Concussione per costrizione e per induzione: la Cassazione prova a tracciare i confini – Cass. Pen. 29338/2013
Cass. Pen., Sez. VI, 9 luglio 2013 (ud. 23 maggio 2013), n. 29338
Presidente Agrò, Relatore Citterio
Depositata il 9 luglio una nuova pronuncia della sesta sezione in materia di reati contro la pubblica amministrazione.
La Suprema Corte coglie l’occasione per tracciare i confini del reato di concussione a seguito del cd. “sdoppiamento” della nuova concussione per costrizione e per induzione.
In particolare, i giudici della sesta sezione hanno precisato che il criterio distintivo tra le due ipotesi di concussione non può essere ravvisato nella diversa intensità della pressione psicologica sul soggetto passivo: ciò che rileva non è, infatti, il modo, bensì il contenuto intrinseco di quanto si prospetta al soggetto passivo che non assecondi la volontà del pubblico agente.
Viene richiamato, a tal proposito, un passaggio di una recente sentenza della seconda sezione penale secondo cui “la giurisprudenza di questa Corte è ormai da tempo consolidata nell’affermare che… nella nozione di minaccia rientra qualsiasi comportamento od atteggiamento intimidatorio dell’agente, che sia idoneo ad eliminare o ridurre sensibilmente nel soggetto passivo la capacità di determinarsi e di agire secondo la propria volontà indipendente. Pertanto, non occorre neppure una minaccia verbale od esplicita, essendo sufficiente un qualsiasi comportamento o atteggiamento, tanto verso il soggetto passivo quanto verso altri, idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di subire un danno ingiusto, onde ottenere che, mediante tale intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare od omettere qualche cosa” (Sez.2, sent. 39756/2011).
Assume al contrario chiara efficacia discriminante (con risultato pienamente congruo sia alla ratio della distinzione per oggettiva e riconoscibile diversa gravità sia alle esigenze costituzionali sottese al principio di tassatività delle fattispecie incriminatrici che, infine, a quelle internazionali che hanno sollecitato un intervento legislativo che impedisse l’immunità del cittadino per vantaggi personali connessi a illeciti comportamenti pubblici) il “tipo” di male prospettato dal pubblico ufficiale al cittadino: tale male può essere caratterizzato da una ingiustizia oggettiva – è il caso del male comunque non dovuto, del danno ingiustificato – ovvero può essere caratterizzato da una ingiustizia solo percepita soggettivamente – ed è il caso delle conseguenze negative tuttavia conformi a previsioni di legge, che vangano prospettate strumentalmente e con abuso della posizione dominante.
Mentre nel primo caso la prospettazione del danno oggettivo e ingiusto/ingiustificato “mette sostanzialmente la vittima con le spalle al muro”, integrando pertanto un abuso costrittivo, nel secondo la non oggettiva ingiustizia del danno e, conseguentemente, la partecipazione del destinatario della sollecitazione pure particolarmente invasiva ad un vantaggio personale (pur nella sperequazione del rapporto, altrimenti di tipo corruttivo), lascia al destinatario spazi di autonoma possibilità di determinazione orientati anche da una valutazione del rapporto costo/beneficio personale. Rapporto che, per l’assoluta ingiustizia del danno, è insussistente nel primo caso, nel quale il concusso non ha alcuna ragione di dare o promettere alcunchè al pubblico ufficiale, o ad altri da lui indicato, che non sia la costrizione di quello nei suoi confronti.
Ricordiamo, per dovere di completezza, che è già stata rimessa alle Sezioni Unite (che si pronunceranno il prossimo 24 ottobre) la questione su quale sia, a seguito della legge 6 novembre 2012, n. 190, la linea di demarcazione tra la fattispecie di concussione (prevista dal novellato art. 317 cod. pen.) e quella di induzione indebita a dare o promettere utilità (prevista dall’art. 319 quater cod. pen. di nuova introduzione) soprattutto con riferimento al rapporto tra la condotta di costrizione e quella di induzione.
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