ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro l’economia pubblica, l’industria e il commercioDIRITTO PENALEParte speciale

L’ art. 517 ter c.p.: inutile doppione del preesistente 473 c.p.?

L’introduzione dell’ art. 517 ter c.p., attraverso il disposto dell’art. 15 della legge n. 99 del 2009, collocato tra i delitti contro l’industria, è specificamente volta alla tutela della proprietà industriale, diversamente da quanto accade nel delitto di cui all’art. 473 c.p. riposto all’interno dei delitti contro la fede pubblica nel codice penale che, diversamente, dovrebbe operare a difesa del consumatore.
Ebbene, a fronte della novella legislativa, ancora non sono ben definiti i limiti entro i quali i predetti articoli debbano operare; il modello legale, lungi dall’avere una netta delimitazione ovvero uno schema previgente attraverso il quale l’operatore del diritto possa ancorarsi ed affidarsi, s’insabbia nella imparziale valutazione, circa il grado di contraffazione che troppo spesso si affida alla testimonianza di un dipendente della medesima azienda il cui marchio viene alterato.
Il tutto, dovrebbe invece dirigersi verso una duplice direttrice tematica che consentirebbe un neutrale e preventivo sindacato a cui tutte le parti potrebbero affidarsi: (i) il primo riguarda l’elemento psicologico del reato che denota una diversa intensità doloso necessaria ad integrare l’uno o l’altro reato, (ii) mentre il secondo afferisce l’oggetto della tutela del bene giuridico in questione – la fede pubblica o l’economia pubblica.
Il sindacato di diritto sostanziale è di carattere dirimente, certamente più affidabile di quanto non lo possa essere il giudizio circa il grado di contraffazione delle borse affidato ad un teste non imparziale quale possa essere, ad esempio, il preposto alla contraffazione della medesima azienda escusso in dibattimento; l’ aspetto psicologico ed il bene giuridico tutelato possono guidare attraverso un giudizio certo ed affidabile, riconducendo il caso sottoposto a giudizio sotto la corretta egida di questo o di quel titolo di reato. Ciò con conseguenze dirompenti in ordine all’accertamento e la costituzione delle parti: che senso avrebbe consentire la costituzione di parte civile dell’azienda proprietaria del marchio riprodotto nel giudizio penale allorquando, il reato di cui all’art. 473, tutela la fede pubblica ovvero i consumatori? Consentire tale operazione priverebbe di efficacia alcuna l’operatività del 517 ter c.p. di nuova coniatura, il quale consentirebbe proprio la tutela del marchio contraffatto a pieno titolo.

L’elemento psicologico del reato.
Riprendendo il percorso logico argomentativo poc’anzi prospettato, la netta distinzione dei due reati (473 vs 517 ter c.p.) parrebbe non problematica, anzi più semplice, allorquando, quali parametri di riferimento, siano l’elemento soggettivo del reato ed il bene tutelato perseguito nel corso della ricostruzione del dato empirico su quale sia effettivamente l’interesse leso.
Dunque, per quel che concerne l’elemento psicologico delle fattispecie criminose in oggetto, per il 473 c.p. occorre non solo la coscienza e la volontà della contraffazione ma anche la consapevolezza che il marchio o il segno distintivo sia stato depositato, registrato o brevettato nelle forme di legge; ma, qualora questa non sia sotto l’accezione del dolo specifico, l’esatta configurazione del titolo del reato non potrebbe che ricondursi alla lettera del 517 ter c.p.., infatti, in tale seconda ipotesi, basterebbe un dolo d’intensità eventuale, necessitando “soltanto” la coscienza e la volontà della condotta ingannevole del segno utilizzato.
Il discrimen, per ciò che è l’elemento soggettivo del reato, è da ricondurre nella mera potenzialità circa la conoscenza dell’esistenza del titolo di proprietà industriale, diversamente da quanto necessario per l’art. 473 c.p. ove è necessario, come detto, la consapevolezza a pieno titolo della registrazione del marchio.
Il risultato è il ricorso a principio giuridico ben più saldo a cui affidare un giudizio di colpevolezza rispetto al grado di contraffazione o meno.
In claris, scrutinando sull’accezione psicologica del reato, l’eventuale conoscenza del titolo di privativa, desunta dal blasone dei marchi, e non la comprovata consapevolezza che gli stessi marchi fossero stati depositati a norma di legge, ricondurrebbe le ipotesi delittuose all’egida dell’517 ter c.p. con conseguenziale derubricazione del reato nella sussidiaria ipotesi delittuosa.

Il bene giuridico tutelato.
La riprova di tale assunto risiede financo nello scrutinio del bene giuridico tutelato, ago della bilancia a cui affidarsi per configurare la sussistenza nel caso ad oggetto questo o quell’articolo di legge.
Anzitutto giova precisare che la tesi tradizionale e prevalente, individua il bene giuridico tutelato dall’art. 473 c.p. nella fede pubblica; cioè la fiducia dei consumatori nella genuinità dei marchi che fa leva tra l’altro sulla collocazione sistematica della norma tra i “Delitti contro la fede pubblica” che prescinde dal danno cagionato al titolare dei diritti di proprietà industriale.
Inoltre, a parere di chi scrive, bisogna dissociarsi da quella tesi argomentativa divergente ma minoritaria in giurisprudenza (cfr. Cass. Sez. V n. 41756 del 2005, Ongaro), che vuole l’art. 473 c.p. quale reato plurioffensivo dedito oltre che tutela della fede pubblica anche dei diritti di proprietà industriale (cioè gli interessi patrimoniali dei titolari di quei diritti).
Ciò che deve emergere dagli atti in possesso (d’indagine o al fascicolo del dibattimento) è l’accertamento di quale bene giuridico sia stato leso maggiormente: la fede pubblica alias il consumatore ovvero il diritto all’uso esclusivo del marchio astrattamente concretizzabile attraverso la perdita di prestigio del marchio stesso, del suo eventuale carattere di status symbol identificativo di un prodotto preciso.
Solo in quest’ultimo caso potrebbe trovare ragion d’essere la costituzione di parte civile e le conseguenziali pretese risarcitorie da parte della società che si ritiene danneggiata, la quale, ovviamente mira alla tutela del proprio marchio.
Tale attività, per carità legittima della parte civile, però, non può di certo nascondersi dietro la difesa e la tutela della fede pubblica non essendo concepibile una plurioffessività del bene giuridico tutelato a mente dell’art. 473 c.p. . Ciò non perché non possano esserci reati che tutelino vari interessi giuridici ma perché, nel caso di specie, è stato lo stesso legislatore ad escluderlo attraverso l’introduzione dell’art. 517 ter c.p., introdotto dall’art. 15 della legge n. 99 del 2009, il quale altrimenti sarebbe ospite non gradito o fratello minore al cospetto del preesistente art. 473 c.p.
In punto di legittimità si è prospettata la tesi secondo la quale il delitto di cui all’art. 473 cod. pen. presti tutela una volta al consumatore altra volta all’economia ma, ragionare in questi termini varrebbe a contraddire la decisione operata del legislatore nell’ introdurre un nuovo articolo di legge all’interno del libro II titolo VIII nei reati contro l’economia economica proprio perché, prestare la detta plurioffensività (alternativa o necessaria) al 473 c.p. varrebbe a investire il 517 ter c.p. come inutile doppione della prima norma incriminatrice.
Tutto ciò, quindi, non può essere e non deve essere consentito. L’unica soluzione prospettabile è quantomeno ridare una certa autonomia al poco “stimato” art. 517 ter c.p., il quale, norma sussidiaria, dovrebbe autorevolmente incunearsi tra l’irrilevanza penale del falso grossolano e la contraffazione, alterazione o uso di marchi o segni distintivi ovvero brevetti, modelli o disegni (ex 473 c.p.), acquisendo un valore autonomo, con conseguenziale fumus giuridco, ogniqualvolta non vi sono tutti i crismi per poter ragionevolmente ritenere sussistente la fattispecie più grave, liberando i giudici e le corti dall’ incerto ancorarsi al dato materiale, empirico, dell’ affidato a periti circa il grado di contraffazione. Lo sbaglio è che quest’ultimo, qualora ritenuto sussistente, riconduce sempre e comunque al più grave 473 c.p., tralasciando qualsivoglia sindacato sulla possibile configurabilità del meno titolato art. 517 ter c.p. così come voluto dal legislatore attraverso la sua introduzione che, altrimenti, non avrebbe avuto ragione di essere.
Auspicando un intervento risolutivo da parte del massimo organo di legittimità affinché possa delineare limiti netti di demarcazione tra l’una e l’altra fattispecie oggetto della presente trattazione ci si muove nella massima incertezza accordando valutazioni poco giuridiche e non preventivamente stabilite (quali le testimonianze di soggetti preposti dalla stessa azienda in ordine al grado di alterazione del marchio) alla luce  dei valori e delle incidenze conseguenti agli interessi civili in gioco, riconducibili a categorie distinte poste agli antipodi del mercato, quali l’imprenditore ed il consumatore che necessitano di previsioni normative distinte.

 

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