Il trasferimento di procedimenti nella cooperazione giudiziaria in materia penale: l’impatto della normativa europea sul sistema italiano
1. “Tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità”.
L’espressione, utilizzata dapprima da Democrito, poi ripresa da Epicuro e infine rivisitata da Jacques Monod [1], in tempi più recenti sembra adattarsi alla pretesa di uno Stato che “vuole” conservare la forza della sua autorità pubblica stante la continua dialettica coi principi comunitari concorrenti.
Anche nel linguaggio comune, per trasferimento (dal lat. transferre, comp. di trans– “oltre” e ferre “portare”) si allude genericamente a quell’operazione di trasmigrazione che si traduce nel mutamento della titolarità gestionale di una determinata attività[2] da un centro operativo ad un altro. Cur e quid juris?
Nel nostro codice di rito si rinvengono diverse disposizioni normative volte a regolamentare in generale la trasmigrazione “interna” di atti, rispettivamente:
- a diverso pubblico ministero (art.54 quater cod. proc. pen.);
- a giudice competente in caso di impugnazione proposta a giudice incompetente (art. 568 cpp);
- ad altro ufficio del pubblico ministero (art.54 cod. proc. pen.);
- ad autorità competente nel caso di conflitto di giurisdizione ovvero a seguito di dichiarazione di incompetenza (artt. 20- 22 cod. proc. pen.);
infine di rogatorie ad autorità straniere (art.727 cod. proc. pen.).
2. Per individuare poi la disciplina di riferimento relativamente all’ipotesi in cui il meccanismo di cui sopra si trovi a operare in relazione ad autorità straniere, è alla normativa europea che bisogna guardare[3].
Gli strumenti offerti per la risoluzione dei conflitti di giurisdizione ed il principio romanistico del bis de eadem re non sit actio così come mutuato dal diritto transnazionale, sono fondamentalmente proclivi al medesimo fine: scongiurare l’avvio di una pluralità di azioni penali, onde l’instaurarsi di processi paralleli[4] , ed evitare il rischio antigarantistico che una persona venga processata più volte per il medesimo fatto.
Tuttavia, a differenza di quanto è avvenuto nei paesi di common law in cui si è da tempo radicata la regola double jeopardy rule[5] , nello Spazio europeo di Libertà, Sicurezza e Giustizia, le istituzioni sino ad oggi si sono occupate in maniera poco soddisfacente della predisposizione di regole comuni per la determinazione della competenza tra i vari Stati, nonché per la prevenzione/risoluzione dei conflitti giurisdizionali, e infine per il riconoscimento della decisione adottata da uno degli Stati membri.
Fra le ragioni in assoluto più significative, com’è noto, risiede principalmente l’ostilità di ciascuno Stato ad accettare – vere o presunte e comunque indesiderate – progressive limitazioni della propria sovranità[6] , le quali si concretizzerebbero, per il profilo che più attiene a questa trattazione, nella rinuncia all’esercizio dell’azione penale così come prevista e resa cogente nel nostro ordinamento ex art. 112 Cost[7].
L’esigenza sempre crescente di ovviare alla possibilità di sovrapposizioni d’indagini, ovvero di duplicazioni di processi e di giudizi, ha così portato, nel tempo, dapprima all’attuazione della Convenzione tra gli Stati membri delle Comunità europee firmata a Bruxelles nel 1987[8], e successivamente del famoso Accordo di Schengen del 1990, ed infine nel 2000 della Carta di Nizza assurta al rango di diritto fondamentale dell’Unione Europea (art. 50).
Per dovere di completezza, si rende necessario soffermarsi sulla curiosa triade di “articoli 21” dedicati specificatamente alla materia del trasferimento:
- art. 21 della Convenzione europea sul trasferimento dei procedimenti penali di Strasburgo del 1959;
- art. 21 della Convenzione M.A.P;
- art. 21 della Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale sottoscritta nel corso della Conferenza di Palermo nel 2000[9], le prime due attualmente non ratificate dall’Italia.
Tutt’e tre si limitano ad enunciare solennemente la finalità di cui sono portatori, senza tuttavia esplicitarne né il contesto né le modalità con cui tale scambio deve avvenire. Ad maiora.
3. Il 30 novembre 2009 il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato la decisione quadro 2009/948/GAI[10] sulla prevenzione e la risoluzione dei conflitti relativi all’esercizio della giurisdizione nei procedimenti penali, col proposito di prevenire eventuali violazioni del principio del ne bis in idem favorendo una più stretta cooperazione tra le autorità competenti di due o più Stati membri che seguano un determinato procedimento penale.
Al fine di consentire una più agevole ed efficiente amministrazione della giustizia, declinata secondo il predetto obiettivo di cooperazione, è stato espresso l’obbligo per l’autorità di uno Stato membro, che abbia fondati motivi di ritenere che stia procedendo per fatti in ordine ai quali sussista un procedimento parallelo in altro Stato membro, ad entrare in contatto con la corrispondente autorità straniera per avere conferma dell’esistenza di tale procedimento parallelo.
Successivamente alla fase dell’instaurazione del contatto, le autorità devono – secondo la decisione 2009/948/GAI – individuare la soluzione più congeniale per evitare un’inutile duplicazione dei procedimenti, promuovendo consultazioni dirette, finalizzate al raggiungimento di una intesa atta a << evitare le conseguenze negative derivanti da tali procedimenti paralleli>>[11], soluzione che può condurre al trasferimento del procedimento e quindi alla fisiologica concentrazione di entrambi i procedimenti penali in un unico Stato.
Il modello di cooperazione giudiziaria, cosiddetto “Terzo pilastro dell’Unione Europea[12]” fino all’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che emerge dall’analisi delle fonti – e in maniera peculiare dalla decisione quadro 2009/948/GAI – è sicuramente compatibile coi precetti fondamentali del nostro ordinamento costituzionale[13].
Il meccanismo del trasferimento dei procedimenti da uno Stato membro all’altro non pone in discussione il principio del giudice naturale precostituito per legge (ex art. 25, comma 1, Cost.), poiché l’eventuale accoglimento della richiesta determinerebbe l’arresto del procedimento dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, attraverso l’insorgere di una condizione di improcedibilità (ex art. 345 c.p.p.) o di un difetto di giurisdizione per tale causa (ex art. 20 c.p.p.), con conseguenze irrilevanti rispetto alla tenuta della garanzia costituzionale il cui contenuto è rivolto a disciplinare le competenze dei giudici all’interno dell’ordinamento e non anche del coordinamento fra le varie giurisdizioni dell’Unione Europea.
E’ stata poi la stessa Carta costituzionale a imporre agli operatori giuridici l’osservanza degli obblighi internazionali contenuti negli artt. 10, 11, 26, e 117 Cost., sì da permettere il recepimento di tutte le limitazioni di sovranità strumentali ad agevolare l’integrazione dell’Italia in una Comunità dalle maglie sempre più estese, a livello sia europeo che internazionale[14].
naloghe conclusioni[15] potrebbero essere svolte circa l’impatto col principio di legalità e col già menzionato principio di obbligatorietà dell’azione penale, in quanto i meccanismi e gli effetti che il trasferimento innesca devono considerarsi come il risultato di una operazione di bilanciamento.
La decisione quadro 2009/948/GAI insidia tuttavia più di una – macroscopica – lacuna, tralasciando la predisposizione di un catalogo puntuale di parametri da seguire per la determinazione della giurisdizione preminente in caso di ne bis in idem, ovvero, una disciplina di chiusura che sancisca espressamente le modalità tramite le quali concretamente dare attuazione al trasferimento del procedimento penale da uno Stato membro ad un altro.
Da una prima analisi, può ritenersi pacifico che i criteri determinanti[16] che debbano essere preliminarmente presi in considerazione siano:
- il luogo in cui è stato prevalentemente commessa la condotta-reato,
- il luogo in cui si sono registrati il maggior numero di danni,
- il luogo di residenza del soggetto nei cui confronti si procede e la possibilità di poterne garantire la consegna o l’estradizione,
- l’ammissibilità dei mezzi di prova.
E’ stato così per il caso “Skenden”, anche conosciuto come “Cime Bianche”, che ha per oggetto un’organizzazione criminale composta in prevalenza da cittadini albanesi tutti indagati per i reati di cui agli artt. 73 – 74 d.P.R. 309/90, capeggiata da tale T.A. – già indagato dalla A.G. francese e da questa sottoposto a restrizione della libertà personale.
Avendo esplicato la condotta penalmente rilevante (di acquisto e spaccio di sostanze stupefacenti di tipo cocaina ed eroina) in più paesi Schengen, è stata ipotizzata e contestata una associazione criminale transnazionale il cui nucleo esecutivo ed organizzativo è risultato risiedere principalmente in Francia, con propagazioni anche in Olanda e in Italia.
alla comparazione dei vari capi di imputazione è emersa una palese sovrapposizione di contestazioni in merito al principale reato inquisito (ovvero quello associativo, o di “associatori de malfaiteurs” e “bande organisée”, come si legge dagli atti) consumatosi massivamente in Francia e Italia.
A seguito della riunione di coordinamento svoltasi all’Aja presso la sede di Eurojust[17], per il merito della quale agenzia comunitaria, si è consentito alle due autorità – quella francese e quella italiana – di dialogare fra loro in maniera diretta, portandole al raggiungimento di un’intesa formalizzata in apposito verbale, in forza della quale il Pubblico Ministero italiano ha dichiarato di voler rinunciare, in favore dell’A.G. d’oltralpe, in Italia all’esercizio dell’azione penale per il reato principale associativo di cui all’art. 74 dPR 309/90 nonché per i reati-fine ad esso connessi, verso i quali sussistono imputazioni concernenti gli indagati d’interesse comune.
erificata quindi preliminarmente l’identità delle imputazioni e la prevalenza della giurisdizione francese, nonché disposta contestuale archiviazione anche nei confronti dei coindagati (non essendo emersi per quest’ultimi elementi di particolare rilevanza), rimane da rintracciare la disciplina maggiormente adeguata a regolare le forme e le modalità con cui dare attuazione agli impegni presi in sede di cooperazione europea.
Da una rassegna più accurata di tutte le fonti[18], comunitarie e di diritto positivo interno, è facile accorgersi che tale disciplina è del tutto – inspiegabilmente – pretermessa. Ciò comporta in primo luogo, sul versante processual-garantistico, un vacillamento di tutta una serie di esigenze inerenti alla tutela e della conservazione delle prove raccolte nel procedimento stesso, e del giusto processo così come interpretato dal Giudice delle leggi.
4. Per quanto concerne infine l’aspetto dell’atto dal punto di vista materiale, nel nostro ordinamento com’è noto il procedimento origina dall’atto di una richiesta di archiviazione destinato a concretizzarsi poi – se accolto – in un decreto di archiviazione ex art. 409 c.p.p[19].
l titolo VIII del libro V del vigente codice di rito risiede la disciplina relativa alla chiusura delle indagini preliminari, ai sensi della quale ex art. 405 c.p.p. << Il pubblico ministero, quando non deve richiedere l’archiviazione, esercita l’azione penale, richiedendo l’applicazione della pena ex art. 444 cpp, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato ed il decreto penale di condanna ovvero il rinvio a giudizio.>>
Dunque, la richiesta di archiviazione in Italia costituisce l’ordinaria ipotesi alternativa all’esercizio dell’azione penale da parte del Magistrato titolare dell’indagine.
Al tema dell’archiviazione in generale è espressamente dedicato il “quartetto” di artt. 408, 409, 410 e 411 cpp; così pure lo riguardano gli artt. 125, 126 e 128 disp. att. cpp, e infine se ne occupava anche l‘art. 405 co. 1 bis c.p.p. introdotto dall’art. 3 della L. n. 46/2006 prima che venisse dichiarato incostituzionale con la sent. della Corte Cost. n. 121 del 24 aprile 2009.
Non contrasta col predetto enunciato neanche la più recente Cassazione a Sezioni Unite, alla stregua della quale <<Il provvedimento di archiviazione determina nei confronti dello stesso ufficio del pubblico ministero una preclusione endoprocedimentale che inibisce, in assenza del decreto di riapertura delle indagini ex art. 414 c.p.p., non solo la ripresa dell’attività investigativa e le iniziative cautelari, ma lo stesso esercizio dell’azione penale, con riferimento allo stesso fatto-reato oggetto del provvedimento di archiviazione.>>[20]
Più peculiarmente, l’art. 411 c.p.p. disciplina gli “altri” casi di archiviazione che sono così sintetizzabili:
a) mancanza di una condizione di procedibilità (per mancanza di querela, istanza e richiesta di procedimento ed autorizzazione a procedere),
b) estinzione del reato (per morte del reo, per amnistia, per remissione di querela, per prescrizione, per pagamento dell’oblazione),
c) ipotesi in cui il fatto non è previsto dalla legge come reato (ipotesi forse ultronea perché sarebbe da ricondurre all’infondatezza della notitia criminis)[21].
Apparentemente quindi l’utilizzo della figura dell’archiviazione per disporre il trasferimento procedimentale potrebbe risultare come il frutto di una mera – quanto forzata – interpretazione estensiva dell’ipotesi sub a).
Tuttavia, la giurisprudenza del Supremo Collegio[22] ha individuato un’ulteriore ipotesi ad hoc di archiviazione per improcedibilità dell’azione penale : << In caso di contestuale pendenza presso lo stesso ufficio (o presso uffici diversi della stessa sede giudiziaria) di più procedimenti penali per uno stesso fatto e nei confronti della stessa persona, una volta esercitata l’azione penale nell’ambito di uno di tali procedimenti, deve considerarsi indebita la reiterazione dell’esercizio del potere di promuovere l’azione, assumendo, in assenza di un’espressa disposizione normativa, diretto rilievo il principio di “consumazione” del potere medesimo, correlato a quello di “preclusione”, del quale costituisce espressione il divieto di “bis in idem” dopo la formazione del giudicato; ne consegue che, nell’ambito del secondo procedimento, va chiesta e disposta l’archiviazione (ovvero, nel caso in cui l’azione penale sia già stata esercitata, ne va dichiarata l’improcedibilità con sentenza)>>[23].
Da quanto esposto è evidente che anche in questo caso manchi un’apposita collocazione giuridica di un atto, lasciato alle storture di un’interpretazione analogica che risulta sempre più inadeguata. Alla luce delle esperienze di giurisdizione concordata e delle esortazioni provenienti dalla dottrina italiana all’unanimità ad una tempestiva ratifica della – seppur incompleta, ma quanto mai ambiziosa – Direttiva quadro 2009/948/GAI, è possibile affermare che costituirebbe un enorme passo avanti per il nostro ordinamento l’introduzione di norma ad hoc sulla falsariga di quanto già previsto per l’Accordo italo-svizzero di assistenza giudiziaria del 10 settembre 1998, che espressamente sancisce la facoltà per il Pubblico Ministero di astenersi (o di sospendere) dall’esercizio dell’azione penale quando un procedimento penale sia stato avviato nei riguardi di una medesima persona, per un medesimo fatto di reato, come tale risultante pendente in altro Stato membro U.E. (il quale per una serie di dati oggettivi risultasse il più consono ad occuparsene nel rispetto del principio del ne bis in idem). Una norma ben strutturata, che altresì preveda espressamente il diritto delle parti private di informazione e partecipazione alla procedura nel complesso[24].
Per superare le criticità poste dal nostro art. 112 Cost., si potrebbe procedere anzitutto con un’operazione di interpretazione estensiva del divieto di secondo giudizio di cui all’art. 649 c.p.p., cosi come declinato dalla giurisprudenza di legittimità formatasi a partire dal caso Donati[25] ovvero quale mero corollario del più ampio principio del ne bis in idem, applicabile come tale anche in assenza di una sentenza irrevocabile. La Suprema Corte ha infatti ampliato l’operatività del ne bis in idem anche ai casi di litispendenza, estensione che si riterrebbe lecita anche in ambito internazionale allo scopo di dare concreta attuazione al ne bis in idem europeo di cui all’art. 54 CAAS[26].
Al riguardo, infatti, si deve considerare che i nuovi meccanismi di funzionamento della cooperazione giudiziaria penale, connotati dall’ormai consolidato principio del mutuo riconoscimento e dalla progressiva erosione del “filtro” governativo per la completa “giurisdizionalizzazione” delle procedure di assistenza e cooperazione, trovano la loro massima espressione in un raccordo operativo rapido, semplificato e diretto, tra autorità giudiziarie sempre più coinvolte nella repressione di fenomeni criminali di ordine “globale”.
La ridefinizione dell’attuale assetto normativo[27], in definitiva, non potrebbe che poggiare le basi dal versante europeo, nella predisposizione di criteri gerarchicamente preordinati per la determinazione dello Stato membro competente e di singole norme che disciplinino la materiale esecuzione del trasferimento (a garanzia sia dell’imputato che della genuinità del procedimento stesso), nonché nell’evoluzione e centralizzazione di taluni poteri di Eurojust[28] discendenti dalla direttiva 2002/187/GAI nella composizione dei conflitti di giurisdizione, in vista della istituenda figura del Pubblico Ministero europeo[29] quale allontanamento dal modello “orizzontale” di cooperazione giudiziaria, fondato su intese ed accordi – a carattere bilaterale o multilaterale – disciplinati nell’ambito di relazioni esclusivamente intergovernative; in sede di recepimento interno di tale normativa, sulla valorizzazione di quei canoni costituzionali di “riparto” delle competenze già enunciato a suo tempo dal potere costituente.
[1] Il Caso E La Necessità, Milano, 1970
[2] Voce Trasferimento, in Enciclopedia Treccani, Roma, 2012
[3] Per una panoramica europea si veda M. CHERIF BASSIOUNI – V. MILITELLO – H. SATZER (eds), European Cooperation in. Penal Matters: Issues and Perspectives, Padova, 2008; M. FLETCHER, R. LÖÖF , B. GILMORE, EU Criminal Law and Justice, Edward Elgar Publishing, 2013; AA.VV., International Criminal Procedure: Principles and Rules, Oxford University Press, 2013.
[4] V. in particolare A. GAITO Dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere, Padova,1985; S. BUZZELLI, Procedimenti paralleli, spazio di giustizia, Unione Europea: il contesto normativo e gli aspetti problematici, in questa Rivista, fascicolo n.1, gennaio-aprile 2012.
[5] Come si evince dal Report on two references under section 3(1)(e) of the law commissions act 1965, presentato al parlamento inglese da Lord High Chancellor nel marzo 2001, consultabile integralmente sul sito internet http://www.lawcom.gov.uk.
[6] Sulla criticità del “mutuo riconoscimento in campo penale”, v. N. PARISI, Principio di legalità e tutela dei diritti della persona nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in L.DANIELE (a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della corte costituzionale, Edizioni scientifiche italiane, 2006, p. 363.
[7] C.TRACOGNA,‘Ne bis in idem’ e prova dell’esistenza di un provvedimento straniero preclusivo di un secondo giudizio, in Cass. Pen. 2009, p.1062 ss ; R. BARATTA, Ne bis in idem, diritto internazionale e valori costituzionali, in divenire sociale e adeguamento del diritto. studi in onore di Francesco Capotorti, vol. i, Milano, 1999, p. 3 ss.; H.J.BARTSCH , Ne bis in idem: the european prospective, in Rev. Int. De Droit Pénal, 2002, p.1163 ss.
[8] Le disposizioni della convenzione di Bruxelles del 1987 sono state riproposte nel III capitolo del titolo III della convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen dedicato all’ “applicazione del principio del ne bis in idem”quale corollario della libertà di circolazione, considerata nella sua componente negativa (per l’appunto, come strumento preclusivo della sottoposizione di un determinato soggetto a procedimento penale per i medesimi fatti sul territorio di più stati membri). A conferma di ciò, si veda la solenne pronuncia della Corte di Giustizia in occasione del primo rinvio pregiudiziale sull’interpretazione dell’art. 54 della Convenzione di applicazione dell’accordo di Schengen (cfr. cause riunite c-187/01 e c-385/01, Gözütok e Brügge raccolta , 2003, p. i-1345 ss).
[9] A. CENTONZE, Criminalità organizzata e reati transnazionali, Osservatorio Permanente sulla Criminalità Organizzata – Organo di consulenza della Presidenza della Regione Siciliana (diretta da M.CHERIF BASSIOUNI e G.TINEBRA), Milano, 2008
[10] E. CALVANESE E. – G. DE AMICIS, La decisione quadro del Consiglio dell’U.E in tema di prevenzione e risoluzione dei conflitti di giurisdizione, in Cass.Pen., 2010; G.C. GREBBIE, Conflict of European Jurisdiction. A Matter of Concurrence, in NJECrimL, 2009
[11] Punto 3) della Decisione 2uadro 2009/948/GAI del Consiglio
[12] AA.VV., Rapporti tra unione europea e organizzazioni internazionali, Roma, 2010; E.APRILE, F.SPIEZIA, Cooperazione giudiziaria penale nell’unione europea prima e dopo il trattato di Lisbona, milano, 2009, p. 108 – 109; C.CURTI,GIALDINO, Schengen e il Terzo pilastro: il controllo giurisdizionale secondo il trattato di Amsterdam, in Rivista di Diritto Europeo, 1998, p. 41 ss.
[13] N. PARISI, Principio di legalità e tutela dei diritti della persona nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in L.DANIELE (a cura di), La dimensione internazionale ed europea del diritto nell’esperienza della corte costituzionale, Napoli, 2006
[14] Si v. fra tutti B. CONFORTI B., Diritto comunitario e degli Stati membri, Padova, 1966.
[15] M.CHIAVARIO, Obbligatorietà dell’azione penale: il principio e la realtà, in AA.VV., Il pubblico ministero oggi, Milano, 1994, p. 70 ss.; B.CONFORTI, Sulle recenti modifiche della costituzione italiana in tema di rispetto degli obblighi internazionali e comunitari, in Foro it., 2002, v, c. 229 ss.
[16] C. SANTORIELLO, Formulario del processo penale, Torino, 2009
[17] M. CASTELLANETA , Uno scambio di informazioni tra gli Stati per rafforzare la lotta al crimine organizzato, in Guida dir., 2009; G. DE AMICIS,“Eurojust”: l’istituzione dell’unità provvisoria di cooperazione giudiziaria, in Giurispudenza di merito, 2011; A. GAITO, Dei rapporti giurisdizionali con autorità straniere, Padova, 1985.
[18] F.PALAZZO, Europa e Diritto penale: i nodi al pettine, in Dir. Pen. e Proc., 2011; A. GIARDA, Italia e giurisprudenza europea: Io speriamo che me la cavo, in Dir. Pen. e Proc., 2006
[19] f.cordero, voce Archiviazione, in Enc. Dir., II, Milano, 1958, p. 1025 ss.; G.CONSO, Il provvedimento di archiviazione, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 1950, p. 323 ss.
[20] cass. s.u., 20 settembre 2010, n. 33885 (ud. 24 giugno 2010).
[21] F. CORDERO, procedura penale, Milano, 2008; v. garofoli, Diritto processuale penale, Milano, 2012.
[22] cfr. Cass. Sez. IV, Sent. n. 25640 del 21/05-24/06/2008.
[23] Affronta l’argomento con un approccio sistematico ed un taglio di particolare attenzione rivolta a tutti gli aspetti relativi alla procedura, S. ASTARITA, Ne bis in idem e archiviazione: tra rimedi sanzionatori e spirito europeo, in Riv. Dir. e Proc., 2004, p. 1155 ss.
[24] G. DE AMICIS, Sul trasferimento dei procedimenti penali, in Dir. Pen. Proc., 2010. P. 1248 ss; C. AMALFITANO, Unione Europea e garanzie processuali: Il diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, in Studi sull’Unione Europea, 2011, p. 83 ss.;
[25] Cass., SS.UU., 26 giugno 2006, Donati, in Dir. e Giust. , 2005 (40), p. 82 ss. (con note di: F.M. FERRARI, Mai più processi-clone. Ecco la strada per evitare duplicazioni; P. TROISI, La nozione giurisprudenziale di litispendenza penale, in Dir. Pen. Proc, 2006, p. 735; L.G. VELANI, Divieto di un secondo giudizio per il medesimo fatto e contro il medesimo soggetto: azione penale improcedibile anche in mancanza di irrevocabilità, in L’ind. Pen., 2006) ; Sent. Cass., SS.UU., 24 giugno 2010, Giuliani, che, sulla scorta dei principi enunciati dalla Sent. C. Cost., n. 27/2009, ha stabilito l’operatività della preclusione all’esercizio dell’azione penale per lo stesso fatto di reato, oggettivamente e soggettivamente considerato, in mancanza del provvedimento di riapertura delle indagini successivo all’archiviazione.
[26] AA. VV., Diritto penale sostanziale e processuale dell’Unione europea – Il diritto penale e la procedura penale negli strumenti legislativi dell’Unione europea, Padova, 2011; Cass., SS. UU, 28 giugno – 28 settembre 2005, n. 34655, che si sono espresse favorevolmente circa l’ammissibilità della pronuncia di non doversi procedere per impromovibilità dell’azione penale nelle ipotesi di litispendenza.
[27] A. GIARDA, Italia e giurisprudenza europea: “Io speriamo che me la cavo”, in Dir. Pen. Proc., 2006, p. 5ss.; F. LO VOI, Eurojust: prime riflessioni su alcuni profili ordina mentali, in Dir. Proc. Pen, 2005, p. 542-546.
[28] M. LABAYLE – H.G.NILSSON, The Role and Organisation of Eurojust. Added Value for Judicial cooperation in Criminal Matters, in J. MONAR (ed.), The Institutional Dimension of the Area of Freedom, Security and Justice, Bruges, 2009
[29] In tal senso si legga V.GREVI, Linee di cooperazione giudiziaria in materia penale nella Costituzione europea, in Studi in onore di Giorgio Marinucci, (a cura di) E.DOLCINI e C.E.PALIERO, Milano, 2006, p. 2796 ss., secondo cui la fisionomia della futura Procura Europea quale organo accentrato di accusa sovranazionale, destinato ad agire per l’accertamento dei reati e delle relative responsabilità dinanzi ai diversi giudici nazionali, lascia intendere come il promovimento della corrispondente azione penale dovrebbe sottostare al principio di legalità, e quindi di obbligatorietà, sia pure “temperata” in presenza di presupposti tassativi prefissati per legge, senza poter esser comunque subordinato a valutazioni di opportunità politica.