Illegittimo il 41-bis nella parte in cui limita i colloqui dei detenuti con il proprio difensore – C. Cost. 143/2013
Corte costituzionale, Sentenza 20 giugno 2013 n. 143
Presidente Gallo, Relatore Frigo
Con la sentenza numero 143 del 2013 la Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 41-bis dell’Ordinamento penitenziario nella parte in cui stabilisce limiti tassativi ai colloqui tra detenuti e difensori.
Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera b) promosso da un Magistrato di sorveglianza di Viterbo in riferimento agli articoli 3, 24 e 111, terzo comma, della Costituzione la Corte ha stabilito che le restrizioni in questione (in forza delle quali i detenuti sottoposti al regime penitenziario speciale sono ammessi ad effettuare con i difensori, «fino ad un massimo di tre volte alla settimana, una telefonata o un colloquio della stessa durata di quelli previsti con i familiari», pari rispettivamente a dieci minuti e a un’ora.) «per il modo in cui sono congegnate, si traducono in un vulnus del diritto di difesa incompatibile con la garanzia di inviolabilità sancita dall’articolo 24, secondo comma, della Costituzione».
La vicenda prende le mosse da un reclamo proposto da un detenuto, ai sensi dell’art. 35 della legge n. 354 del 1975, avverso il provvedimento dell’8 settembre 2011, con cui il direttore della casa circondariale di Viterbo aveva respinto la richiesta del reclamante volta ad ottenere un colloquio visivo con un avvocato, designato come suo difensore di fiducia in un procedimento penale pendente davanti al Tribunale di Palmi. Il diniego si basava, per l’appunto, sul disposto poc’anzi richiamato dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lettera b).
Attraverso il reclamo il detenuto aveva lamentato l’avvenuta lesione del proprio diritto di difesa, eccependo l’illegittimità costituzionale della norma posta a base della decisione del direttore.
Il Magistrato di sorveglianza di Viterbo nel sollevare la questione alla Consulta dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 41-bis, comma 2-quater, lettera b), in quanto la parte in cui pone limitazioni al diritto ai colloqui con i difensori violerebbe l’art. 3 Cost., riservando ai detenuti in regime speciale un trattamento deteriore rispetto a quello accordato alla generalità degli altri detenuti, non giustificabile né con la loro maggiore pericolosità, la quale non potrebbe incidere in senso limitativo sull’esercizio del diritto di difesa; né con un minore livello delle esigenze difensive, avendo, al contrario, i detenuti in regime speciale esigenze difensive solitamente maggiori rispetto ai detenuti “comuni”, in correlazione al più elevato numero e alla maggiore complessità dei procedimenti penali pendenti a loro carico; l’art. 24 Cost., determinando una evidente compressione del diritto di difesa del detenuto, a fondamento della quale non potrebbe essere invocata l’esigenza di impedire contatti con i membri dell’organizzazione criminale di appartenenza, non essendo tale esigenza riferibile ai rapporti con i difensori, i quali non potrebbero essere normativamente gravati «del sospetto di porsi come illecito canale di comunicazione» e, infine, l’art. 111, terzo comma, Cost., giacché le limitazioni censurate impedirebbero ai detenuti in questione – spesso contemporaneamente coinvolti in una pluralità di procedimenti penali – di disporre del tempo necessario per preparare efficacemente la propria difesa.
La Consulta ha giudicato la questione fondata con riferimento all’art. 24 Cost.
Ad avviso sia della Corte Costituzionale che della Corte Europea di Strasburgo, infatti, la garanzia costituzionale del diritto di difesa comprende la difesa tecnica e, dunque, anche il diritto – ad essa strumentale – di conferire con il difensore (“il diritto dell’accusato a comunicare in modo riservato con il proprio difensore rientra tra i requisiti basilari del processo equo in una società democratica, alla luce del disposto dell’art. 6, paragrafo 3, lettera c), della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” v., tra le molte, Corte europea dei diritti dell’uomo, 13 gennaio 2009, Rybacki contro Polonia; 9 ottobre 2008, Moiseyev contro Russia; 27 novembre 2007, Asciutto contro Italia; 27 novembre 2007, Zagaria contro Italia).
Inoltre – proseguono i giudici delle leggi – sul versante interno, il codice di procedura penale del 1988 – innovando al regime meno favorevole prefigurato dal codice anteriore – ha sancito il diritto dell’imputato in custodia cautelare a conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della misura; diritto il cui esercizio può essere dilazionato dal giudice, su richiesta del pubblico ministero, solo in presenza di «specifiche ed eccezionali ragioni di cautela» ed entro limiti temporali ristrettissimi: non più di sette giorni, ridotti poi a cinque (art. 104 del codice di procedura penale).
Al riguardo, occorre considerare come si sia di fronte a restrizioni rigide, indefettibili e di lunga durata: ben diverse, dunque, da quella resa possibile, in termini generali, dal citato art. 104, comma 3, cod. proc. pen. nei confronti dell’imputato in custodia cautelare. A fronte della modifica apportata al secondo periodo del comma 2-quater dell’art. 41-bis la compressione del diritto ai colloqui difensivi consegue – al pari delle altre restrizioni normativamente prefigurate – in modo automatico e indefettibile all’applicazione del regime detentivo speciale (al riguardo, sentenza n. 190 del 2010) e lo accompagna per tutta la sua durata, fissata ora in quattro anni, con possibilità di proroga per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (comma 2-bis).
I limiti in questione operano d’altro canto invariabilmente, a prescindere non solo dalla natura e dalla complessità dei procedimenti giudiziari (o, amplius, contenziosi) nei quali il detenuto è (o potrebbe essere) coinvolto e dal grado di urgenza degli interventi difensivi richiesti, ma anche dal loro numero e, quindi, dal numero dei legali patrocinanti con i quali il detenuto si debba consultare. L’interpretazione in tali sensi della norma censurata, prontamente adottata dall’amministrazione penitenziaria (circolare del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia n. 297600-2009 del 3 settembre 2009), risponde, in effetti, tanto al dato testuale (la norma menziona i «difensori» al plurale e non fa alcun accenno a un incremento dei limiti in funzione della pluralità dei procedimenti cui il detenuto sia interessato), quanto alla ratio della novella legislativa del 2009, dianzi evidenziata.
In conclusione, tali restrizioni, per il modo in cui sono congegnate, si traducono in un vulnus del diritto di difesa incompatibile con la garanzia di inviolabilità sancita dall’art. 24, secondo comma, Cost.
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