Violenza sessuale: sulla attribuzione della natura di atti sessuali a baci ed abbracci
Cassazione Penale, Sez. III, 4 marzo 2014 (ud. 12 febbraio 2014), n. 10248
Presidente Teresi, Relatore Ramacci, P. G. Gaeta
Depositata il 4 marzo 2014 la sentenza numero 10248 in tema di violenza sessuale relativa, in particolare, alla possibilità di attribuire natura di “atti sessuali” a baci ed abbracci compiuti dall’imputato, nella sua qualità di preside di un istituto scientifico, nei confronti di una minore, alunna dell’istituto e quindi a lui affidata per ragioni di istruzione.
Hanno affermato i giudici che, in materia di reati sessuali, non essendo possibile classificare aprioristicamente come atti sessuali tutti quelli che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente individuabili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo con finalità diverse, come nel caso del bacio o dell’abbraccio, la loro valutazione deve essere attuata mediante accertamento in fatto da parte del Giudice del merito, evitando improprie dilatazioni dell’ambito di operatività della fattispecie penale contrarie alle attuali condizioni di sviluppo sociale e culturale, ma valorizzando ogni altro elemento fattuale significativo, tenendo conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte ed ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo.
Alla luce di tali criteri, nella fattispecie in esame i giudici hanno ritenuto la decisione dalla Corte di Appello immune da vizi dal momento che, dalla descrizione degli episodi effettuata dalla Corte territoriale, è emerso chiaramente come la condotta dell’imputato fosse del tutto inusuale e risultasse caratterizzata da una indubbia connotazione sessuale – escludendo, quindi, che fosse limitata ad accompagnare il saluto.
Del resto – concludono i giudici – un altro dato significativo, pure evidenziato dai giudici del gravame, è quello relativo alle frasi che l’imputato rivolgeva alla persona offesa in occasione dei loro incontri: si ricorda infatti nella sentenza impugnata che lo stesso imputato, nel corso dell’esame cui si è sottoposto, aveva riconosciuto di aver rivolto complimenti alla ragazza per il suo corpo e per l’aspetto fisico.