Rapina e ingiusto profitto: le nuove aperture della Suprema Corte in tema di ingiustizia morale – Cass. Pen. 11467/2015
Cassazione Penale, Sez. II, 19 marzo 2015 (ud. 10 marzo 2015), n. 11467
Presidente Fiandanese, Relatore Gallo, P.G. Spinaci (concl. conf.)
La recente pronuncia n. 11467/2015 della Suprema Corte è destinata a cambiare radicalmente le precedenti convinzioni in tema di rapina ed, in particolare, a specificare ulteriormente il concetto di “ingiusto profitto”.
Tale mutamento di prospettiva prende le mosse dalla vicenda di un giovane che, dopo essersi introdotto nell’abitazione della sua ex compagna, l’aveva strattonata al fine di impossessarsi del suo telefono cellulare e leggerne i messaggi conservati, nei quali sperava di trovare le prove dei presunti tradimenti perpetrati nei suoi confronti dalla donna.
Il Supremo Consesso ha, infatti, chiaramente specificato come il tema dell’ “ingiustizia” richiesta per il configurarsi del suddetto delitto può concretarsi in qualsiasi tipo di utilità, non necessariamente economica, ma anche prettamente morale, purché venga conseguita con le modalità tipiche del reato in esame (possesso e sottrazione mediante atti violenti o minacciosi della cosa mobile altrui). Nessun rilievo assume, quindi, la giustificazione addotta dall’ imputato, il quale ha agito al fine di mostrare al padre della propria ex fidanzata le prove dei presunti tradimenti della figlia.
La Suprema Corte ha, difatti, specificato come la libertà di autodeterminazione nella sfera sessuale comporti la libertà di iniziare e, ovviamente, porre termine alle proprie relazioni sentimentali, libertà che trova riconoscimento nell’art. 2 Cost.
Rimane, tuttavia, ancora da comprendere se in tali circostanze tale reato si consumi con la sottrazione dell’ apparecchio per un determinato lasso di tempo o se, invece, sia sufficiente anche una minima frazione temporale per attuare la sottrazione e l’impossessamento (approfittando, magari, di una minima distrazione altrui).
In assenza di specifica determinazione da parte dei supremi giudici, al momento tale questione risulta rimessa al buon senso dell’ interprete.
In conclusione, questo il principio di diritto affermato:
“Nel delitto di rapina sussiste l’ingiustizia del profitto quando l’agente, impossessandosi della cosa altrui (nella specie un telefono cellulare), persegua esclusivamente un’utilità morale, consistente nel prendere cognizione dei messaggi che la persona offesa abbia ricevuto da altro soggetto, trattandosi di finalità antigiuridica in quanto, violando il diritto alla riservatezza, incide sul bene primario dell’autodeterminazione della persona nella sfera delle relazioni umane“.