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Sulla natura giuridica delle soglie di punibilità di cui al D.Lgs. 74/2000

5Cassazione Penale, Sez. III, 18 ottobre 2013 (ud. 16 maggio 2013), n. 42868
Presidente Squassoni, Relatore Orilia, P.G. Delehaye

Massima

Le soglie di punibilità previste per i reati tributari dal D.Lgs. n. 74/2000 hanno natura di elementi costitutivi del reato e non di condizioni obiettive di punibilità. Da ciò deriva che tali soglie devono essere ”investite” dal dolo, per cui se l’imputato non e’ consapevole di averle superate, non può essere condannato.

Il commento

1. Con la sentenza numero 42868 della terza sezione penale (in basso è disponibile il download delle motivazioni), la suprema Corte torna ancora una volta ad affrontare la questione della natura giuridica da riconoscere alle cd. soglie di punibilità previste dai delitti in materia di dichiarazione di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 (oggetto del presente procedimento era, in particolare, l’art. 3 relativo alla dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici).
E’ noto che nell’ambito di alcuni reati tributari (tra i quali proprio quello di cui al D. Lgs. 74/2000, art. 3) il legislatore conferisce rilevanza penale al fatto solo quando vi sia il superamento di determinate soglie quantitative: tali soglie – definite, appunto, soglie di punibilità – hanno da sempre posto il problema della loro natura giuridica, tra chi sostiene che siano elementi costitutivi del reato e chi, al contrario, sostiene siano ipotesi da far rientrare tra le cd. condizioni obiettive di punibilità di cui all’art. 44 c.p.

2. Prima di vedere come la questione è stata risolta dal collegio, ricapitoliamo brevemente i fatti: la Corte di Appello – nel confermare la sentenza di condanna pronunciata dal Tribunale per il reato di concorso in dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici – riteneva non fondata la tesi dell’imputato (basata sulla natura di elementi costitutivi del reato e sulla mancanza, nel caso di specie, del dolo specifico consistente nella consapevolezza del raggiungimento della soglia di punibilità) e sposava l’orientamento minoritario secondo cui non si tratterebbe di elementi costitutivi del reato, bensì di condizioni obiettive di punibilità il cui verificarsi, dunque, non deve rientrare nell’ambito della rappresentazione volitiva dell’agente.
Ricorreva per cassazione l’imputato denunciando erronea applicazione della legge penale con riferimento al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, e art. 44 c.p., nonchè in relazione al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 3 e artt. 42 e 43 c.p., nel punto in cui definisce le soglie di punibilità: dette soglie – secondo il ragionamento del ricorrente – non avrebbero natura di condizione di punibilità, bensì di elementi costitutivi del reato, sicchè sarebbe pertinente la censura sull’esclusione della loro rilevanza al fine del vaglio dell’offensività e della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, dovendo essere accertato se l’imputato avesse avuto non solo l’intenzione di indicare elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, ma anche di indicarli in misura superiore alla soglia di punibilità.

3. I giudici di legittimità hanno accolto, solo sul piano teorico, l’impostazione del ricorrente.
La questione, come accennato, consiste nello stabilire se il superamento della soglia medesima costituisca un elemento costitutivo del reato (con la conseguenza che, in mancanza di dolo, il superamento della soglia non determina la commissione del reato), oppure se debba essere fatto rientrare tra le cd. condizioni obiettive di punibilità di cui all’art. 44 c.p. (con la diversa conseguenza che il superamento della soglia comporterà in ogni caso la sussistenza del reato).
La pronuncia in annotazione – diversamente da quanto sostenuto dalla Corte di Appello – aderisce al prevalente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale le soglie di punibilità avrebbero natura di elementi costitutivi del reato e non di condizioni obiettive di punibilità: anche tali soglie – come tutti gli altri elementi costitutivi del reato – devono essere “investite” dal dolo e, di conseguenza, se l’imputato non è consapevole di averle superate, non può essere condannato.
Tale soluzione – si sostiene –
pare confermata sia dal chiaro tenore della relazione Governativa di accompagnamento al D.Lgs. n. 74 del 2000 (che espressamente qualifica in tal senso le due soglie), sia dall’orientamento delle Sezioni Unite del 12 settembre 2013, n. 37424, che hanno qualificato le soglie di punibilità come elementi costitutivi del reato.
Tra le pronunce (minoritarie) in senso contrario v. Cass. Pen., Sez. III, n. 25213 del 26/05/2011, in Fisco, 2011, 29, 4715 secondo cui «nel reato di omessa dichiarazione, il superamento della soglia rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa costituisce una condizione oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente» o Cass. Pen., Sez. III, 16 gennaio 2003, n. 15164 in Riv. Pen., 2004, 134 secondo cui «la condizione che dal fatto derivi una evasione mensile non inferiore a cinque milioni di lire per la configurabilità del reato di cui all’art. 37 della legge 24 novembre 1981 n. 689, che punisce il datore di lavoro che omette registrazioni o denuncie obbligatorie o esegue denunzie false al fine di evadere i contributi previdenziali, costituisce una condizione oggettiva di punibilità, atteso che inerisce ad un limite quantitativo dell’evento».

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