Reformatio in peius: l’esclusione di una aggravante in appello non obbliga il giudice a ridurre la pena
Cassazione Penale, Sezioni Unite, 2 agosto 2013 (ud. 18 aprile 2013), n. 33752
Presidente Lupo, Relatore Siotto
Depositate ieri le motivazioni delle Sezioni Unite nella pronuncia numero 33752 in tema di reformatio in peius.
Prima di affrontare la pronuncia in questione vediamo però come si è giunti al pronunciamento delle Sezioni Unite: come avevamo anticipato qualche settimana fa (clicca qui per leggere l’articolo), lo scorso 21 febbraio era stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “se il giudice di appello, dopo aver escluso una circostanza aggravante in accoglimento del motivo proposto dall’imputato, possa confermare la pena applicata in primo grado ribadendo il giudizio di equivalenza tra le residue circostanze” (clicca qui per scaricare l’ordinanza di rimessione alle Sezioni Unite).
L’udienza si è tenuta lo scorso 14 aprile e dal servizio novità della Cassazione si era potuto apprendere solo che al quesito era stata fornita risposta “affermativa“: ossia, secondo le Sezioni Unite, quando il giudice di appello esclude una aggravante non deve necessariamente ridurre la pena.
Oggi si conoscono anche le motivazioni.
In breve, due erano gli orientamenti giurisprudenziali contrapposti: secondo il primo, in caso di impugnazione del solo imputato, la conferma del trattamento sanzionatorio da parte del giudice di appello – attraverso la conferma del giudizio di comparazione delle circostanze formulato dal giudice di primo grado – pur dopo l’esclusione di una circostanza aggravante non violerebbe il divieto di reformatio in peius; secondo il secondo, al contrario, il giudice di appello che escluda una circostanza aggravante e riformuli il giudizio di comparazione sarebbe vincolato a giungere ad un esito più favorevole per l’imputato, incorrendo altrimenti nella violazione del citato divieto; sui precedenti giurisprudenziali conformi ai due orientamenti si rinvia alle motivazioni.
I giudici di legittimità prendono le mosse osservando come la questione sia strettamente connessa alla tematica più generale dell’ambito di cognizione del giudice di appello ai sensi dell’art. 597 c.p.p. e della corretta interpretazione del divieto di reformatio in peius disciplinato dai commi 3 e 4 dello stesso articolo, quando l’impugnante sia il solo imputato.
Al fine di risolvere la questione – osserva la Corte – deve rammentarsi la ratio della disposizione: con essa il legislatore ha inteso, da un lato, limitare la cognizione del giudice di appello ai punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti e dall’altro ha imposto il divieto di riformare in senso peggiorativo il trattamento sanzionatorio quando a proporre appello sia solo l’imputato e non anche il pubblico ministero.
In particolare il Collegio ha ritenuto di dover aderire al primo dei due orientamenti citati, secondo il quale la conferma da parte del giudice dell’impugnazione dell’esito del precedente giudizio di comparazione tra circostanze – pur dopo l’esclusione di una circostanza aggravante – non viola i principi posti dal terzo e dal quarto comma dell’art. 597 c.p.p.
Concludono il loro ragionamento i giudici sottolineando come a favore di questo indirizzo militino anche ragioni di ordine sistematico: si pensi, ad esempio, al potere del giudice di appello di estrinsecare liberamente – nei limiti del devolutum – i suoi poteri di cognizione con ampia libertà di motivazione; oppure alla innegabile autonomia e discrezionalità del giudizio di comparazione delle circostanze che non sempre conduce ad attribuire un peso quantitativamente apprezzabile ad ogni elemento considerato per cui una “alterazione” dei termini di comparazione non comporta necessariamente una “alterazione” del giudizio precedentemente espresso” (si fa l’esempio, in motivazione, di 4 circostanze aggravanti ritenute equivalenti ad una attenuante e alla eventualità che il giudice di appello escluda una sola delle 4 circostanze aggravanti: una logica rigidamente “matematica” – comportante la automatica riduzione della pena inflitta – porterebbe a snaturare il giudizio di appello e il potere attribuito al giudice di valutare la gravità del fatto).
Si sarebbe di fronte, in sostanza, ad una “presunzione assoluta” di modifica del precedente giudizio implicante una obbligatoria formulazione di un giudizio più favorevole con un’inaccettabile invasione del campo di valutazione discrezionale del giudice di appello.
In conclusione, viene affermato il seguente principio di diritto: il giudice di appello, pur dopo avere escluso una circostanza aggravante o riconosciuto una ulteriore circostanza attenuante in accoglimento dei motivi proposti dall’imputato, può, senza incorrere nella violazione del divieto di reformatio in peius, confermare la pena applicata in primo grado, ribadendo il giudizio di equivalenza tra le circostanze purché esso sia accompagnato da adeguata motivazione.
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