ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PROCESSUALE PENALEMisure cautelariTesi di laurea

L’esigenza cautelare di prevenzione speciale (tesi di laurea)

Prof. Relatore: Daniele Negri

Prof. Correlatore: Stefania Carnevale

Ateneo: Università degli studi di Ferrara

Anno accademico: 2010/2011

L’ultimo consistente intervento novellistico in materia cautelare, risalente ad oltre quindici anni fa (l. 332/1995), ha molto ridimensionato il dibattito sulle possibili giustificazioni della custodia cautelare alla luce del dettato costituzionale – in particolar modo dei principi affermati negli articoli 13 (inviolabilità della libertà personale) e 27.2 Cost. (presunzione di non colpevolezza).

Nella prassi giurisprudenziale si tende addirittura ad accettare, quale insolubile aporia del sistema, che la detenzione ante iudicium rappresenti, in concreto, un’anticipazione della pena, resa necessaria dall’inefficienza del sistema processuale.

 In effetti, il tempo occorrente per giungere ad un accertamento definitivo di responsabilità determina lo spostamento del baricentro del processo penale verso il procedimento cautelare, i cui strumenti tendono ad essere surrettiziamente impiegati in funzione surrogatoria di quelli tipici del momento sanzionatorio. Ne consegue che quella pena certa, pronta, e perciò utile e giusta, teorizzata nell’età dei Lumi da Cesare Beccaria, lascia spesso spazio ad una pena anticipata, contrastante con i principi costituzionali e incapace di assolvere le necessarie funzioni della sanzione penale, irrogata in esito all’accertamento contenuto nella sentenza definitiva di condanna.

La rilevanza crescente del procedimento cautelare deriva anche dalla periodica riemersione, nel tessuto sociale, di istanze securitarie, che non di rado trovano sponda nella legislazione, attraverso provvedimenti, giustificati da un richiamo spesso pretestuoso al concetto di emergenza, che comportano significative limitazioni alle garanzie della persona indagata o imputata. L’effetto di questa tendenza è il progressivo spostamento del confine fra prevenzione e repressione.

In tale contesto, è evidente la centralità, tra le esigenze cautelari codificate nell’art. 274 c.p.p., della finalità di prevenzione speciale. Il cosiddetto “terzo scopo”, oggetto degli strali della dottrina più sensibile alle istanze garantiste, che, soprattutto a partire dagli anni Settanta – in concomitanza, dunque, con l’avvio di una stagione legislativa di ben diversa ispirazione – ne aveva denunciato l’inconciliabilità con i principi costituzionali, tende ad avere un ruolo preponderante nella concreta dinamica applicativa delle misure cautelari privative della libertà personale.

Proprio la legislazione emergenziale, giustificata dalla necessità di arginare il fenomeno terroristico, ha determinato la progressiva emersione normativa della finalità allora definita di “tutela della collettività”, che già permeava, benché inespressa, la disciplina del vecchio codice Rocco, fondato sul presupposto ideologico della prevalenza delle istanze di difesa sociale sui diritti dell’imputato, e, di conseguenza, sulla negazione della presunzione di non colpevolezza.

Un ruolo significativo in tale processo si deve, peraltro, anche alla Corte costituzionale, la cui giurisprudenza sulla custodia preventiva, in virtù di un’ambiguità forse inizialmente non voluta ma rivelatasi poi particolarmente utile, ha fornito un autorevole avallo alla codificazione del terzo scopo nel nuovo codice di procedura penale.

Ad accentuare il rilievo operativo dell’esigenza di prevenzione speciale hanno contribuito, in anni più recenti, le modifiche apportate al testo dell’art. 275 c.p.p., e in particolare il meccanismo presuntivo previsto dal suo terzo comma che, nell’esimere di fatto il giudice dalla verifica dell’effettiva sussistenza di esigenze cautelari, tende a valorizzare proprio la funzione di difesa sociale della custodia cautelare.

Per quanto inserita in un contesto antitetico rispetto a quello del codice Rocco e ricondotta dal legislatore entro limiti apparentemente rigorosi, l’esigenza cautelare specialpreventiva continua ad esporsi a critiche che sono sostanzialmente di tre ordini. La più frequente si fonda sul riconoscimento dell’impossibilità di scindere il giudizio di pericolosità, che è alla base di tale esigenza cautelare, da un giudizio anticipato di responsabilità, e prospetta, dunque, un insanabile contrasto con la presunzione di non colpevolezza.

Da una seconda prospettiva, si mette in luce la carenza di tassatività di una disposizione, come quella dell’art. 274.1 lettera c), che, nonostante i rimaneggiamenti novellistici, continua a configurarsi come fattispecie aperta, incapace di fornire un effettivo vincolo alla discrezionalità dell’applicatore e, dunque, suscettibile di vanificare le altre garanzie su cui si fonda il procedimento cautelare. Tale rilievo spiega, in parte, anche la connotazione sanzionatoria assunta dalla custodia cautelare: proprio la scarsa tassatività della fattispecie considerata consente che, nella prassi, attraverso il pericolo di commissione di reati facciano ingresso finalità atipiche, non consentite o addirittura espressamente escluse dal codice. Mentre il pericolo d’inquinamento probatorio, infatti, ha per previsione normativa una durata circoscritta e il pericolo di fuga richiede un maggiore sforzo argomentativo, il terzo scopo, per la vaghezza dei suoi presupposti e l’astrattezza della prognosi su cui si fonda, presenta una latitudine applicativa poco definita, prestandosi, oltretutto, a giustificare le detenzioni più lunghe.

La critica più radicale mossa all’esigenza di prevenzione speciale, peraltro, travalica in un certo senso le precedenti, poiché si basa sul riconoscimento di un’incompatibilità logica, prima ancora che giuridica, della custodia cautelare con il principio di giurisdizionalità (nulla poena sine iudicio), il quale, identificando nell’accertamento lo scopo del processo, esclude la possibilità di qualsiasi trattamento coincidente, sul piano afflittivo, con quello sanzionatorio. Tale prospettiva, senz’altro opinabile con riferimento alle esigenze autenticamente cautelari, che mirano a preservare lo scopo stesso del procedimento (e in ragione di ciò si può ritenere che giustifichino il temporaneo sacrificio della libertà personale), appare meno discutibile per quanto concerne il pericolo di commissione di reati; la finalità di prevenzione speciale, infatti, esprime un’esigenza estranea all’accertamento della responsabilità dell’imputato, e rientra, invece, tra le finalità della sanzione penale, che segue e presuppone quell’accertamento.

Tali considerazioni, tuttavia, si scontrano non solo con il dettato normativo e con la prassi giudiziaria nazionale, ma anche con le indicazioni della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Gli artt. 273 e 274 c.p.p., infatti, pongono vincoli assai più stringenti di quelli ricavabili dalla poco felice formulazione dell’art. 5.1 Cedu, nell’interpretazione fornitane dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale, oltre ad aver affermato la piena legittimità dello scopo di prevenzione speciale e avallato il meccanismo presuntivo previsto dall’art. 275.3 c.p.p., ha enucleato una quarta esigenza cautelare, identificata nella sussistenza di un pericolo per l’ordine pubblico.

Pertanto, essendo poco plausibile l’ipotesi di una eliminazione dell’esigenza specialpreventiva dal tessuto normativo, non resta che spostare l’attenzione sugli strumenti che possono in vario modo contenerne la latitudine operativa. Da questo punto di vista, se sul piano della legislazione nazionale un ruolo significativo è svolto dall’obbligo motivazionale, sancito dalla Costituzione come imprescindibile componente del complesso di garanzie poste a tutela della libertà personale e minuziosamente disciplinato dal codice di rito, a livello sovranazionale la Corte di Strasburgo ha posto l’accento soprattutto sulla ragionevole durata della custodia cautelare, sottolineando che sia il rispetto dei termini di durata che la sussistenza di legittime esigenze cautelari non sono sufficienti a impedire la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo quando il procedimento si protragga per un tempo eccessivo rispetto alla sua concreta complessità.

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