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Reformatio in peius: la Cassazione applica l’art. 6 CEDU come interpretato nella sentenza Dan c. Moldavia

Cass. Pen., Sez. II, 10 luglio 2013 (ud. 17 maggio 2013), n. 29452
Presidente Macchia, Relatore Manna

Depositata il 10 luglio 2013 la pronuncia numero 29452 della seconda sezione penale della suprema Corte in tema di reformatio in peius.
La Cassazione, in particolare, ha sancito che il giudice di appello, per riformare “in peius” una sentenza di assoluzione, non è obbligato – in base all’art. 6 CEDU nell’interpretazione che ne ha dato la Corte di Strasburgo con la sentenza del 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia – alla rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado quando la sua decisione si fonda su un diverso apprezzamento di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione.
Ha ribadito la Corte che, partire dalle note cd. sentenze “gemelle” nn. 348 e 349 del 2007 la Corte cost. ha statuito che nel sistema delle fonti del nostro ordinamento le disposizioni della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, così come interpretate dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo, hanno il rango di norme interposte (o, se si preferisce, di livello subcostituzionale) che, attraverso il meccanismo di adattamento previsto dall’art. 117 Cost., comma 1 diventano esse stesse parametro di legittimità costituzionale delle norme di diritto interno, di guisa che il giudice nazionale deve applicare queste ultime secondo un’interpretazione non solo costituzionalmente conforme, ma anche convenzionalmente orientata (si vedano, più di recente, anche Corte cost. n. 1 e n. 113 del 2011; Corte cost. n. 93, n. 138, n. 187 e n. 196 del 2010; Corte cost. n. 239 n. 311 en. 317 del 2009; Corte cost. n. 39 del 2008).
L’art. 6 CEDU, in particolare, non condiziona indefettibilmente il potere del giudice d’appello di ribaltare una precedente pronuncia assolutoria alla rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado: nella propria giurisprudenza la Corte di Strasburgo ha solo affermato che coloro i quali “hanno la responsabilità di decidere la colpevolezza o l’innocenza dovrebbero, in linea di massima, poter udire i testimoni personalmente e valutare la loro attendibilità” e che “la valutazione dell’attendibilità di un testimone è un compito complesso che generalmente non può essere eseguito mediante una semplice lettura delle sue parole verbalizzate” (sentenza 5.7.2011, Dan c. Moldavia; in senso analogo v. anche 21.9.2010 Marcos Barrios c. Spagna; 27.11.2007, Popovici c. Moldavia;).
Si tratta di una regola non assoluta e comunque riferita essenzialmente alla possibilità di sentire in prima persona i dichiaranti per valutarne l’attendibilità.
Dunque, il rispetto dell’art. 6 CEDU nei sensi innanzi puntualizzati non può prescindere (come sempre, d’altronde, nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo) dalle caratteristiche specifiche del procedimento che si sta celebrando e dal caso concreto.
Questo, in conclusione, il principio di diritto sancito dalla Cassazione:
“in base all’interpetazione che i giudici di Strasburgo hanno dato dell’art. 6 CEDU con la sentenza del 5 luglio 2011, Dan c. Moldavia, il giudice di appello, per riformare “in peius” una sentenza di assoluzione, non è obbligato alla rinnovazione delle prove dichiarative assunte in primo grado quando la sua decisione si sia fondata su un diverso apprezzamento di conversazioni telefoniche oggetto di intercettazione”.

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Redazione Giurisprudenza Penale

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