Sulla configurabilità del reato di abbandono di animali di cui all’art. 727 c.p.
Cassazione Penale, Sez. III, 24 febbraio 2014 (ud 16 luglio 2013), n. 8676
Presidente Squassoni, Relatore Grillo, P. G. Salzano
Depositata il 24 febbraio 2014 la pronuncia numero 8676 a proposito del reato di abbandono di animali di cui all’art. 727 c.p. secondo cui “Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l’arresto fino ad un anno o con l’ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze“.
La Corte, in particolare, ha affermato che il reato di abbandono di animali comprende non solo tutti quei comportamenti dell’uomo che offendono il comune sentimento di pietà e mitezza verso gli animali – destando ripugnanza per la loro aperta crudeltà – ma anche quelle condotte che incidono sulla sensibilità dell’animale, producendo un dolore (v. in senso conforme Sez. 3^ 22.11.2012 n. 49298, Tomat. Rv. 253882; idem 7.11.2007 n. 44287, Belloni Pasquinelli, Rv. 238280).
Hanno osservato i giudici che la norma incriminatrice di cui all’art. 727, tuttavia, dopo la novella di cui alla L. n. 189 del 2004 richiede, ai fini della integrazione della fattispecie, non solo che le condizioni di custodia dell’animale appaiano incompatibili con la natura dello stesso, ma anche che tali condizioni siano produttive di gravi sofferenze per l’animale.
Proprio con riferimento alla nozione di “gravi sofferenze“, ha precisato la Corte che, se è innegabilmente vero che il concetto di gravità della sofferenza necessario per la condotta prevista dall’art. 727 c.p., è diverso dal concetto di grave danno alla salute (dell’animale) contemplato nell’art. 544 ter c.p., è comunque indispensabile che le sofferenze cui gli animali mal custoditi dovessero essere sottoposti debbano raggiungere un livello tale da rendere assolutamente inconciliabile la condizione in cui vengono tenuti con la condizione propria dell’animale in situazione di benessere.
Tale giudizio – concludono i giudici – va espresso con riferimento alle situazioni contingenti, in quanto è evidente che una temporanea situazione di disagio dell’animale non può essere confusa con la situazione contra legem di cui all’art. 727, comma 2, c.p.