuata ripercussione, per le modalità imposte, sul piano psicologico e sulla sua sfera di onorabilità, che è patrimonio anche dei minori, rispetto alla impertinente “offesa” recata al prestigio del maestro.

La Corte dedica, infine, qualche battuta  al riferimento – ritenuto dai giudici del tutto fuori luogo – fatto dal ricorrente al contesto “bullistico” alimentato dall’area territoriale “mafiosa” in cui, a suo avviso, andava inquadrata la condotta incriminata: tale osservazione, non solo palesemente avventata, avuto riguardo alla tenera età della persona offesa, risulta comunque espressione di quella distorta idea secondo cui, di fronte a simili contesti “bullistici”, si possa reagire con metodi che finiscono per rafforzare il convincimento che i rapporti relazionali (scolastici o in genere sociali) debbano essere risolti sulla base di rapporti di forza o di potere (v., per simili considerazioni, Sez. 6, n. 34492 del 2012, cit.).

Dalla condotta prevaricatrice dell’imputato è derivato, come esattamente osservato dai giudici di merito, un evidente pericolo per la salute del bambino risultando, dunque, pienamente integrata la fattispecie contestata.

 

Redazione Giurisprudenza Penale

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