ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PENALELegilsazione specialeParte generale

Sull’obbligo giuridico di impedire l’evento da parte del proprietario di un immobile per le opere abusive di terzi

Cassazione Penale, Sez. III, 29 ottobre 2013 (ud.  10 ottobre 2013), n. 44202
Presidente Fiale, Relatore Grazosi, P. G. Mazzotta

Massima

In tema di reati edilizi, la responsabilità del proprietario non committente non può essere oggettivamente dedotta dal diritto sul bene né può essere configurata come responsabilità omissiva per difetto di vigilanza, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40, secondo comma, cod. pen., ma dev’essere dedotta da indizi ulteriori rispetto all’interesse insito nel diritto di proprietà, idonei a sostenere la sua compartecipazione, anche morale, al reato. (Fattispecie in cui a Corte ha annullato la sentenza di condanna del proprietario non committente per non essere stati valutati gli elementi emersi dall’istruttoria, quale la stabile residenza dell’imputato in luogo distante da quello interessato dall’opera abusiva, l’assenza durante il periodo della costruzione di cui si erano occupati i genitori, l’indisponibilità di risorse economiche compatibili con l’attività edilizia).

Il commento

1. Prima di esaminare nello specifico la sentenza in commento, sembra opportuno (ri)percorrere quello che è stato l’iter argomentativo della Terza Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, in ordine alla fattispecie di reato prevista e punita dall’art. 44 del D.P.R. n. 380/2001 e successive modificazioni (c.d. Testo Unico dell’Edilizia o TUE).
Il reato in questione, è un reato contravvenzionale contenuto nella legislazione speciale, la cui finalità è quella di punire con un gradato trattamento sanzionatorio gli autori di illeciti relativi alla violazione delle norme in materia di edilizia pubblica.
Il focus dell’argomento de quo, è interamente incentrato sulla circostanza secondo cui il (“reale”) autore dell’illecito penale, e dunque il committente dei lavori abusivi, è un soggetto terzo rispetto al formale proprietario dell’immobile.
Dovrà pertanto verificarsi se il proprietario risponda (in concorso o a titolo esclusivo) del reato contestato per il solo fatto di rivestire la suddetta qualifica soggettiva rispetto al bene di cui si asserisce violata la norma di legge, oppure, se sarà necessario fornire la prova che il proprietario del suddetto bene, fosse effettivamente a conoscenza dell’illecito comportamento del terzo, concorrendo anche solo moralmente con quest’ultimo nell’esecuzione del reato.
Si tratta in sostanza di stabilire se il proprietario di un bene immobile sia titolare altresì di una “posizione di garanzia” tale da giustificare l’operatività della clausola di “equivalenza” contenuta nell’art. 40 cpv. c.p. la quale, innestandosi in una norma di parte speciale, porrebbe in capo a determinati soggetti “garanti” l’obbligo giuridico di impedire la verificazione di un dato evento e che, nel caso di specie, si concreterebbe nella commissione da parte di terzi di reati edilizi aventi ad oggetto il bene immobile di cui l’asserito soggetto garante risulterebbe esserne il proprietario.
In argomento, una parte minoritaria della dottrina sembra aver aderito all’impostazione c.d. “funzionale su base fattuale”, prescindendo (almeno in parte) dall’esistenza di un dato normativo che ponga in capo a determinati soggetti un obbligo giuridico di impedire l’evento penalmente rilevante, incentrando le proprie attenzioni sulla posizione soggettiva rivestita dall’agente ogniqualvolta si trovi nella posizione e nella condizione di poter esercitare una signoria (almeno potenziale) sul bene oggetto di tutela “privilegiata” da parte dell’ordinamento, avendo questi il potere/dovere di utilizzare tutti gli strumenti necessari e di cui è titolare al fine di impedire la verificazione di eventi lesivi nei confronti del bene giuridico oggetto di tutela.
La giurisprudenza, dal canto suo, è ferma nell’aderire ad una impostazione c.d. “formale”, richiedendo la necessaria previsione di una posizione di garanzia “normativizzata” che trovi cioè la propria fonte nella legge penale o extrapenale o in una fonte negoziale tipica o atipica.
E’ proprio la previsione normativa a legittimare l’operatività della clausola di equivalenza, impedendo la verificazione di ipotesi di mera responsabilità oggettiva e procedendo ad una imputazione della responsabilità penale per il solo fatto di possedere una determinata qualifica soggettiva.
L’individuazione della fonte dell’obbligo di garanzia è quindi necessaria ai fini dell’individuazione del soggetto responsabile in seguito alla verificazione di un evento che, in presenza di una determinata situazione di garanzia, doveva essere da questi impedito.

2. A tale proposito giova sottolineare come la figura del proprietario di un bene immobile non venga menzionata dall’art. 29 D.P.R. n. 380/2001 fra i soggetti titolari di una posizione di garanzia rispetto alla corretta edificazione dell’opera.
Di conseguenza, ritenere il soggetto proprietario responsabile per l’omesso impedimento del reato altrui, presupporrebbe onerare lo stesso di un obbligo di vigilanza che, in difetto di un riscontro normativo, andrebbe a “sconfinare” facilmente in una ipotesi di responsabilità oggettiva, calpestando brutalmente il principio personalistico della responsabilità penale garantito dall’art. 27 della Costituzione.
Il caso sottoposto all’esame della S.C. riguarda l’opera abusivamente realizzata da uno dei due coniugi, su un terreno di cui sono comproprietari.
La circostanza secondo cui autore dell’illecito sia soltanto uno dei due coniugi, attrae la problematica attorno alla presunzione di responsabilità (anche) del coniuge non autore, in ragione della stretta comunanza di interessi con il coniuge autore dell’illecito penale, che lo rendono (presumibilmente) parte attiva di tutte quelle decisioni che abbiano rilevanza familiare.
Per superare tale presunzione, l’interessato ha l’onere di provare l’insussistenza degli asseriti presupposti rappresentati dall’accusa e riferibili al caso concreto, pur non sussistendo per l’imputato la dimostrazione – al di là di ogni ragionevole dubbio – di non avere avuto nulla a che fare con l’abuso edilizio.
Il giudice sarà chiamato pertanto ad accertare di volta in volta l’effettiva rilevanza dell’apporto fornito dal proprietario nella realizzazione dell’opera abusiva, dovendosene escludere la responsabilità penale quando questi sia rimasto estraneo all’abuso, in quanto il precetto normativo mira a punire il responsabile dell’illecito e non anche il proprietario (estraneo alla condotta criminosa), sul quale non ricade alcun obbligo giuridico di impedire l’evento.

3. La S.C., nell’annullare con rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, ha sostanzialmente ripercorso quelli che erano già stati i più recenti arresti giurisprudenziali sull’argomento, giungendo a definire l’impostazione del ragionamento fatto dalla Corte territoriale “[…] chiaramente apodittica, nel senso che configura una sorta di responsabilità oggettiva del proprietario per le opere abusive, pur riconoscendo la sussistenza di elementi fattuali non insignificanti sulla lontananza abituale del proprietario, oltre che sulle sue risorse economiche. […]”
La giurisprudenza più recente della S.C., si era già soffermata sugli effetti della qualità di proprietario in materia di reati edilizi, esigendo che, oltre alla sussistenza di detta qualità, occorressero ulteriori elementi – anche indiziari – che comprovassero la sua compartecipazione al fatto criminoso altrui. Sarà pertanto necessario che, l’apporto fornito dal proprietario del bene immobile, sia anche solo morale, non rilevando la mera connivenza dello stesso e dovendosi utilizzare, come parametri di valutazione, le regole generali sul concorso di persone nel reato, attesa l’inapplicabilità dell’art. 40 c.p., comma 2, in quanto non esiste una fonte formale da cui far derivare un obbligo giuridico di controllo sui beni, finalizzato ad impedire il reato. (cfr. Cass. sez. 3^, 30 maggio 2012 n. 25669; Cass. sez. 3^, 12 gennaio 2007 n. 8667; Cass. sez. 3^, 22 novembre 2007 n. 47083)
La responsabilità del proprietario del manufatto nel quale l’abuso è stato effettuato, potrà pertanto “dedursi da indizi precisi e concordanti quali la qualità di coniuge del committente, la presentazione di istanze per la realizzazione di opere edilizie di portata di gran lunga minori di quelle realizzate, la presenza in loco all’atto dell’accertamento”. (Cass. sez. 3^, 13 luglio 2005 n. 32856 )
Le conclusioni alle quali è giunta la Terza Sezione Penale della S.C., con la sentenza n. 44202/2013, rispecchiano perfettamente l’aderenza a quanto richiesto dal principio di personalità della responsabilità penale, individuando in primo luogo la condotta omissiva e la sua rilevanza causale ex art. 40, secondo comma c.p. (responsabilità per fatto proprio), e, successivamente, l’elemento soggettivo richiesto dalla norma per l’individuazione del soggetto responsabile (responsabilità per fatto colpevole).
La Suprema Corte pertanto, nell’accogliere integralmente il ricorso presentato dal difensore dell’imputato, ha sottolineato che, nel caso di specie, la residenza stabile in altro luogo, il viaggio di nozze per l’intera durata dei lavori abusivi e le difficoltà economiche, incompatibili con gli esborsi necessari per la realizzazione dell’opera illegittima, costituiscono elementi specifici contrari rispetto alla prospettazione d’accusa, essendo di per sé idonei ad escludere che il proprietario del manufatto abbia concorso nell’illecito penale contestato, anche solo sotto il profilo morale.
Per queste ragioni, la S.C. ha ritenuto illogica la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto sufficiente la qualità di proprietario, per affermare la sussistenza dell’interesse ad adeguare l’appartamento e la consapevolezza della natura dei lavori che venivano eseguiti, in assenza di indizi gravi precisi e concordanti in ordine alla compartecipazione effettiva e non solo meramente potenziale del proprietario dell’immobile.

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