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Le implicazioni del movente culturale nella commissione del reato e rilevanza delle cultural defences

Il pluralismo religioso che si è andato affermando nelle società occidentali ha raggiunto un buon equilibrio fintanto che il suo sviluppo si sia limitato a non oltrepassare l’orizzonte comprensivo delle confessioni tradizionali conosciute e radicate in un determinato territorio . Tuttavia, il quadro si va modificando «quando, a seguito di sensibili mutamenti nella stratificazione della popolazione, cominciano a radicarsi gruppi sociali che traggono la propria identità da etnie, culture, religioni, diverse e lontane rispetto a quelle tradizionali» , facendo così emergere un problema di compatibilità tra ordinamento giuridico della società d’insediamento e cultura della popolazione immigrante .

Il più delle volte, infatti, accade che questi stessi gruppi non si limitano solo a chiedere il rispetto della propria fede religiosa o delle proprie usanze , ma tendono a riprodurre comportamenti e consuetudini che riflettono «un universo culturale e simbolico del tutto nuovo» e che possono talvolta entrare in conflitto con i principi o addirittura le regole giuridiche tipiche degli ordinamenti occidentali.

Difatti, il problema della rilevanza della matrice religiosa in ambito penale si acuisce allorquando gruppi isolati e minoranze religiose pongono in essere comportamenti che sono previsti e puniti dalla legge nazionale come reato, e che nel Paese di provenienza, invece, non sono affatto considerati come condotte giuridicamente rilevanti ma addirittura sono consentite o tollerate quali espressioni di un diritto o di una facoltà legittima. Questa è sicuramente una conseguenza del “localismo” e della “non-neutralità” culturale del diritto penale, per effetto dei quali, quando un migrante lascia il suo Paese d’origine per approdare in altro territorio vi trova un substrato religioso diverso nonché un diritto penale impregnato di norme culturali che non sono quelle proprie del suo luogo natío.

In particolare, le problematiche sorgono quando, «insieme all’elemento religioso, o a causa dell’elemento religioso, emerge una differenziazione di costumi e tradizioni così forte da incidere su quelle basi valoriali condivise che sorreggono il nostro ordinamento, e che sono parte integrante degli ordinamenti occidentali» . Tuttavia, «l’attività svolta per fini religiosi non deve configurare un illecito penale, perché allora, in linea di principio, sull’esigenza di libertà prevale l’esigenza di tutela dei beni giuridici offesi dal comportamento illecito» . Il quadro è certamente più complesso di quanto possa apparire, poiché non si tratta solo di adattamento di usanze e tradizioni di natura locale, ma soprattutto di problemi legati al “pluralismo normativo” .

A riprova della delicatezza del problema, va evidenziato come in siffatta materia si contrappongano interessi parimenti rilevanti: «da un lato, l’interesse del nostro ordinamento a che siano rispettate le norme positive che qualificano determinate condotte come penalmente rilevanti; dall’altro, in una logica di globalizzazione, l’interesse degli stranieri a non essere ex abrupto sottomessi a delle consuetudini ad essi ignote fino al momento dell’ingresso nello Stato estero e spesso contrarie alle loro abitudini» .

Il dibattito affonda le proprie radici nel rapporto tra pluralismo religioso e diritto penale, laddove il ripetersi di condotte criminose che comprimono gli altrui diritti, in nome del rispetto e dell’osservanza di un imperativo religioso, ripropone il nodo nevralgico del contrasto tra ordinamento giuridico e ordinamento confessionale, ciascuno dei quali rivendica la propria sovranità a scapito dell’altro . A determinare questa evoluzione in senso policulturale e pluriconfessionale della nostra società, tradizionalmente omogenea nei riferimenti culturali e religiosi , ha contribuito in modo notevole il flusso migratorio dei Paesi in via di sviluppo verso i Paesi più avanzati. La metamorfosi, però, è stata anche facilitata dal progressivo incremento del fenomeno della globalizzazione , determinato da un rigurgito delle identità religiose e da un “nomadismo del capitale” che ha profondamente mutato il governo dell’economia.

Bisogna fare i conti, infatti, con una realtà rinnovata, con una società al plurale, nella quale etnie, religioni, linguaggi rivendicano le loro autonomie, in una universale corsa alla autodeterminazione e al pieno riconoscimento delle identità. Così, «diritti senza terra vagano nel mondo globale alla ricerca di un costituzionalismo anch’esso globale che offra loro ancoraggio e garanzia» , trovando un generale riconoscimento positivo scevro da discriminazioni.

Già da diversi anni si registra, infatti, un esponenziale incremento dei flussi migratori che ha inevitabilmente «sollecitato il diffondersi di nuove istanze di tutela delle identità e della appartenenza dei gruppi» , determinando situazioni di convivenza inedite e la nascita del c.d. villaggio globale.

Tutto ciò ha favorito l’evoluzione delle società occidentali verso il modello delle società di minoranze, contraddistinto dalla compresenza di “minoranze volontarie”, i cui membri aspirano a conservare e a valorizzare le caratteristiche che li differenziano dai membri della maggioranza . Contrariamente ai membri delle “minoranze discriminate” pervasi da una forte volontà di assimilazione alla maggioranza, i primi rivendicano innanzitutto «il diritto di difendere e di preservare la loro identità collettiva» , ritenendosi legittimamente cittadini del Paese di nuovo insediamento.

Per la prima volta, quindi, le problematiche legate alla cultura e alla diversità vengono a scontrarsi con l’esigenza di garantire uniformità, efficacia e credibilità al sistema penale, onde evitare possibili e profondi conflitti socio-culturali.

Nel contesto di una società post-secolare nasce, così, un nuovo modello giuridico-ordinamentale in cui la religione inizia a rivestire nuovamente un aspetto fondante nella ricostruzione identitaria dell’individuo , in palese abbandono della separazione tra Stato e Chiesa, tra valori terreni e confessionali, mettendo a dura prova il principio di laicità che dovrebbe caratterizzare il diritto penale.