Dalla Cassazione alla Corte costituzionale: il ridimensionamento dell’ambito applicativo del regime custodiale obbligatorio
1) Cassazione Penale, Sez. II, 11 maggio 2012 (ud. 18 aprile 2012), n. 18063
Carmenini, Presidente – Di Marzio, Relatore – Gialanella, P.M. (diff.) – Lipari, ricorrente.
Va rimessa alle Sezioni Unite la questione relativa all’operatività della presunzione relativa di adeguatezza della custodia cautelare in carcere ex art. 275, co. 3, c.p.p., dovendosi stabilire se essa ricorra solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico o riguardi anche le vicende successive che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari nel caso di reati aggravati ai sensi dell’art. 7, l. 12 luglio 1991, n. 203.
2) Cassazione Penale, Sez. un., ord. 10 settembre 2012 (ud. 19 luglio 2012), n. 34473
Lupo, Presidente – Romis, Relatore – Fedeli, P.M. (diff.) – Lipari, ricorrente.
La presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere posta dall’art. 275, co. 3, c.p.p., è operante non solo nell’adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva, ma, qualora permangano le esigenze cautelari, anche per tutte le successive vicende de libertate, ed, in particolare, nel caso di richiesta di sostituzione della misura.
3) Cassazione Penale, Sez. un., ord. 10 settembre 2012 (ud. 19 luglio 2012), n. 34474
Lupo, Presidente – Romis, Relatore – Fedeli, P.M. (diff.) – Ucciero, ricorrente.
È non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 275, co. 3, c.p.p., nella parte in cui – nel prevedere la presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia cautelare in carcere per i delitti commessi al fine di agevolare le associazioni di tipo mafioso – non salva l’ipotesi in cui siano acquisiti elementi specifici, in relazione al caso concreto, dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. In particolare, si profila come ingiustificata la parificazione dei procedimenti relativi ai delitti aggravati ex art. 7, d.l. 13 maggio 1991, n. 152 (Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata e di trasparenza e buon andamento dell’attività amministrativa), convertito, con modificazioni, dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, a quelli concernenti i delitti di mafia.
4) Corte costituzionale, 25 marzo 2013, n. 57
Gallo, Presidente – Lattanzi, Relatore.
È costituzionalmente illegittimo l’art. 275, co. 3, secondo periodo, c.p.p., come modificato dall’art. 2, co. 1, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori), convertito, con modificazioni, dalla l. 23 arile 2009, n. 38, nella parte in cui – nel prevedere che, quando sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. o al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo del codice penale, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Nell’apprezzamento di queste ultime risultanze, il giudice dovrà valutare gli elementi specifici del caso concreto, tra i quali l’appartenenza dell’agente ad associazioni di tipo mafioso ovvero la sua estraneità ad esse.
Il commento
1. Con la recente pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 275, co. 3, c.p.p. (n. 57 del 2013, in www.cortecostituzionale.it), conclusiva di un travagliato percorso interpretativo in seno al processo Lipari (Cass., Sez. II, 11 maggio 2012, n. 18063, in www.archiviopenale.it; Id., Sez. un., 10 settembre 2012, n. 34473, in C.E.D. Cass., n. 253186), la Corte costituzionale ha proseguito l’opera demolitoria intrapresa a seguito dell’entrata in vigore del d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, convertito con modificazioni nella l. 23 aprile 2009, n. 3 (“Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori”), sulla presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere obbligatoria disposta per reati di particolare gravità (ampliamente, v. Spangher, Santoriello, Le misure cautelari personali, Torino, 2009).
Tale percorso (cfr. le precedenti Corte cost., n. 265 del 2010; n. 164 del 2011; n. 231 del 2011; n. 331 del 2011; n. 110 del 2012, tutte consultabili in www.cortecostituzionale.it), ancora una volta, ha avuto ad oggetto la violazione degli artt. 3, 13, co.1, 27, co. 2., Cost., poiché il Legislatore avrebbe previsto un’illegittima limitazione alla discrezionalità del giudice nell’esercizio del suo potere di adeguare la misura al caso concreto, rendendo così inoperanti i criteri di proporzionalità e di adeguatezza. In tal modo, in effetti, si sarebbe verificata una chiara mortificazione del principio del “minore sacrificio necessario” posto alla base della disciplina delle misure cautelari (adesivamente, in dottrina, Ludovici, L’art. 297 comma 3 c.p.p. torna al vaglio della Consulta: nuova illegittimità costituzionale per un istituto ancora molto perfettibile, in Giur. cost., 2011, 2922; Marzaduri, Ancora ristretto il campo di operatività della presunzione assoluta di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, in Leg. pen., 2011, 697; Gaeta, Una legittima estensione dei principi della Consulta che ha provocato uno sgradevole scirocco mediatico, in Guida dir., 2012, 58).
Sul punto – è doveroso precisarlo – insiste un evidente contrasto tra la giurisprudenza costituzionale e quella di legittimità a sezioni unite (analogamente, in merito all’art. 309, co. 9, c.p.p., v. Corte cost. n. 232 del 1998, in Cass. pen., 1998, 2850; ovvero, in merito all’art. 304, co. 6, c.p.p., cfr. Corte cost., n. 292 del 1998, in Giur. it., 1999, 579; Id., n. 429 del 1999, in Giur. cost., 1999, 3798; Id., n. 529 del 2000, in Cass. pen., 2001, 832; n. 243 del 2003, in Giur. cost., 2003, 2061; mentre per le Sezioni unite v. Id., 19 gennaio 2000, Musitano, in C.E.D. Cass., n. 215214; Id., 10 luglio 2002, D’Agostino, in Cass. pen., 2002, 3639; Id., 31 marzo 2004, Pezzella, ivi, 2004, 2702).
Si proceda con ordine.
2. La questione prende vita – in sede di merito – dall’accoglimento da parte del Tribunale di Palermo di un’istanza di appello presentata dal P.M. avverso un’ordinanza del G.u.p. di quel Tribunale, sostituendo la misura degli arresti domiciliari, applicata al Lipari per delitti di “matrice mafiosa”, con quella della custodia cautelare in carcere.
L’imputato denunciava, con un unico motivo, violazione di legge e difetto di motivazione laddove l’ordinanza fondava le sue ragioni sulla presunzione di assoluta adeguatezza della misura più afflittiva ai sensi dell’art. 275, co. 3, c.p.p. (in generale, v. Curtotti, Custodia cautelare (presupposti, vicende, estinzione), in Dig. disc. pen., I, Agg., Torino, 2005, 291 ss.; Dell’Anno, Custodia cautelare (in generale), in Dig. disc. pen., I, Agg., Torino, 2005, 264 ss.), nonostante la Consulta si fosse già recentemente pronunciata in ordine alla contrarietà della stessa al principio di uguaglianza in fattispecie sia pur diverse ma assimilabili a quella in esame.
Il Collegio, di fronte alla possibilità di escludere ogni automatismo della presunzione legale di pericolosità anche per i delitti di stampo mafioso, ha ritenuto non ancora superato il contrasto giurisprudenziale. Ha precisato, al riguardo, che i dubbi non sarebbero nemmeno stati risolti dal recente orientamento delle Sezioni unite (v. Cass., Sez. un., 31 marzo 2011, n. 16085, Khalil, in C.E.D. Cass., n. 249324; Id, Sez. un., 31 marzo 2011, n. 27919, P.M. in proc. Ambrogio, ivi, n. 250195-6), il quale stabilisce, in linea di massima, che il principio di proporzionalità, al pari di quello di adeguatezza ex art. 275, co. 2, c.p.p., operi come parametro di commisurazione delle misure cautelari ravvisabili al caso concreto, e, dunque, tanto nel momento della scelta del provvedimento coercitivo, che per tutta la sua durata.
Giunta in sede di legittimità, la vicenda, a parere della seconda Sezione (n. 18063, Lipari, cit., con osservazioni a prima lettura di Santoriello, in www.archiviopenale.it), ha presentato peculiarità tali da rendere nuovamente opportuno il vaglio della massima composizione. Si è sottolineato, invero, che l’orientamento della sezione sarebbe più coerente con i principi di diritto affermati sul punto dalla Consulta (cfr. le sentenze n. 265 del 2010, n. 164 e n. 231 del 2011), accogliendo l’indirizzo minoritario che considera la presunzione di adeguatezza de quo operante solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva, senza interessare le vicende successive (così, Cass., Sez. II, 14 dicembre 2011, n. 47949, Carvelli, inedita; Id., Sez. II, 17 gennaio 2012, n. 2937, Ruggiero, inedita; Id., Sez. II, 27 gennaio 2012, n. 2938, Ciliberto, inedita).
Segnatamente, sotto un primo profilo, le ragioni della tesi poggiano sul fatto che «il momento genetico di applicazione della misura e il successivo in cui deve decidersi della sua sostituzione si mostrano ontologicamente diversi con riguardo alla ragione giustificativa della deroga alla disciplina ordinaria prevista per i procedimenti di mafia»; e inoltre, nel caso specifico, essendo contestata al Lipari non l’appartenenza al sodalizio di stampo mafioso, bensì un’ipotesi di favoreggiamento, aggravato ai sensi dell’art. 7, l. n. 203 del 1991, la parificazione di due condotte diverse al fine dell’applicabilità della presunzione legale non appare giustificata secondo il criterio della ragionevolezza e del generale principio di uguaglianza, in quanto la ratio stessa della presunzione risiede nella necessità di recidere un vincolo la cui sussistenza non è invece contestata.
3. Primariamente, le Sezioni unite (n. 34473, Lipari, cit.; n. 34474, Ucciero, cit., con nota di Farinelli, L’ambito di operatività della presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere, in Arch. pen., 2013, 1, 303 ss.; di Montagna A., A giudizio della Corte costituzionale la compatibilità dell’aggravante mafiosa con la presunzione cautelare carceraria, in Dir. pen e proc., 2012, 11, 1327 ss.; di Capitani, Reato commesso con finalità mafiosa: finché permangono le esigenze cautelari, c’è solo la custodia in carcere, in Dir. e Gius., 2012, 762) chiamate a stabilire «se la presunzione di adeguatezza della custodia cautelare in carcere ex art. 275, co. 3, c.p.p., operi solo in occasione dell’adozione del provvedimento genetico della misura coercitiva o riguardi anche le vicende successive che attengono alla permanenza delle esigenze cautelari» (per uno sguardo d’insieme sulla tematica, da ultimo, cfr. Barrocu, La presunzione di adeguatezza esclusiva della custodia in carcere: evoluzione normativa e giurisprudenziale, in Dir. pen. e proc., 2012, 224 ss.) focalizzano dapprima il contrasto all’interno del panorama giurisprudenziale di riferimento.
Da un lato, secondo una prima tesi (v. Cass., Sez. VI, 4 febbraio 2011, n. 4424, D’Angelo, in C.E.D. Cass., n. 249188; Id., Sez. VI, 18 febbraio 2010, n. 25167, Gargiulo, ivi, n. 247595; Id., Sez. I, 24 maggio 1996, n. 3592, Corsanto, ivi, n. 205490, con nota di Gaito A., Imputati per fatti di mafia, diritto alla salute e custodia cautelare, in Giur. it., 1996, 625; Id., Sez. VI, 13 gennaio 1995, n. 54, Corea, in Cass. pen., 1996, 880, con nota di Prestipino, in Giur. it., 1996, 16) la presunzione assoluta di adeguatezza della custodia in carcere governa soltanto il momento iniziale della misura, in quanto nelle vicende successive occorre valutare il decorso del tempo e la concreta sussistenza della pericolosità sociale, con conseguente dovere di verifica della possibilità di sostituzione della misura originaria con altra meno afflittiva.
Dall’altro, agli antipodi, si colloca una seconda tesi, invero maggioritaria (Cass., Sez. V, 22 giugno 2011, n. 35190, Ciminello, in C.E.D. Cass., n. 251201; Id., Sez. II, 16 febbraio 2011, n. 11749, Armens, ivi, n. 249686; Id., Sez. V, 18 maggio 2010, n. 34003, Di Simone, ivi, n. 248410; Id., Sez. VI, 9 luglio 2010, n. 32222, Galdi, ivi, n. 247596; Id., Sez. V, 8 giugno 2010, n. 27146, Femia, ivi, n. 248034; Id., Sez. VI, 26 gennaio 2005, n. 20447, Marino, ivi, n. 231451; Id., Sez. VI, 26 gennaio 2005, n. 9249, Miceli Corchettino, ivi, n. 230938; Id., Sez. V, 7 maggio 2004, n. 24924, Santaniello, ivi, n. 229877; Id., Sez. III, 21 aprile 2000, n. 2711, Valenza, ivi, n. 216566-7; Id., Sez. V, 12 maggio 1993, n. 1753, Giugliano, ivi, n. 195408; Id., Sez. I, 4 marzo 1993, n. 931, Granato, ivi, n. 193997; Id., Sez. I, 7 luglio 1992, n. 3274, Bigoni, ivi, n. 191558), la quale ritiene che la custodia in carcere, una volta accertata l’esistenza dei gravi indizi di colpevolezza dell’indagato, non può essere sostituita con gli arresti domiciliari. La permanenza delle esigenze cautelari, ancorché attenuate e purché continuino a sussistere i gravi indizi di colpevolezza, comporta il mantenimento dell’originaria più grave misura coercitiva; per poter far cessare la custodia cautelare devono venire a mancare completamente tutte le esigenze. Per di più, nei confronti di soggetti gravemente indiziati di taluno dei reati previsti dall’art. 275, co. 3, c.p.p., la presunzione opera in tutte le fasi del procedimento penale e non solo in occasione dell’applicazione della misura.
Seguendo il ragionamento, peraltro, l’art. 299 c.p.p., dedicato alla revoca e alla sostituzione delle misure, richiamando nell’incipit l’art. 275, co. 3., c.p.p. quale eccezione a tale possibilità nel caso di attenuazione delle esigenze cautelari ovvero quando la misura applicata non appaia più proporzionata all’entità del fatto o alla sanzione che si ritiene possa essere irrogata (sul punto, ex multis, v. il recentissimo contributo di La Rocca, Il riesame delle misure cautelari personali, Torino, 2012), esprimerebbe la chiara intenzione del Legislatore di rendere operativa la presunzione di adeguatezza per i reati ivi elencati (così Garuti, voce Misure coercitive (dir. pen. proc.), in Enc. dir., Agg. VI, 2002, 740).
Di qui, in definitiva, il principio di diritto secondo cui la praesumptio in analisi valga tanto nel momento iniziale che nelle vicende successive all’adozione del provvedimento restrittivo.
In secondo luogo, il Giudice di legittimità ha ritenuto non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale prospettata dalla difesa Lipari, posto che, sulla scorta del principio appena enunciato, l’art. 275, co. 3, c.p.p., dovrebbe trovare applicazione anche in relazione ai delitti aggravati dall’art. 7 del d.l. n. 152 del 1991, convertito nella l. n. 203 del 1991.
La decisione porta con sé il pregio di aver stabilito una linea di demarcazione tra il fenomeno criminoso mafioso e le fattispecie criminose “comuni” aggravate ex art. 7, d.l. n. 152 del 1991, che altrimenti – laddove non si acquisissero elementi specifici in relazione al caso concreto dai quali risulti che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte con altre misure – verrebbero ingiustamente parificate (in questi termini, Cass., Sez. un., 10 settembre 2012, n. 34474, Ucciero, cit.).
4. Come anticipato in apertura, con la sentenza n. 57 del 2013 (per un maggiore approfondimento sulla pronuncia, cfr. le immediate riflessioni di La Rocca, Il ridimensionamento progressivo delle presunzioni nel regime custodiale obbligatorio, in www.archiviopenale.it), la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 275, co. 3, c.p.p., nella parte in cui imponeva l’applicazione della sola misura custodiale in carcere in presenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p., o al fine di agevolare l’attività delle associazioni contemplate dalla medesima norma.
Con l’occasione si è seguito, per l’ennesima volta, il percorso argomentativo segnato dalla sua giurisprudenza teso a garantire la necessità che – alla luce dei principi costituzionali di riferimento (artt. 3, 13, co. 1, 27, co. 2, Cost.) – la disciplina delle misure cautelari sia ispirata al criterio del “minor sacrificio necessario” e che, dunque, la presunzione assoluta di adeguatezza non possa impedire al giudice di adeguare la sua decisione alle circostanze del caso concreto.
In questa prospettiva a nulla sono bastate le repliche dell’Avvocatura dello Stato, la quale, a sostegno della tesi contraria, ha prospettato l’applicazione di quell’orientamento costituzionale (v. sentenza n. 450 del 1995, in www.cortecostituzionale.it), seguito poi anche dall’avallo della Corte di Strasburgo (sentenza 6 novembre 2003, Pantano c. Italia, in Dir. e Giust., 2003, 45, 92 ss., con nota di Buonuomo; in proposito si v. anche l’autorevole contributo di Mantovani, Dalla Corte europea una «legittimazione» alla presunzione relativa di pericolosità degli indiziati per mafia, in Leg. pen., 2004, 513), che aveva legittimato la compatibilità della presunzione in argomento con i principi costituzionali, rilevando che la scelta del tipo di misura non implica necessariamente l’attribuzione in capo a giudice di un potere di apprezzamento in concreto, in quanto ben può essere oggetto di una valutazione in termini generali da parte del Legislatore, «nel rispetto della ragionevolezza della scelta e del corretto bilanciamento dei valori costituzionali coinvolti». Su questa linea, la Corte e.d.u. si era più avanti pronunciata affermando che la disciplina derogatoria così prevista appariva giustificabile alla luce «della natura specifica del fenomeno della criminalità organizzata e soprattutto di quella di stampo mafioso», tenendo presente che la carcerazione provvisoria delle persone accusate di delitti di questa specie «tende a tagliare i legami esistenti tra le persone interessate e il loro ambito criminale di origine, al fine di minimizzare il rischio che esse mantengano contatti personali con le strutture delle organizzazioni criminali e possano commettere nel frattempo altri delitti».