Sulla configurabilità dello stalking – Cass. Pen. 45648/2013
Cassazione Penale, Sez. III, 14 novembre 2013 (ud. 23 maggio 2013), n. 45648
Presidente Lombardi, Relatore Grillo
Depositata pochi giorni fa un’interessante pronuncia della terza sezione penale della Suprema Corte in tema di stalking.
Innanzitutto, i giudici hanno osservato come che anche due sole condotte in successione tra loro, pur se intervallate nel tempo, bastano ad integrare il concetto di “reiterazione” della condotta richiamato nell’art. 612 bis c.1 c.p.
Inoltre, è stato affermato il principio secondo cui il reato sussiste anche se la vittima abbia più volte cercato lo stesso stalker: la reciprocità dei comportamenti molesti – osservano i giudici – non esclude, infatti, la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa. Respinte, quindi, le argomentazioni della difesa secondo cui la ricerca da parte della vittima dello stalker si porrebbe in posizione antinomica con il concetto di atti persecutori che presuppone una vittima alla mercè del suo aggressore ed impossibilitata, quindi, a reagire.
Ha precisato la Corte che il termine reciprocità non vale ad escludere in radice la possibilità della rilevanza penale delle condotte come persecutorie ex art. 612 bis c.p., occorrendo che venga valutato con maggiore attenzione ed oculatezza, quale conseguenza del comportamento di ciascuno, lo stato d’ansia o di paura della presunta persona offesa, o il suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persone a lei vicine o la necessità del mutamento delle abitudini di vita. Deve, in ultima analisi, verificarsi se, nel caso della reciprocità degli atti minacciosi, vi sia una posizione di ingiustificata predominanza di uno dei due contendenti, tale da consentire di qualificarne le iniziative minacciose e moleste come atti di natura persecutoria e le reazioni della vittima come esplicazione di un meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura.
Con riferimento, infine, alla dimostrazione dello stato di ansia o di paura, viene chiarito che non è necessaria la dimostrazione di un vero stato patologico, bensì è sufficiente un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima.
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