Autore mediato: sul concorso tra falsa attestazione del privato e falso per induzione in errore del p.u.
Cassazione Penale, Sez. III, 27 marzo 2014 (ud. 17 dicembre 2013), n. 14434
Presidente Mannino, Relatore Savino, P.G. Fraticelli
Si segnala alla attenzione dei lettori la pronuncia numero 14434 della terza sezione penale relativa alla possibilità di ravvisare un concorso tra la fattispecie di cui al combinato disposto degli artt. 48 e 479 c.p. (Falsità in atto pubblico del pubblico ufficiale per induzione in errore da parte del privato) e quella di cui all’ art. 483 c.p. (Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico).
Si tratta di un tema più volte affrontato dalla giurisprudenza di legittimità sul quale si sono pronunciate nel 2007 le Sezioni Unite (sentenza n. 35488 del 28 giugno 2007 in Giur. It., 2008, 2, 414 con nota di Martinelli) affermando il principio secondo cui il delitto di falsa attestazione del privato (di cui all’art. 483 c.p.) può concorrere con quello della falsità per induzione in errore del pubblico ufficiale nella redazione dell’atto al quale l’attestazione inerisca (di cui agli artt. 48 e 479 c.p.), sempreché la dichiarazione non veridica del privato concerna fatti dei quali l’atto del pubblico ufficiale è destinato a provare la verità.
Venendo ai fatti oggetto della pronuncia, la tesi difensiva (non accolta dalla Cassazione) muoveva dalla considerazione che, ai fini della configurabilità del reato di falso per induzione in errore del pubblico ufficiale (artt. 48 e 479 c.p.) occorra non solo che venga attestata una circostanza non veritiera da parte del pubblico ufficiale sulla base di falsa dichiarazione del privato, ma che il p.u. integri tale dichiarazione con una attestazione propria di conformità al vero; se invece – sostiene il ricorrente – il pubblico ufficiale si limita a riportare la dichiarazione del privato nell’atto pubblico, recependola, in tal caso ricorrerebbe solo la falsa dichiarazione del privato (art. 483 c.p.) (che ne sarebbe l’autore immediato) ma non vi sarebbe spazio per il falso per induzione con autore mediato (artt. 48 e 479 c.p.).
In altri termini, perchè ricorra il reato di falso per induzione, in concorso con il reato di falsità del privato, sarebbe necessario che il p.u. non si limiti a recepire nel proprio atto la dichiarazione del privato ma ne attesti la veridicità (condizione che, nel caso di specie, mancherebbe essendosi il p.u. limitato a recepire la dichiarazione di verità proveniente dal privato).
La Corte ha ritenuto il motivo di ricorso non fondato.
La problematica del concorso fra il reato di falsa attestazione del privato di cui all’art. 483 c.p. e il reato di falsità in atto pubblico del pubblico ufficiale per induzione di cui agli artt. 48 e 479 c.p., come anticipato, è già stata affrontata dalle Sezioni Unite del 2007 che, recependo un precedente orientamento già espresso con la sentenza SU 24.2.1995 n. 1827 Proietti, hanno affermato che tutte le volte in cui il pubblico ufficiale emani un provvedimento, dando atto in premessa, anche implicitamente, della esistenza delle condizioni richieste per la sua adozione, desunte da atti o attestazioni non veri provenienti dal privato, si è in presenza di un falso del pubblico ufficiale del quale risponde, ai sensi dell’art. 48 c.p., colui che ha posto in essere l’atto o l’attestazione non vera sulla base del quale l’atto pubblico è stato formato.
La Corte, pur dando atto di un opposto orientamento (secondo il quale non sussiste il falso per induzione del pubblico ufficiale tutte le volte che questi si limiti a recepire supinamente la falsa dichiarazione del privato costituente il presupposto per l’emanazione dell’atto pubblico, senza effettuare alcun accertamento, occorrendo, ai fini della configurabilità di tale condotta, concorrente con il reato di falso ideologico del privato ex art. 483 c.p., un’ ulteriore attività di attestazione di corrispondenza al vero del p.u. ricevente la dichiarazione, che non si limiti a recepirla ma svolga un’indagine della sua veridicità) ritiene, tuttavia, che non possa essere condiviso in quanto l’attività del pubblico ufficiale ricevente non può riduttivamente circoscriversi alla mera ricezione della dichiarazione fatta dal privato.
Come affermato dalle Sezioni Unite con la succitata sentenza, il pubblico ufficiale, allorquando nell’atto da lui formato fa riferimento ad atti o a “dichiarazioni sostitutive” (non veri) provenienti dal privato e riguardanti i presupposti richiesti per la legittima emanazione dello stesso atto pubblico – non si limita ad “attestare l’attestazione del mentitore” nè a “supporre che quella attestazione sia veridica”, ma compie, sia pure implicitamente, una sua attestazione (sia pure oggettivamente falsa) circa la sussistenza effettiva di quei presupposti indefettibili: attestazione di rispondenza a verità che si connette alla funzione fidefaciente.
In conclusione, stante il rapporto di causa-effetto tra il fatto attestato dal privato – quale presupposto dell’emanazione dell’atto del pubblico ufficiale – ed il contenuto dispositivo di quest’ultimo e stante, altresì, la stretta connessione logica tra l’uno e l’altro, la falsità del primo si riverbera sul secondo e diventa essa stessa falsità di questo, sicchè la recepita falsa attestazione del decipiens acquista la ulteriore veste di falsa attestazione del pubblico ufficiale deceptus sui fatti falsamente dichiarati dal primo e dei quali l’atto pubblico è destinato a provare la verità.
Ad avviso del collegio, dunque, deve ritenersi che si sia in presenza di due distinte condotte riconducibili entrambe al decipiens:
- una prima condotta consistente nella redazione della falsa attestazione da parte del privato;
- una seconda condotta consistente nell’induzione in errore del pubblico ufficiale mediante la produzione della stessa ai fini dell’integrazione di un presupposto dell’atto pubblico emanando,
con conseguente configurabilità del concorso materiale tra i due reati, legati anche da connessione teleologica.