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Calunnia: l’erronea convinzione della colpevolezza dell’incolpato esclude il dolo – Cass. Pen. 27729/2013

Cassazione Penale, Sez.VI, 24 giugno 2013 (ud. 20 giugno 2013), n. 27729
Presidente Agrò, Relatore Cortese, P. G. Viola (concl. conf.)

Depositata il 24 giugno 2013 la pronuncia numero 27729 della VI sezione penale in tema di calunnia.

L’imputato, condannato in primo grado e poi assolto in appello dall’imputazione di cui all’art. 368 c.p., aveva querelato la moglie con l’accusa di avergli negato di vedere la figlia violando l’ordinanza del tribunale civile.
Osservava la Corte di Appello che, nonostante l’accusa rivolta dall’imputato alla moglie fosse oggettivamente falsa  (essendo emerso che era in realtà la piccola ad avere autonomamente scelto di non voler incontrare il padre), tuttavia, nella situazione tesa e difficile che si era creata fra i coniugi, l’imputato ben poteva avere maturato la convinzione che alla base del rifiuto della figlia vi fosse una condotta induttiva o impositiva della madre.
Contro la sentenza di appello proponeva ricorso per Cassazione la parte civile.

La Suprema Corte nel respingere il ricorso ha ribadito l’orientamento giurisprudenziale pressoché consolidato secondo cui l’elemento soggettivo del reato di calunnia richiede la consapevolezza dell’innocenza del soggetto incolpato e, pertanto, tale elemento è escluso nel caso in cui l’errata convinzione della colpevolezza derivi da una errata interpretazione soggettiva della realtà non dettata da intento fraudolento (tra i precedenti vedi Cass. pen., sez. VI, 8 marzo 2013, n. 25149; Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2007, n. 17792, in Cass. pen., 2008, 9, 3308; Cass. pen., sez. VI, 2 aprile 2001, n. 16238).
Affinchè tale esclusione possa operare è necessario che il convincimento dell’accusatore si basi su elementi seri e concreti e non su semplici supposizioni.
A quest’ultimo riguardo – affermano i giudici – occorrono alcuni chiarimenti: se l’erroneo convincimento sulla colpevolezza dell’accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica, la omissione di tale verifica determina effettivamente la dolosità di un’accusa espressa in termini perentori; quando invece l’erroneo convincimento riguarda profili valutativi della situazione oggetto di accusa, non descritta in sè in termini radicalmente difformi dalla realtà, l’attribuzione dell’illiceità è dominata da una pregnante inferenza soggettiva, che, nella misura in cui non risulti fraudolenta, è inidonea a integrare il dolo tipico della calunnia.
Nel caso di specie – prosegue la Corte – l’imputato è giunto ad una rappresentazione falsata, non di fatti, ma dell’interpretazione dei medesimi, determinata dalla particolarità della vicenda in cui il prevenuto si trovava coinvolto, che lo ha indotto a leggerli, senza comprovata malafede, come riconducibili alla responsabilità dell’accusata.

Questa, in conclusione, la massima ricavabile dalla pronuncia:
“L’elemento soggettivo del reato di calunnia richiede la consapevolezza dell’innocenza del soggetto incolpato e, pertanto, tale elemento è escluso nel caso in cui l’errata convinzione della colpevolezza derivi da una errata interpretazione soggettiva della realtà non dettata da intento fraudolento.”

Per tali motivi, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e ha condannato la parte civile ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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Redazione Giurisprudenza Penale

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