ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PENALEParte speciale

Sull’ammissibilità del concorso esterno in associazione mafiosa – Cass. Pen. 30346/2013

Cassazione Penale, Sez. VI, 15 luglio 2013 (ud. 18 aprile 2013), n. 30346
Presidente De Roberto, Relatore De Amicis

Massima

Integra il delitto di concorso esterno, e non di partecipazione all’associazione mafiosa, la condotta del soggetto che – senza essere inserito nella struttura organizzativa del sodalizio criminale – operi nell’ambito del sistema di gestione e spartizione degli appalti pubblici d’intesa con esponenti mafiosi o imprenditori collegati all’associazione mafiosa, offrendo la sua disponibilità al mantenimento di tale sistema attraverso un’attività di collaborazione nell’aggiudicazione delle licitazioni ad imprese in precedenza individuate, fornendo offerte di comodo e concorrendo nella fase della turbativa riguardante il controllo delle offerte presentante da talune imprese partecipanti, non manovrabili, per adeguare al loro contenuto quella proveniente dalla sua impresa. Tale condotta, invero, deve essere annoverata nella categoria delle attività di collusione dell’imprenditore, entrato in un rapporto sinallagmatico di cointeressenza con la cosca mafiosa, tale da produrre vantaggi per entrambi i contraenti e da consentire al primo di imporsi sul territorio in posizione dominante grazie all’ausilio del sodalizio. Nel descritto contesto, al contrario, deve essere escluso il reato di partecipazione all’associazione mafiosa poichè il soggetto, privo dell’affectio societatis, si limita ad agire dall’esterno con la consapevolezza e la volontà di fornire un contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, nonchè alla realizzazione, anche parziale, del suo programma criminoso.

Il commento

«Sussiste l’ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa allorché emerga l’esistenza di un rapporto di consapevole e volontaria collaborazione dell’imputato con l’organizzazione mafiosa denominata «cosa nostra» attraverso un’attività di illecita interferenza nell’aggiudicazione degli appalti pubblici, con reciproco vantaggio costituito, per l’imputato, dal conseguimento di commesse, e per il consorzio criminoso dal rafforzamento della propria capacità di influenza nello specifico settore imprenditoriale, con possibilità di indirizzarne le risorse al proprio interno, e dunque di accrescere le proprie risorse economiche».
La pronuncia della VI Sezione Penale della Cassazione interviene a chiarire ed a meglio inquadrare il comportamento di chi coopera nel delitto, pur non appartenendo all’associazione, intendendo così definire il ruolo del concorrente esterno in associazione mafiosa.
Come autorevole dottrina evidenzia (Fiandaca Musco, in Diritto Penale Parte Generale, pp. 490 e ss.),  una cosa è stabilire in presenza di quali condizioni i membri di un’associazione criminosa – in particolar modo coloro che rivestono i  ruoli di vertice – rispondano a titolo di concorso eventuale, anche dei così detti reati-scopo materialmente eseguiti da altri associati, altro è verificare se – e in presenza di quali presupposti – sia configurabile un concorso esterno ex art. 110 c.p. del codice in un’associazione criminosa da parte di soggetti estranei all’organizzazione medesima.
Con riguardo al primo punto, è pericoloso attribuire una responsabilità di posizione ai vertici delle associazioni criminali, elevandoli in maniera automatica al ruolo di concorrenti morali nei singoli delitti commessi da altri. Per contro, affinché ai vertici di un’associazione criminosa siano applicabili le norme sul concorso morale, non basta che i singoli delitti, materialmente commessi da altri associati rientrino nelle direttrici programmatiche fissate dai capi medesimi, ma piuttosto che tali direttrici contengano già, sufficientemente delineati, i tratti essenziali dei singoli comportamenti delittuosi realizzati dai compartecipi.   
Con riferimento al secondo aspetto, si tratta della configurabilità di un concorso esterno da parte di soggetti estranei all’associazione criminosa che, pur non facendo parte del sodalizio, intrattengono rapporti di collaborazione con l’organizzazione medesima, in modo da contribuire alla sua conservazione o al suo rafforzamento.
Se si muove dal presupposto che la rilevanza penale di una condotta di partecipazione al reato associativo implichi necessariamente l’acquisizione del ruolo precostituito e formale di associato, possono aprirsi vuoti di tutela in tutti i casi nei quali il soggetto che attua comportamenti vantaggiosi per l’associazione non ne faccia parte integrante, ma sia estraneo ad essa: per colmare questi vuoti di tutela penale non rimane che ipotizzare un concorso esterno ex art. 110 e ss. del codice nel reato associativo, che di volta in volta viene in questione (associazione per delinquere, associazione di tipo mafioso, banda armata ecc.).
In merito alla configurabilità del concorso esterno, la citata dottrina è chiara ed univoca: «non si può partecipare o concorrere nel reato associativo se non facendo parte dell’associazione; viceversa il soggetto che rimane estraneo all’associazione non può, per ciò stesso, prender parte dall’esterno ad un illecito che, come quello associativo, richiede per definizione l’assunzione del ruolo di partecipe interno».
Sul punto la rubrica del codice penale all’416-bis, disciplina l’associazione di tipo mafioso e richiede per la sua sussistenza che: ne siano parte tre o più persone; che vi siano dei vertici che promuovano o dirigano la societas sceleris; che coloro che la formano si avvalgano della forza d’intimidazione del vincolo associativo e dell’omertà per perseguire delitti o scopi illeciti. La norma, nei successivi commi 4, 5, 6 e 7, considera anche l’associazione armata; l’associazione finanziata con il prezzo, il prodotto o il profitto del reato; prevede la confisca delle cose servite per commettere reato o che ne sono state il prezzo, il prodotto o il profitto; fa presente, con la disposizione di chiusura del comma 7 che tale disciplina si applica a qualsiasi forma di criminalità localmente considerata.
E’ da tenere presente che il successivo art. 416-ter c.p. disciplina un particolare fenomeno regolato anche nell’ultima parte del comma 3 dell’art. 416-bis c.p.: lo scambio elettorale politico-mafioso.  Tale figura criminis si ha quando si avvera la promessa di voti in occasione di consultazioni elettorali ovvero quando se ne impedisce il regolare svolgimento. Come è evidente, il concorso esterno è un istituto piuttosto complesso che negli ultimi anni è stato oggetto di vivaci dibattiti tanto in dottrina, quanto in giurisprudenza.
Sul punto deve ammettersi che la sua configurabilità sfugge in concreto, essendo tipizzabili diverse forme di concorso esterno, in ragione del movente che unisce i correi e li porta al delitto: ecco perché risulta sensato parlare di associazione per delinquere, di associazione mafiosa, di banda armata.
La pronuncia che qui interessa, fa riferimento ad una vicenda nella quale si è ritenuto sussistere una condotta di concorso esterno e non di partecipazione all’associazione mafiosa, poiché il soggetto era privo dell’affectio societatis e non era inserito nella struttura organizzativa dell’organizzazione per cui si è limitato ad agire dall’esterno con la consapevolezza e la volontà di fornire un contributo causale alla conservazione o al rafforzamento dell’associazione, nonché alla realizzazione del suo programma criminoso (in senso conforme v. Cass. Pen. Sez. I, n. 46552 del 11/10/2005, dep. 20/12/2005, Rv. 232963; Cass. Pen. Sez. V, n. 39042 del 01/10/2008, dep. 16/10/2008, Rv. 242318).

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