ARTICOLIDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANOIndagini e processo

Sequestro probatorio di materiale in uso a giornalista professionista

cortedicassazione10Cassazione Penale, Sez. VI, 18 luglio 2014 (ud. 15 aprile 2014), n. 31735
Presidente Garribba, Relatore De Amicis, P.G. Iacoviello

Depositata il 18 luglio 2014 la pronuncia numero 31735 della sesta sezione penale in tema di sequestro probatorio di materiali in uso ai giornalisti professionisti.

I giudici di Piazza Cavour, in particolare, erano chiamati a pronunciarsi in seguito al ricorso presentato dal difensore di due giornalisti nei cui confronti era stato disposto un sequestro probatorio di diverso materiale informativo (decreto di sequestro poi confermato con ordinanza dal Tribunale del Riesame) nell’ambito di un procedimento penale iscritto nei confronti di ignoti per i delitti di cui agli artt. 416 bis e 326 c.p., e L. n. 203 del 1991, art. 7, con riferimento alla propalazione dei verbali di riunioni tenutesi presso la Direzione Nazionale Antimafia. Il provvedimento impugnato – secondo il ricorrente – risultava invasivo di posizioni soggettive costituzionalmente tutelate ex art. 21 Cost., cui sono connesse la garanzia del segreto professionale e la riservatezza delle fonti di informazione, imponendo sostanzialmente un vincolo di indisponibilità sui computers utilizzati dal giornalista e sull’area server dallo stesso gestita; si lamentava, infine, violazione dell’art. 10 CEDU, avuto riguardo alla giurisprudenza di Strasburgo sulla non sequestrabilità di computer ed agende dei giornalisti al fine di individuare la fonte anonima di notizie segrete.

La Corte ha ritenuto i ricorsi parzialmente fondati, richiamando principi da tempo affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, n. 40380 del 31/05/2007, dep. 31/10/2007, Rv. 237917; Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, Rv. 2520549), secondo cui il sequestro probatorio disposto nei confronti di un giornalista professionista deve rispettare con particolare rigore il criterio di proporzionalità tra il contenuto del provvedimento ablativo di cui egli è destinatario e le esigenze di accertamento dei fatti oggetto delle indagini, evitando quanto più è possibile indiscriminati interventi invasivi nella sua sfera professionale; oltre che dalla giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo che, in più occasioni, ha avuto modo di sottolineare come la libertà di espressione costituisca uno dei fondamenti essenziali di una società democratica, precisando che le garanzie da accordare alla stampa rivestono una importanza particolare (Corte EDU, Grande Camera, 14 settembre 2010, Sanoma Uitgevers B.V. e. Paesi Bassi).

Ne consegue – afferma la Corte – che è compito del giudice procedere ad un cauto, ed al tempo stesso rigoroso, bilanciamento fra le contrapposte esigenze rappresentate, da un lato, dal doveroso accertamento dei fatti e delle responsabilità in presenza di accadimenti che integrino una ipotesi di reato, e, dall’altro lato, dalla necessità di preservare il diritto del giornalista a cautelare le proprie fonti, in vista dell’espletamento della funzione informativa, considerata uno dei pilastri fondamentali delle libertà in una società democratica (Sez. 2, n. 48587 del 09/12/2011, dep. 29/12/2011, cit.).

Nel caso in esame, vi è stata una indiscriminata estensione del mezzo di ricerca della prova, che ha lasciato in ombra sia l’esigenza di una preventiva individuazione della cosa da acquisire a scopo probatorio, sia quella di una chiara e precisa indicazione dello stretto collegamento che deve esservi tra le res oggetto di apprensione ed i reati oggetto delle attività di indagine preliminare. Il decreto di perquisizione, emesso ex art. 250 c.p.p. e ss., con il conseguente sequestro, ex art. 252 c.p.p., di quanto rinvenuto ed in ogni caso ritenuto utile ai fini delle indagini, pur contenendo un sommario riferimento al fumus commissi delicti, non spiega in alcun modo quale sia il rapporto intercorrente tra le cose sottratte alla disponibilità del ricorrente ed i reati per cui si procede: profilo, questo, che, di contro, doveva essere posto in particolare rilievo, proprio in ragione della peculiare posizione del destinatario del provvedimento, che non poteva subire, quale persona non indagata, rilevanti intrusioni, sia pure a soli fini esplorativi, nella sfera personale della sua attività di giornalista, attraverso l’acquisizione di tutto il materiale informatico e cartaceo posseduto ed attinente alla sua professione, ma doveva essere destinatario di un provvedimento “mirato”, ossia diretto a soddisfare la tutela inerente alla effettiva necessità di un’acquisizione probatoria, attraverso la compiuta indicazione dell’esistenza di uno stretto collegamento tra la res e le ipotizzate condotte delittuose oggetto d’indagine.

I diritti costituzionali sottesi alla tutela del segreto impongono, dunque, un modus operandi diverso rispetto alle perquisizioni ed ai “sequestri ordinari”. La richiesta di esibizione della cosa, infatti, deve riguardare un quid espressamente indicato dall’Autorità giudiziaria e che, riconducibile al “corpo del reato o alle cose pertinenti al reato”, abbia una spiccata idoneità alla ricostruzione dei fatti. La res, pertanto, deve essere necessaria ai fini dell’accertamento, poichè la lesione dei diritti costituzionali coinvolti (diritto all’informazione, riservatezza del domicilio e della corrispondenza) non potrebbe giustificarsi se il contributo conoscitivo risultasse aliunde acquisibile.

In conclusione, questi i principi di diritto affermati dalla Corte:

  • la garanzia del segreto professionale assicurata dall’ordinamento al giornalista professionista non costituisce un privilegio personale di quest’ultimo, bensì un presidio ineludibile a tutela della libera attività di informazione, come ribadito anche dalla Corte di Strasburgo;
  • è pertanto necessario, al fine di contemperare detta garanzia con le esigenze di accertamento dei fatti oggetto di un’indagine penale, il rispetto di un criterio di proporzionalità nell’attività di ricerca della prova;
  • a tal fine è indispensabile che l’ordine di esibizione, e l’eventuale successivo provvedimento di sequestro adottati nei confronti di un giornalista professionista, siano specificamente motivati non solo in ordine al collegamento esistente tra le notizie divulgate ed il tema di indagine, ma anche quanto all’assoluta necessità, per l’accertamento dei fatti, di apprendere la “res” specificamente individuata nel provvedimento.

Redazione Giurisprudenza Penale

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