Sull’ efficacia preclusiva del provvedimento di archiviazione
1. Dispone l’art. 414 c.p.p: “Dopo il provvedimento di archiviazione emesso a norma degli articoli precedenti, il giudice autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dalla esigenza di nuove investigazioni“.
Quid iuris nel caso di indagini o esercizio dell’azione penale in mancanza della necessaria riapertura delle indagini?
2. Una volta disposta l’archiviazione, il pubblico ministero che voglia svolgere nuove investigazioni nei confronti del medesimo soggetto sul medesimo fatto deve richiedere al G.i.p. la autorizzazione alla riapertura delle indagini.
L’art. 414 c.p.p. nell’attribuire al provvedimento di archiviazione efficacia preclusiva [1], tralascia, tuttavia, di precisare quali siano le conseguenze in caso di violazione di tale procedura: quali siano, cioè, le conseguenze in caso di esercizio dell’azione penale da parte del pubblico ministero che non si sia preventivamente curato di chiedere, ed ottenere, la necessaria riapertura delle indagini.
Posto che in tal caso il p.m. tiene una condotta contraria alla legge processuale e perciò da sanzionare – se non altro perché sarebbe illogico prevedere una determinata procedura autorizzativa e al contempo consentirne un’impunita elusione [2] – il problema si pone nell’individuazione della sanzione processuale da applicare.
La disposizione, inoltre, si limita a far riferimento allo svolgimento di nuove indagini, senza prendere in considerazione la formulazione di un’imputazione e la risposta sanzionatoria da applicare in tale evenienza andrà ricavata dal sistema. [3]
Da una prima lettura della disposizione, si potrebbe dedurre che, avendo l’autorizzazione ad oggetto esclusivamente lo svolgimento di attività di indagine e non il potere-dovere di esercitare l’azione penale, il pubblico ministero non potrebbe procedere ad ulteriore attività di indagine ma nulla gli vieterebbe di riconsiderare il quadro probatorio precedente esercitando l’azione penale.
In ogni caso, un primo punto fermo è pacifico: non è sulla sola formulazione letterale dell’art. 414 c.p.p. che si può fondare una solida e lineare ricostruzione dell’istituto della riapertura delle indagini. [4]
Nonostante l’idea che al pubblico ministero possa essere precluso l’esercizio della azione penale sia stata autorevolmente giudicata “ipotesi folle” [5], in realtà sin dall’entrata in vigore del nuovo codice la dottrina si è mostrata divisa: secondo una posizione di maggior rigore il decreto di riapertura riveste natura di condizione di procedibilità atipica in difetto della quale l’azione penale non è validamente esercitata [6]; secondo altra teoria, una limitazione di questo tipo sarebbe intollerabile nel nostro ordinamento tenuto conto del principio di obbligatorietà dell’azione penale ex art. 112 Cost., e pertanto, l’unica conseguenza della violazione dell’art. 414 c.p.p. sarebbe l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti senza autorizzazione. [7]
Altrettanto divisa è stata la giurisprudenza: la questione, dopo essere stata affrontata dalla Corte Costituzionale [8], è stata rimessa per due volte alle Sezioni Unite a distanza di dieci anni l’una dall’altra. [9]
Il punto di arrivo offerto dalla giurisprudenza – sulla cui correttezza non vale più la pena discutere, dovendo piuttosto limitarci a prenderne atto [10] – è che la mancata adozione del provvedimento autorizzativo di riapertura delle indagini provoca due diverse conseguenze: l’inutilizzabilità degli esiti di indagine successivi alla archiviazione non rimossa e la preclusione all’esercizio della azione penale.
3. Può essere utile ripercorrere brevemente le tappe salienti dell’evoluzione giurisprudenziale che ha interessato l’art. 414 c.p.p.
Nel 1995 la Corte Costituzionale attribuisce al provvedimento di archiviazione efficacia preclusiva stabilendo che “carattere indefettibile di ogni ipotesi di preclusione è quella di rendere improduttivi di effetti l’atto o l’attività preclusi, ed è compito del giudice quello di sancire tale inefficacia”. [11]
Il giudice delle leggi ha evidenziato come, in mancanza del provvedimento di cui all’art. 414 c.p.p., si debba impedire l’esercizio dell’azione penale
All’indomani di tale pronuncia, alcune decisioni hanno abbracciato l’interpretazione proposta dai giudici costituzionali, altre l’hanno ignorata.
Tra le prime, si sono avute pronunce che hanno stabilito che devono ritenersi preclusi, in assenza di una autorizzazione alla riapertura delle indagini, l’instaurazione di un nuovo procedimento e l’esercizio della azione penale riguardanti un fatto già oggetto di archiviazione, sicché il giudice, qualora il p.m. non abbia dimostrato di aver ottenuto la autorizzazione predetta, deve prendere atto della mancanza del presupposto per procedere”. [12]
Sempre in linea con l’interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale, una successiva pronuncia di legittimità [13] si è dimostrata attenta a delimitarne il campo di operatività, circoscrivendo la portata limitatamente preclusiva del decreto di archiviazione agli stessi organi giudiziari protagonisti del procedimento di archiviazione, ribadendo quanto già sostenuto da una precedente pronuncia di merito [14] che aveva sostenuto la necessità del decreto di autorizzazione di riapertura delle indagini limitatamente al compimento di nuove investigazioni nell’ambito del medesimo procedimento già archiviato.
Stante il contrasto giurisprudenziale la questione approda nel 2000 al vaglio delle Sezioni Unite.
Chiamate a chiarire quali effetti potesse produrre la carenza di autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari quando si proceda per gli stessi fatti già oggetto di archiviazione, i giudici di legittimità aderiscono all’interpretazione fornita dalla Consulta cinque anni prima.
Schierandosi a favore dell’impostazione maggiormente garantista si è escluso che, in assenza del provvedimento di autorizzazione alla riapertura delle indagini preliminari, possano condursi utili investigazioni e possa legittimamente esercitarsi l’azione penale. [15]
Disattendendo l’orientamento contrario secondo cui oggetto dell’autorizzazione sarebbe esclusivamente lo svolgimento di attività di indagine e non il potere-dovere di esercitare l’azione penale – e pertanto il pubblico ministero non potrebbe procedere ad ulteriore attività di indagine ma nulla gli impedirebbe di riconsiderare il quadro probatorio precedente esercitando l’azione penale [16] – si è riconosciuta al provvedimento autorizzativo del giudice natura di vera e propria “autorizzazione a procedere” e non soltanto “ad investigare”. [17]
Tuttavia, a distanza di dieci anni dalla pronuncia appena citata, si giunge ad una nuova rimessione della questione alle Sezioni Unite attraverso la quale viene ulteriormente precisato l’ambito di applicazione di tale preclusione. [18]
Si è tornati, cioè, a ribadire quanto affermato dalla Consulta 15 anni prima: il decreto di riapertura delle indagini svolge funzione di condizione di procedibilità la cui mancanza impedisce l’esercizio della azione penale e non soltanto l’utilizzazione degli esiti delle indagini compiute dopo la archiviazione non rimossa.
Tale effetto preclusivo investe l’esercizio della azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, da parte del medesimo ufficio del pubblico ministero.
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[1] Riconoscono effetto preclusivo all’archiviazione A. Nappi, Guida al codice di procedura penale, Milano, 1997, p. 326; G. Giostra, L’archiviazione: lineamenti sistematici e questioni interpretative, Giappichelli, 1994, p. 92; R. E. Kostoris, voce Riapertura delle indagini, in Enc. Dir., XL, Giuffrè, 1989, 351; S. Ramajoli, Chiusura delle indagini preliminari e udienza preliminare, Cedam, 1992, p. 9; O. Dominioni, Chiusura delle indagini preliminari e udienza preliminare, in Il nuovo processo penale. Dalle indagini preliminari al dibattimento, Giuffrè, 1989, p. 67.
[2] L. Padula, L’archiviazione: modelli, questioni e scelte operative, Giuffrè, 2005, p. 363
[3] Sulla lacunosità della disposizione in esame v. G. Giostra, op. cit., p. 93 che la definisce “norma sciatta”.
[4] G. Giostra, op. cit., p. 93
[5] F. Cordero, Procedura Penale, Giuffrè, 2012, p. 968 secondo il quale “si tratta di figura abnorme; il p.m. ha chiesto un permesso di inazione, ritenendo che i materiali non bastino all’accusa, e ottenutolo, è in regola se non agisce, ma nulla gli vieta ulteriori passi: quale organo della domanda penale può, anzi deve compierli. Al contrario, secondo questa norma stravagante, gli occorre una licenza inversa”.
[6] Di questo avviso A. Nappi, op. cit., p. 341; L. Carli, Le indagini preliminari nel sistema processuale, Giuffrè, 1999, p. 537; I. Russo, Riapertura delle indagini, in Riv. Pen., 1997, p. 441; Giostra, op. cit., p. 99 secondo il quale, ragionando al contrario, si arriverebbe alla “stranezza di un p.m. che, tenuto ad esercitare l’azione penale quando non sussistono i presupposti per l’archiviazione, sia abilitato ad esercitarla quando non solo abbia già ritenuto insussistenti i presupposti per l’archiviazione, ma questi siano già stati accertati dall’organo giurisdizionale”; tendenzialmente di questo avviso anche L. Padula, L’archiviazione: modelli, questioni e scelte operative, Giuffrè, 2005, p. 372.
[7] Di questo diverso avviso Galantini, voce Riapertura delle indagini, in Dig. D. pen., vol. XII, Utet, 1997, p. 166; R. E. Kostoris, voce Riapertura delle indagini, in Enc. Dir., XL, Giuffrè, 1989, 355; L. Padula, op. cit., p. 325; Orlandi, Effetti preclusivi dell’archiviazione, in Cass. Pen., 1998, p. 3291; A. Bernardi in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da M. Chiavario, vol. IV, sub art.414, Utet, 1990, p. 554; F. Caprioli in Codice di procedura penale commentato, a cura di A. Giarda e G. Spangher, sub art. 414, II ed.; C. Scarpello, L’archiviazione in Enciclopedia, collana diretta da P. Cendon, n. 74, Cedam, 2002, p.137 nonché Macchia, in Cass. Pen., 1995, p. 1147.
[8] Corte Costituzionale, sentenza 19 gennaio 1995, n. 27, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 1371 con nota critica di F. Caprioli e in Cass. Pen., 1995, p. 1147 con osservazioni di A. Macchia
[9] Sez. Un., 22 marzo 2000, n.9, Finocchiaro in Cass. Pen., 2000, p. 2610 e Sez. Un., 24 giugno 2010, n. 33885, Giuliani, in Dir. pen. e proc., 2011, 4, 422.
[10] R. Aprati, Efficacia preclusiva locale del provvedimento di archiviazione e criteri di priorità “negativi”, in Dir. Pen. e Processo, 2011, 4, p. 422
[11] C. Cost. Sentenza 19 gennaio 1995, n. 27, in Riv. it. dir. proc. pen., 1995, p. 1371 con nota di F. Caprioli e in Cass. Pen., 1995, p. 1147 con osservazioni di A. Macchia
[12] Sez. I, 30 aprile 1996, Zara, in Cass. Pen., 1997, p. 2515
[13] Sez. VI, 18 settembre 1996, Tagliari, in Cass. Pen., 1997, p. 2117
[14] Trib. Vercelli, 3 dicembre 1992, Barisone, in Cass. Pen., 1993, p. 1570
[15] Sez. Un., 22 marzo 2000, n.9, Finocchiaro in Cass. Pen., 2000, p. 2610
[16] In questo senso, Sez. I, 30 novembre 1995, Greco, in C.E.D. Cass. n. 203871 nonché Sez. I, 1 ottobre 1996, Palumbo, in C.E.D. Cass. n. 206004
[17] L. Norcio, L’autorizzazione ex art. 414 c.p.p., tra garantismo apparente e garantismo reale, in Cass. Pen., 2001, p.40
[18] Sez. Un., 24 giugno 2010, n. 33885, Giuliani, in Dir. pen. e proc., 2011, 4, 422