Occupazione di lavoratori privi di permesso di soggiorno: si tratta di delitto (e non di contravvenzione) e pertanto il datore di lavoro risponde solo per dolo e non per colpa – Cass. Pen. 21362/2013
Cass. Pen., Sez. I, 20 maggio 2013 (ud. 19 aprile 2013), n. 21362
Presidente Chieffi, Relatore Bonito
Depositata il 20 maggio 2013 un’interessante pronuncia della Suprema Corte in tema di abolitio criminis parziale.
In particolare, la Cassazione si è pronunciata sull’elemento soggettivo del reato di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 22, comma 12, per avere l’imputata – titolare di un esercizio commerciale – occupato alle proprie dipendenze un cittadino sprovvisto di permesso di soggiorno.
Il giudice territoriale aveva osservato che il reato in questione, in quanto contravvenzionale, rendeva inconsistente il rilievo difensivo relativo alla mancanza di dolo quanto alla conoscenza dello stato di irregolarità dell’assunto.
Proponeva ricorso per Cassazione l’imputata sollevando, con il secondo motivo, difetto di motivazione in relazione alla ricorrenza nella fattispecie dell’elemento psicologico del reato: in particolare, osserva sul punto la difesa che il reato è attualmente punito a titolo di dolo e come delitto, mentre al momento della contestazione la condotta era invece punita a titolo di colpa e come contravvenzione.
Su tale presupposto, pertanto, si chiedeva di applicare al caso in esame la disciplina più rigorosa dappoichè comunque più favorevole, in concreto, in ordine alla prova dell’elemento psicologico del reato. In tale ipotesi infatti non risultava provato che l’imputata, al momento dell’accertamento dei fatti, conoscesse la situazione del cittadino e che, in particolare, lo stesso fosse sfornito di permesso di soggiorno.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso.
Per quanto riguarda, in particolare, l’elemento psicologico del reato di cui sopra, osserva il Collegio che al riguardo la Corte territoriale ha esplicitamente valorizzato la natura contravvenzionale del reato previsto dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 22, comma, 5, oggetto di contestazione, punito all’epoca dei fatti anche a titolo di colpa, non elisa dalla buona fede del datore di lavoro (cfr. tra le tante Cass., Sez. 1, n. 8661 del 08/02/2005, Pace).
Tuttavia, i giudici del merito non hanno correttamente considerato che il D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 5, comma 1 ter, convertito in L. 24 luglio 2008, n. 125 – volendo reprimere più gravemente il reato e sostituendo la pena dell’arresto da tre mesi ad un anno e dell’ammenda di Euro 5.000 per ogni lavoratore impiegato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa di Euro 5.000, sempre per ogni lavoratore impiegato – ha trasformato la contravvenzione in delitto, di guisa che allo stato, ai sensi dell’art. 42 c.p., comma 2, il fatto è ora punito solamente se commesso con dolo, non essendo nulla di diverso espressamente preveduto dalla norma incriminatrice.
L’intervento normativo del 2008, pertanto, ha reso penalmente irrilevante la responsabilità colposa, risolvendosi, per tale ipotesi, in una abolizione parziale della fattispecie previgente (cfr. Cass., sez. 1, 30.11.2010, n. 9882, rv. 249867)
Tanto premesso, osserva il Collegio che, ai sensi dell’art. 2 c.p., comma 2, anche le condotte pregresse di impiego di stranieri privi del permesso di soggiorno valevole a fini lavorativi, possono dunque essere tuttora punite solamente se dolose, fermo, a mente medesimo art. 2, comma 4, che ad esse resta applicabile il trattamento sanzionatorio previgente, più favorevole (e quindi la pena dell’arresto e dell’ammenda) (Cass. 9882/2010 cit.).
Di qui il principio di diritto che l’errore, ancorchè colposo, del datore di lavoro sul possesso di regolare permesso di soggiorno da parte dello straniero impiegato, cadendo su elemento normativo integrante la fattispecie, comporta l’esclusione della responsabilità penale.
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