Violenza sessuale: sui parametri valutativi dei casi di minore gravità (ultimo comma art. 609 bis c.p.)
Cassazione Penale, Sez. III, 18 novembre 2013 (ud. 5 novembre 2013), n.46184
Presidente Squassoni, Relatore Ramacci, P.G. Canevelli (parz conf.)
Massima
In tema di reati sessuali, per l’applicazione dell’attenuante speciale dei casi di minore gravità, di cui all’ultimo comma dell’articolo 609-bis del c.p., non è sufficiente la mancanza di congiunzione carnale tra l’autore del reato e la vittima, essendo piuttosto necessario verificare che vi sia stata una minima compressione della libertà sessuale della vittima, da verificare prendendo in considerazione le modalità esecutive e le circostanze dell’azione attraverso una valutazione globale che comprenda il grado di coartazione esercitato sulla persona offesa, le condizioni fisiche e psichiche della stessa, le caratteristiche psicologiche valutate in relazione all’età, l’entità della lesione alla libertà sessuale ed il danno arrecato, anche sotto il profilo psichico.
Il commento
Con la pronuncia numero 46184 del 18 novembre 2013 la terza sezione della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in merito ai parametri di valutazione dei cd. casi di “minore grativà” richiamati dall’ultimo comma dell’art. 609 bis c.p. (violenza sessuale).
L’art. 609 bis c.p. dispone, infatti:
Chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali:
1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto
2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona.
Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Ricordiamo che la normativa in tema di reati sessuali è stata modificata dalla L. n. 66 del 15 febbraio 1996 riunificando sotto un medesimo titolo di reato la violenza carnale e gli atti di libidine violenti (artt. 519 521 c.p.) e focalizzando la sua attenzione sul concetto di “atto sessuale”, inteso come qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo fra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorché fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale (Cass., sez. III penale, 25 gennaio 2006).
L’ultimo comma dell’art. 609 bis disciplina i casi di minore gravità e sono diversi i punti che in dottrina e nella giurisprudenza della Corte di Cassazione hanno portato alla definizione della locuzione prevista dalla legge.
E’ opportuno precisare come sulla questione riguardante i casi di “lieve entità” si pronunciò il 18 luglio del 1995 la Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati. Il suggerimento della Commissione fu di spingere il legislatore a predefinire in maniera più puntuale i criteri di giudizio in base ai quali valutare i casi di lieve entità del fatto, relativi alla normativa in tema di violenza sessuale antecedenti alla legge del 1996. Con la riforma dei reati sessuali si ottenne la sostituzione della formula “lieve entità” con l’altra che fa riferimento ai “casi di minore gravità”. Tale sostituzione, rappresentò però, una semplice modifica di carattere terminologico.
Nel caso de quo la Suprema Corte rileva come l’assenza di congiunzione carnale non sia motivo idoneo ad integrare l’attenuante di cui all’ultimo comma dell’art. 609 bis (Sez. 3 n. 10085, 6 marzo 2009; Sez. 3 n. 14230, 4 aprile 2008), ma sia piuttosto necessaria una “minima compressione della libertà sessuale” attraverso una valutazione di carattere globale prendendo in considerazione le modalità esecutive (art. 133 c.p.)
In sostanza, quindi per giudicare della minore gravità del fatto, bisogna aver riguardo, non già della “quantità” di violenza fisica impiegata o alla tipologia dell’aggressione sessuale, ma piuttosto alla “qualità” dell’atto compiuto, che deve desumersi dall’intero contesto del fatto e delle condizioni personali della vittima (grado di coartazione esercitato dal soggetto agente, caratteristiche psicologiche della persona offesa anche in relazione all’età, danno arrecato alla vittima in termini psichici) (Cass.., Sez. III, 24 marzo 2000).
E ancora la Corte di Cassazione ha precisato come la conseguenza pratica saliente del principio enunciato è che il giudice non può definire il reato di “minore gravità” per il solo fatto che la condotta si è tradotta in toccamenti o palpeggiamenti superficiali, ma dovrà verificare se il giudizio oggettivo di tenuità della condotta trovi conferma anche alla luce di una valutazione globale del fatto, di cui naturalmente occorrerà dar conto nella motivazione della sentenza.