ARTICOLICONTRIBUTIDelitti contro il patrimonioDIRITTO PENALEParte speciale

Sull’ambito operativo della causa di non punibilità ex art. 649 c.p. – Cass. Pen. 43341/2014

Cassazione Penale, Sez. II, 16 ottobre 2014 (ud. 24 settembre 2014), n. 43341
Presidente Petti, Relatore Pellegrino, P.G. Viola

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione si pronuncia sul caso di un soggetto condannato in primo grado (sentenza confermata in appello), per quanto qui di interesse, per tentata estorsione perpetrata con violenza fisica nei confronti della propria madre.

Il ricorso per Cassazione veniva esperito deducendo, quale primo motivo, l’errore – addebitabile alla Corte Territoriale – consistito nel non avere questa applicato la causa di non punibilità ex art. 649 c.p., norma che – tra le varie ipotesi – esclude la punibilità dell’agente che abbia commesso il delitto contro il patrimonio in danno di un ascendente in linea retta.

Va contestualmente rammentato, però, che l’art. 649 co. 3 c.p. esclude che la causa di non punibilità citata si applichi quando si tratti, espressamente, di: rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione, delitti contro il patrimonio che vengano commessi con violenza alle persone (per violenza, la giurisprudenza consolidata intende quella “fisica”; v. Cass. pen., sez. II, 15 giugno 2010 – 20 luglio 2010, n. 28210). Occorre, tuttavia, fare maggiore chiarezza sul punto.

Il reo lamentava, in sostanza, che il fatto a lui addebitabile, vale a dire quello di tentata estorsione con “minaccia” nei confronti della propria madre, non rientrasse nei casi in cui l’esimente non potesse operare: in altri termini, si trattava, a suo dire, innanzitutto di tentata estorsione, reato che non può essere pari ad una estorsione consumata (l’unica cui fa espressamente riferimento l’art. 649 co. 3 c.p.) e, in più, comunque di un delitto contro il patrimonio commesso con violenza psichica, la cui non punibilità non poteva essere esclusa dall’ultimo inciso del terzo comma citato, posto che questo opera con riferimento ai delitti contro il patrimonio che siano commessi con violenza “fisica” alle persone.

La Corte di Cassazione premette, decidendo sul ricorso esperito, che il tentato delitto è (impostazione suffragata dalla dottrina dominante) una figura di reato autonomo derivante dalla congiunzione tra la clausola moltiplicativa ex art. 56 c.p. e la norma incriminatrice di parte speciale; perciò, quando il legislatore fa riferimento a norme incriminatrici senza menzionare l’art. 56 c.p. (o senza menzionare testualmente la fattispecie tentata), intende riferirsi solo ai reati consumati e non a quelli tentati; d’altro canto, quando il riferimento al reato consumato è svolto in una norma (come l’art. 649 co. 3 c.p.) di sfavore – poiché esclude un beneficio quale è la non punibilità – esso deve essere interpretato in senso restrittivo in omaggio al principio di legalità sub specie di principio di tassatività, suo corollario, evitando dunque indebite interpretazioni analogiche in malam partem.

Dunque, quando l’art. 649 co. 3 c.p. esclude l’operatività della causa di non punibilità per i reati di rapina, estorsione e sequestro estorsivo, la norma non può essere interpretata nel senso di includere nel novero anche le rispettive ipotesi tentate (artt. 56-628; 56-629; 56-630 c.p.).

Da questo ragionamento, impulsivamente dovrebbe essere accolto il ricorso dell’imputato, ma così non avviene, in quanto – precisa la Suprema Corte – ad escludere il riconoscimento in suo favore della causa di non punibilità milita la suscettibilità della condotta del reo di rientrare nell’ultimo inciso dell’art. 649 co. 3 c.p., in quanto in punto di fatto (ed a scapito della fuorviante ricostruzione dell’imputato) non si era verificata una condotta minacciosa bensì una violenza fisica, posto che l’agente aveva accompagnato l’offesa al patrimonio con un gesto di strangolamento nei confronti del soggetto passivo. In questo modo, il fatto deve essere più propriamente qualificato come tentata estorsione con violenza alla persona, figura che, pur non potendo rientrare nel primo “blocco” del comma 3 cit., può agevolmente essere sussunto nel secondo “blocco”, quello dei delitti contro il patrimonio con violenza “fisica” alle persone. Questa locuzione, infatti, per consolidata ermeneutica giurisprudenziale, è atta a riferirsi anche alle ipotesi tentate e non solo a quelle consumate.

Ricapitoliamo schematicamente, ricostruendo l’ambito operativo dell’art. 649 c.p.:

  1. la causa di non punibilità ex art. 649 c.p. esclude la sanzione penale nei confronti di chi ha commesso un delitto contro il patrimonio ai danni di soggetti indicati dalla norma.
  2. la causa di non punibilità non opera nel caso in cui il soggetto agente abbia commesso un delitto “consumato” di rapina, estorsione, sequestro di persona a scopo di estorsione.
  3. la causa di non punibilità in parola non opera, altresì, quando il soggetto agente ha commesso delitti contro il patrimonio con violenza “fisica” (la precisazione è giurisprudenziale) alle persone, sia in forma “consumata” che “tentata”.
  4. ne deriva la piena punibilità del reo che abbia commesso una tentata estorsione ai danni della propria madre, aggredendola fisicamente.