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La Cassazione torna sul nuovo art. 73 comma 5 dpr 309/90

cassazioneCassazione Penale, Sez. IV, 17 febbraio 2014 (ud. 9 gennaio 2014), n. 7363
Presidente Sirena, Relatore Foti, P. G. Fodaroni

Con la sentenza 7363 del 2014 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione torna a fare il punto sulla natura giuridica del nuovo art. 73 comma 5 dpr 309/90.

Come avevamo anticipato nelle scorse settimane, all’indomani del recente decreto legge 23 dicembre 2013, n. 146 la Cassazione – in particolare la sesta sezione – aveva già avuto modo di affermare che, in seguito al recente intervento, l’art. 73 comma 5 dpr 309/90 configura un titolo autonomo di reato e non più una circostanza attenuante.

Avevamo inoltre segnalato che la stessa Corte di Cassazione – in una relazione dell’ufficio del Massimario – nel sottolineare che «la prima e più urgente questione che si pone all’interprete consista nello stabilire se attraverso di esse il legislatore abbia inteso mutare la qualificazione giuridica della fattispecie, trasformando quella che era considerata, come detto, una circostanza attenuante in un titolo autonomo di reato» aveva fatto notare come vi fossero una serie di «indici sintomatici del proposito di qualificare un autonomo titolo di reato» tra cui veniva segnalato, in particolare, l’inserimento della clausola di sussidiarietà – prova, questa, del fatto che «l’ambito di applicazione della norma è segnato in negativo dalla configurabilità di un “più grave reato”, espressione la quale apparentemente presuppone che il fatto considerato dal quinto comma dell’art. 73 costituisca esso stesso già un reato».

Con la sentenza che si segnala la suprema Corte – questa volta la quarta sezione – torna a ribadire il concetto.

L’art. 2, lett. a) del decreto – significativamente rubricato ai fini di quanto si rileverà in prosieguo “Delitto di condotte illecite in tema di sostanze stupefacenti o psicotrope di lieve entità” – modifica il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, che prevede pene inferiori per i reati in materia di stupefacenti configurati nello stesso articolo, qualora i fatti contestati possano essere considerati di lieve entità in forza dei parametri contemplati nello stesso comma.

La fattispecie in questione prima del suddetto intervento era stata qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come circostanza attenuante ad effetto speciale e non già come titolo autonomo di reato, essendosi a riguardo posto in rilievo come nella stessa siano valorizzati elementi (come i mezzi, la modalità, le circostanze dell’azione, la qualità e quantità delle sostanze) che non altererebbero l’obiettività giuridica e la struttura di quelle previste nei precedenti commi dell’art. 73, ma si limiterebbero ad attribuire alle medesime una minore carica offensiva.

Nella disposizione in questione – fanno notare i giudici – la novella ha inserito innanzi tutto una clausola di sussidiarietà (“salvo che il fatto non costituisca più grave reato”). In secondo luogo, pur conservando l’originaria descrizione del nucleo caratterizzante la fattispecie materiale, ha provveduto ad inserirla tra due proposizioni e cioè “chiunque commette uno dei fatti previsti dal presente articolo” ed “è punito con le pene”, quest’ultima destinata a sostituire la precedente formula “si applicano le pene”. Infine è stato rimodulato il limite massimo edittale della pena detentiva, abbassato da sei a cinque anni di reclusione.

Ciò posto – osserva la Corte – deve ritenersi che con le apportate modifiche il legislatore ha inteso mutare la qualificazione giuridica della fattispecie, trasformando quella che era considerata – come sopra ricordato – una circostanza attenuante in un titolo autonomo di reato, come può desumersi, in primo luogo, dalla stessa interpretazione letterale della norma.

Ancora – si aggiunge, riprendendo quanto osservato già nella citata relazione dell’ufficio del Massimario – la espressa previsione di un soggetto attivo (“chiunque”) e di una condotta (“commette”) appaiono sicuramente indici sintomatici quanto mai significativi della volontà del legislatore di incriminare in maniera autonoma fatti la cui descrizione è pur sempre in parte mutuata da altre disposizioni incriminatrici, ma che nel citato comma 5 trovano una loro ulteriore caratterizzazione attraverso la descrizione delle condizioni che li rendono di “lieve entità”. Per di più, l’intenzione di configurare “una nuova ipotesi di reato in luogo della previgente circostanza attenuante” emerge espressamente in termini dal comunicato stampa rilasciato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri all’esito del Consiglio dei Ministri n. 41 del 17 dicembre 2013 ed anche la relazione alla legge di conversione espressamente qualifica quella dell’art. 73, riformulato comma 5 come fattispecie autonoma di reato.

In conclusione, essendo la nuova previsione normativa indubbiamente più favorevole per l’imputato, questa troverà immediata applicazione ex art. 2 c.p., comma 4. Tanto considerato, dunque, all’imputato si applicherà, quanto al regime prescrizionale, la disciplina introdotta dalla L. n. 251 del 2005, che come è noto non tiene conto dell’eventuale riconoscimento di circostanze attenuanti.

Redazione Giurisprudenza Penale

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