ARTICOLIDIRITTO PENALELegilsazione speciale

Sulla nozione di profitto ai sensi dell’art. 2 d.lgs 74/2000 – Cass. Pen. 5759/2014

Cassazione Penale, Sez. III, 6 febbraio 2014 (ud. 7 gennaio 2014), n. 5759
Presidente Gentile, Relatore Murilli

Depositata il 6 febbraio 2014 la pronuncia numero 5759 della terza sezione penale relativa alla nozione di profitto ai sensi dell’art. 2 d.lgs 74/2000.

Questi i fatti: il Tribunale del Riesame annullava un provvedimento di sequestro di un magazzino e di quote di due terreni disposto nei confronti di un soggetto indagato del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti). Contro tale decisione ricorreva in Cassazione il Procuratore della Repubblica deducendo una non corretta nozione di profitto del reato di cui all’art. 2: i giudici, infatti, avrebbero annullato il provvedimento sul presupposto che non fosse stata previamente accertata la possibilità di reperire una somma corrispondente nel patrimonio della società nè verificata la natura fittizia di quest’ultima. Il tutto, sulla scia di pronunzie di questa S.C. come, ad esempio, la n. 38740 (Sgarbi, 4.10.12).
In realtà – come fa notare il ricorrente – quest’ultima decisione muove da presupposti diversi perchè riguarda una ipotesi di violazione dell’art. 10 bis (omesso versamento nel termine fissato delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti) e, comunque, il provvedimento cautelare reale disposto in quel caso, trovava giustificazione nel fatto che “il profitto del reato di omesso versamento delle ritenute si trovava ancora nelle casse della società”. Invece, quando si versi nelle altre fattispecie tributarie delittuose, ove la condotta illecita è costituita dalla rappresentazione, nella denuncia fiscale, di poste passive fittizie ovvero omessa rappresentazione di elementi attivi di reddito (e, quindi, risparmio di imposta), non è individuabile un profitto concreto (depositato nei conti della società) e, come tale, aggredibile. Diversamente opinando (considerando, cioè, il risparmio fiscale come incremento del patrimonio e, quindi, dato direttamente sequestrabile), si finisce per equiparare il presupposto per la sequestrabilità del profitto del reato al presupposto per la sequestrabilità del vantaggio che la persona giuridica trae dal reato. Quest’ultimo, però, è autonomamente considerato dalla L. n. 231 del 2001, art. 5, solo per quei reati per i quali il legislatore ha previsto la responsabilità penale degli enti ma, fra detti reati, non vi sono quelli tributari.

La suprema Corte ha ritenuto il ricorso fondato.
Nei reati tributari – osservano i giudici – il profitto è costituito anche dal risparmio economico che consegue alla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale (sez. 3, 2.12.11, Galiffo, n. 1199; Sez. 3, 7.7.10, Bellonzi, n. 35807). Le stesse sezioni unite (23.4.13, Adami, n. 18374) hanno affermato che il profitto confiscabile, anche nella forma per equivalente, “è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e può dunque consistere anche in un risparmio di spesa come quello derivante dal mancato pagamento del tributo“.
Se è vero che a seguito del reato tributario non si è verificato un decremento del patrimonio circolante, l’accrescimento patrimoniale è solo il riflesso di un mancato depauperamento che, però, non si traduce in un elemento concreto, materialmente apprensibile.
Ha, dunque, ragione il ricorrente quando sostiene che, contrariamente a quanto asserito dal Tribunale, nella specie, non occorreva alcuna specifica dimostrazione della impossibilità di sequestrare – in alternativa ai beni dell’indagato – la corrispondente somma nel patrimonio della società.
Principio, del resto, già chiaramente enunciato in altra recente pronunzia di questa sezione (9.5.12, Sgarbi, rv. 254795) che ha sottolineato come la possibilità di sequestro preventivo per equivalente del profitto (consistente nell’imposta non versata) derivante dall’omesso versamento di ritenute certificate (posto in essere dall’amministratore) – è prevista nella misura in cui “la somma corrispondente sia rimasta nelle casse della società“.

Redazione Giurisprudenza Penale

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