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Stupefacenti: coltivazione e principio di offensività in concreto

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Cassazione Penale, Sez. VI, 30 luglio 2014 (ud. 8 aprile 2014), n. 33835
Presidente Milo, Relatore Di Stefano, P.G. D’Ambrosio (concl. conf.)

Con la pronuncia numero 33835, depositata il 30 luglio 2014, la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha fatto il punto della situazione in tema di coltivazione di piante dalle quali si estraggono sostanze stupefacenti e principio di offensività in concreto.

Chiamati a pronunciarsi sulla sentenza della Corte di Appello di Sassari che aveva confermato la condanna nei confronti dell’imputato per aver coltivato piante di canapa indiana, i giudici di legittimità hanno accolto il ricorso presentato dal difensore dell’imputato (ricorso fondato sull’insussistenza in concreto di un fatto punibile attesa la inoffensività della condotta, in presenza di quantità trascurabili di sostanza stupefacente destinata all’esclusivo uso personale) e hanno annullato la condanna senza rinvio.

La Corte di Cassazione ha preso le mosse ricordando il ruolo attribuito nel nostro ordinamento al principio di offensività dalla Corte Costituzionale: nella nota sentenza Corte Cost. 360/1995 i giudici della Consulta avevano distinto tra accezione astratta del principio in questione (rivolta al Legislatore) ed accezione concreta (rivolta al giudice) affermando che «spetterà al giudice distinguere l’ipotesi in cui la condotta in concreto non abbia alcuna attitudine alla messa in pericolo del bene tutelato» con la conseguenza che «la assenza di capacità drogante della sostanza coltivata rende di per sè inoffensivo il reato nel caso concreto».

Ciò posto, i giudici hanno richiamato altre significative pronunce in tema di offensività, tra le quali Corte Cost. 260/2005 (secondo cui «il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale (offensività in astratto), e dell’applicazione giurisprudenziale (offensività in concreto), quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato»); Corte Cost. 513/2000 (secondo cui «alla lesività in astratto, intesa quale limite alla discrezionalità del legislatore nella individuazione di interessi meritevoli di essere tutelati mediante lo strumento penale, suscettibili di essere chiaramente individuati attraverso la formulazione del modello legale della fattispecie incriminatrice, fa riscontro il compito del giudice di accertare in concreto, nel momento applicativo, se il comportamento posto in essere lede effettivamente l’interesse tutelato dalla norma»); Corte Cost. 139/2014 (che rispondeva al dubbio di costituzionalità sulla assenza di soglia minima di punibilità per il reato di omesso versamento di contributi previdenziali e, con riferimento ad un caso nel quale la perplessità del giudice rimettente derivava dal fatto che, pur essendo nel caso di specie certamente realizzato il fatto tipico, risultava eccessiva la sanzione penale per “soli” 24 € omessi, rammentava come «il problema non trovi soluzione nel sindacato della scelta normativa (quindi la offensività in astratto), bensì nella valutazione della offensività in concreto»).

Ciò chiarito, i giudici osservano come, sebbene l’azione tipica della coltivazione vada individuata senza alcun riguardo all’accertamento della destinazione della sostanza bastando che sia realizzato il pericolo presunto, tuttavia, proprio nella individuazione del compimento della azione tipica nel singolo caso vada applicata la regola di necessaria sussistenza della “offensività in concreto”: ovvero, pur realizzata l’azione tipica, dovrà escludersi la punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive.

Tale condizione – precisa la Corte – ricorre per quelle condotte che dimostrino tale levità da essere sostanzialmente irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della sostanza. Ovvero, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che è la coltivazione di una pianta conforme al “tipo botanico” e che abbia, se matura, raggiunto la soglia di capacità drogante minima, il giudice potrà e dovrà valutare se la condotta stessa sia del tutto inidonea alla realizzazione della offensività in concretoL’ambito di tale riconoscibile inoffensività è, ragionevolmente, quello del conclamato uso esclusivamente personale e della minima entità della coltivazione tale da escludere la possibile diffusione della sostanza producibile e/o l’ampliamento della coltivazione; l’onere della prova, spettando all’accusa dimostrare la realizzazione del fatto tipico, va ritenuto tendenzialmente a carico dell’imputato anche se è probabile che la condizione di inoffensività sia di immediata percezione.

E’ stata ritenuta, dunque, corretta la valutazione del procuratore generale che ha proposto impugnazione ritenendo che una tale totale assenza di offensività in concreto ricorre nel caso di specie, in cui all’imputato risultava sequestrato “un vaso con due piantine (dell’altezza di 33 cm) di marijuana” la prima “dalla quale potevano ricavarsi circa 750 mg di foglioline, con THC pari all’1,48 %,; pertanto, erano presenti 11 mg di THC (quantitativo inferiore al valore della quantità massima detenibile, equivalente a poco meno di Y2 di dose media singola)” e la seconda “…. dalla quale potevano ricavarsi circa 500 mg di foglioline, con THC pari all’1,59%, per cui erano presenti 8 mg di THC (quantitativo inferiore al valore della quantità massima detenibile, equivalente a circa 1/3 di dose media singola)”.

La assoluta inconsistenza della coltivazione in questione – si legge nelle motivazioni – fa escludere che in concreto sia stata realizzata la lesione del bene tutelato dalla norma.

Redazione Giurisprudenza Penale

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