ARTICOLICONTRIBUTIDIRITTO PROCESSUALE PENALE

Il segreto di stato nel processo penale: quando le esigenze massime civili e militari si incontrano

1. Con segreto di Stato si identifica un obbligo giuridico che esclude dalla pubblica conoscenza una determinata notizia. Di questa ne potranno avere unicamente conoscenza i soggetti autorizzati e coloro i quali violino tali disposti normativi andranno incontro a sanzioni. La ratio sottesa al segreto di Stato è giustificata dalla necessità di tutelare la sicurezza nazionale e l’incolumità pubblica.
Porre un vincolo alla conoscenza di una informazione negli Stati moderni, le cui costituzioni spesso tutelano una libertà all’informazione, significa comprimere diritti costituzionalmente garantiti. In questo caso, nell’ottica di un bilanciamento tra gli interessi in gioco, ovvero tra l’informazione libera e la sicurezza pubblica, gioca ruolo vincente la seconda. A ragione di ciò, dunque, in determinate e specificate situazioni ex lege la conoscenza, in un certo modo, viene censurata per il bene sociale collettivo.
La potestas di vincolare a segreto è generalmente riservata all’Esecutivo. Il codice penale italiano identifica due differenti livelli di segreto: il segreto vero e proprio e la notizia di cui ne è vietata la divulgazione.
Occorre poi riferire ulteriormente come il segreto possa attenere ad atti di natura militare, il segreto militare, ovvero politica. Il segreto militare venne inizialmente regolato dal Regio Decreto 11 luglio 1941, n. 1161, per volere di Vittorio Emanuele III e Benito Mussolini. Il segreto politico viene invece regolato successivamente ed introdotto prima della legge 24 ottobre 1977, n. 801, poi ulteriormente modificato dal legislatore contemporaneo.
La legge 3 agosto 2007, n. 124, ha infatti ridefinito le funzioni dei c.d. “agenti segreti” definendone le responsabilità funzionali. Contestualmente introduce l’articolo 270 bis c.p.p. Tale norma prevede come il magistrato, una volta acquisite tramite intercettazioni delle comunicazioni di servizio di soggetti appartenenti al Dipartimento delle informazioni per la sicurezza o ai servizi di informazione per la sicurezza, debba immediatamente secretarle e conservare qualsiasi documento ad esse afferenti in un luogo protetto. Una volta concluse le operazioni di intercettazione l’autorità giudiziaria dovrà trasmettere una copia dei documenti contenenti queste informazioni al Presidente del Consiglio al fine di accertare se qualche d’una di queste è coperta da segreto di Stato. Prima che questo faccia comunicazione agli inquirenti l’utilizzo delle informazioni potrà essere consentito unicamente in caso di pericolo di inquinamento delle prove, pericolo di fuga, o nel caso in cui l’intervento sia finalizzato ad impedire il verificarsi di un delitto la cui pena prevista è la reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni. I pericoli che tale dettato normativo prevede, va’ da sé, devono essere concreti ed attuali. La norma, prevedendo una possibile non solerzia dell’Esecutivo, dispone come se, entro sessanta giorni dalla notificazione al Presidente del Consiglio, non perviene alcun opposto segreto l’autorità giudiziaria può liberamente acquisire la notizia. Nel caso in cui sia opposto il segreto, invece, si inibiscono tutti i poteri in ordine all’uso delle copie protette dal medesimo. Il comma di chiusura prevede poi come il segreto di Stato in nessun caso possa essere opponibile alla Corte Costituzionale.
Tale norma venne inserita a seguito della vicenda Abu Omar originata dai processi milanesi attinenti alti funzionari dei servizi segreti in cui, da alcuni atti della magistratura, traspariva come fossero state condotte indagini su comunicazioni interne ai servizi nell’ambito dell’indagine Pollari.
In tale legge è stabilito che il segreto di Stato decade dopo quindici anni, termine prorogabile dal Presidente del Consiglio, ovvero dalle altre autorità competenti, stando il limite massimo in anni trenta.

2. A livello processualpenalistico l’utilizzabilità dell’informazione coperta dal segreto di Stato è riscontrabile nell’art. 202 del codice di rito. La norma venne modificata dall’art. 401 della l. 3 agosto 2007, n. 124, con effetto a decorrere dal 12 ottobre 2007. Oggi è disciplinato come i pubblici ufficiali, i pubblici impiegati e gli incaricati di un pubblico servizio debbano astenersi tassativamente dal deporre su fatti coperti da segreto di Stato. Nel caso in cui, nel corso dell’escussione di un teste, il sentito opponga un segreto di Stato il magistrato dovrà informare il Presidente del Consiglio dei Ministri per avere o meno la conferma della sussistenza del medesimo. Nel caso positivo dovrà sospendere ogni iniziativa volta all’acquisizione della notizia coperta da segreto. Se l’oggetto del segreto è indispensabile per la risoluzione del de quo, il giudice dovrà emettere una sentenza di non doversi procedere per esistenza del segreto di Stato. Nel caso in cui entro trenta giorni dalla notificazione all’Esecutivo non è pervenuto all’ufficio del magistrato alcuna comunicazione in merito al segreto, egli potrà procedere nell’istruttoria. Anche in questo caso si inibisce alcuna opposizione alla Consulta.
Tale Corte non si è però risparmiata in ordine alle sollevate questioni di legittimità costituzionale sollevate dai giudici di merito dal 2008 ad oggi. Oltre due sentenze circa la risoluzione dei conflitti di competenza – C. Cost., 25 giugno 2008, n. 230; e C. Cost., 17 dicembre 2008 – si è affermato come anche a seguito dell’introduzione delle nuove disposizioni di cui alla l. 3 agosto 2007, n. 124, debba affermarsi la perdurante attualità dei principi tradizionalmente enunciati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di segreto di Stato.
La disciplina del segreto involge il supremo interesse della sicurezza dello Stato nella sua personalità internazionale, cioè l’interesse dello Stato-comunità alla propria integrità territoriale e alla propria indipendenza. Tale, trova conferma anche all’art. 52 Cost. in relazione agli artt. 1 e 5 Cost. Il segreto in oggetto porta un problema di interferenza con altri principi costituzionali compresi quelli che reggono la funzione giurisdizionale ed in tale ambito l’apposizione del segreto da parte del Presidente del Consiglio non può impedire che i pubblici ministeri indaghino sui fatti reato, obbligati dal disposto normativo art. 112 Cost., bensì può inibire l’autorità giudiziaria di acquisire ed utilizzare gli elementi di conoscenza coperti dal segreto fermo restando il supremo interesse della sicurezza dello Stato, interesse insopprimibile della collettività e sovraordinato a qualsiasi altro toccando l’esistenza stessa dello Stato. In tale materia il Presidente del Consiglio gode di ampio potere discrezionale: su questo esercizio è escluso ogni sindacato sull’an e sul quomodo del potere di secretazione atteso che il giudizio sui mezzi idonei e necessari per garantire la sicurezza dello Stato ha natura squisitamente politica. Unico sindacato ravvisabile pare dunque quello del Parlamento, quale più ampia espressione della volontà dei consociati e dunque dello Stato stesso.

3. L’ultima pronuncia in merito all’art. 202 c.p.p. della Corte Costituzionale attiene al celebre – per gli onori della cronaca – caso c.d. Abu Omar.
Si fa riferimento al sequestro con relativo trasferimento in Egitto di Hannam Moustapha Orama Nasr, alias, Abu Omar, Imam di Milano, documentato come uno dei più noti casi di azione illecita condotta dai servizi d’intelligence statunitensi nel contesto della guerra al terrorismo. Abu Omar venne rapito il 17 febbraio 2003 nel capoluogo lombardo da agenti della Central Intelligence Agency all’atto di dirigersi alla moschea. Venne quindi condotto alla base aerea di Aviano in direzione Egitto per essere ivi recluso. Questa operazione interruppe le indagini della Procura della Repubblica di Milano su Nasr circa ad un suo ipotetico coinvolgimento in organizzazioni fondamentaliste islamiche.
Nell’udienza del 22 ottobre 2008, presso la IV sezione penale del Tribunale di Milano, il giudice sospendeva l’esame di Giuseppe Scandone, ex funzionario del SISMI, che opponeva il segreto di Stato. Gli atti erano dunque inviati al Presidente del Consiglio per la verifica in merito alla sussistenza o meno del segreto, in particolare occorreva valutare se le direttive impartite da Pollari, direttore del SISMI, fossero anch’esse coperte da secretazione specie se attinenti ad extraordinay rendition, ossia a sequestro illegale di un soggetto sospettato di terrorismo. Il processo proseguiva con le limitazioni dovute al segreto di Stato concludendosi il 4 novembre 2009 con una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di Pollari e Mancini e di condanna per gli altri imputati. Il 15 dicembre 2010 la Corte d’Appello ridefiniva le sanzioni del primo grado e quando il processo arrivava in Cassazione, il 19 settembre 2012 si cassava annullando con rinvio la sentenza d’appello pronunciata nei confronti di Pollari e Mancini dichiarati già non processabili per segreto di Stato essendoci elementi di prova da valutare non coperti da tale secretazione. Così la Corte d’Appello di Milano, il 12 febbraio 2013 condannava Pollari a dieci anni e Mancini a nove sposando la tesi della Suprema Corte smentendo, in tal fatto, l’esistenza di un qualsivoglia segreto di Stato.
Su tale scia si è espressa, con sentenza 13 febbraio 2014, n. 24  (clicca sul link per scaricare le motivazioni) la Corte Costituzionale definendo come non spettasse alla Corte di Cassazione annullare – con la sent. 19 settembre 2012 n. 46340 – il proscioglimento di alcuni imputati del procedimento relativo al sequestro di Abu Omar, nonché le ordinanze emesse il 22 ed il 26 ottobre 2010, con le quali la Corte d’Appello di Milano aveva ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli indagati nel corso delle indagini preliminari, sul presupposto che il segreto di Stato apposto in relazione alla vicenda riguarderebbe solo i rapporti tra il Servizio italiano e la CIA e gli interna corporis che hanno tratto ad operazioni autorizzate dal Servizio, ma non anche il fatto storico del sequestro in questione.
Da tale sentenza – e dalla generale linea giurisprudenziale – possiamo, ancora una volta, definire come l’esigenza di mantenere al sicuro un fatto od un documento o qualsivoglia altra cosa coperta da segreto di Stato sia una necessità assoluta ed inderogabile che, con forza imperativa, si frappone alle altre esigenze facendo arretrare le singole pretese in favore del superiore diritto dell’esistenza stessa della collettività come Stato.

 

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