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Sentenza Torreggiani: Strasburgo condanna l’Italia

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Corte Europea dei diritti dell’uomo, Sez. II, Causa Torreggiani e altri c. Italia, 8 gennaio 2013
(Ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10)

La Corte europea dei diritti umani, con la sentenza Torreggiani (ricorsi nn. 43517/09, 46882/09, 55400/09; 57875/09, 61535/09, 35315/10, 37818/10) – adottata  l’8 gennaio 2013 con decisione presa all’unanimità –  ha condannato  l’Italia per la violazione dell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani (CEDU).

Il caso, come è noto, riguarda trattamenti inumani o degradanti subiti dai ricorrenti, sette persone detenute per molti mesi nelle carceri di Busto Arsizio e di Piacenza, in celle triple e con meno di quattro metri quadrati a testa a disposizione.

La pronuncia della Corte di Strasburgo nel caso Torreggiani – definita dagli stessi giudici come “sentenza pilota” che ha affrontato il problema strutturale del disfunzionamento del sistema penitenziario italiano – troverà applicazione in futuro in relazione alla generalità dei reclami pendenti davanti alla Corte e non ancora comunicati alle parti riguardanti l’Italia e aventi ad oggetto analoghe questioni di sovraffollamento carcerario, nonché a quelli che le saranno sottoposti nei prossimi tempi relativi allo stesso problema.

«La carcerazione – hanno affermato i giudici di Strasburgo – non fa perdere al detenuto il beneficio dei diritti sanciti dalla Convenzione. Al contrario, in alcuni casi, la persona incarcerata può avere bisogno di una maggiore tutela proprio per la vulnerabilità della sua situazione e per il fatto di trovarsi totalmente sotto la responsabilità dello Stato. In questo contesto, l’articolo 3 pone a carico delle autorità un obbligo positivo che consiste nell’assicurare che ogni prigioniero sia detenuto in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non sottopongano l’interessato ad uno stato di sconforto né ad una prova d’intensità che ecceda l’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente».

«La grave mancanza di spazio sperimentata dai sette ricorrenti per periodi variabili dai quattordici ai cinquantaquattro mesi – costitutiva di per sé di un trattamento contrario alla Convenzione – sembra essere stata ulteriormente aggravata da altri trattamenti denunciati dagli interessati. La mancanza di acqua calda nei due istituti per lunghi periodi, ammessa dal Governo, nonché l’illuminazione e la ventilazione insufficienti nelle celle del carcere di Piacenza, sulle quali il Governo non si è espresso, non hanno mancato di causare nei ricorrenti un’ulteriore sofferenza, benché non costituiscano di per sé un trattamento inumano e degradante».

In conclusione, preso atto del fatto che il sovraffollamento carcerario in Italia non riguarda esclusivamente i casi dei ricorrenti, la Corte europea ha deciso di applicare la procedura della sentenza pilota al caso di specie, tenuto conto del crescente numero di persone potenzialmente interessate in Italia e delle sentenze di violazione alle quali i ricorsi in questione potrebbero dare luogo.

Redazione Giurisprudenza Penale

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