In tema di utilizzabilità delle videoriprese effettuate all’interno dei luoghi di lavoro – Cass. Pen. 2890/2015
Cassazione Penale, Sez. II, 22 gennaio 2015 (ud. 16 gennaio 2015), n. 2890
Presidente Ianneli, Relatore Gallo
“Il diritto alla riservatezza del dipendente cede di fronte all’esigenza di tutela contro i furti del datore di lavoro“. Lo Statuto dei Lavoratori sancisce il divieto assoluto di utilizzo di “impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” (art. 4 L. 300/70). La medesima disposizione è richiamata dall’art. 114 del Codice della privacy e lo stesso codice, all’art. 171, richiama l’art. 38 dello Statuto dei Lavoratori, ovvero le disposizioni penali applicabili alle violazioni dei divieti contenuti nello statuto (arresto fino a 1 anno e/o ammenda).
E’ sulla base di questa normativa che è stata costruita la difesa della dipendente di un supermercato, che ha ricorso in Cassazione per far annullare la condanna che la Corte d’Appello le aveva inflitto (per appropriazione indebita) per aver intascato, in qualità di cassiera, il denaro corrisposto dai clienti per l’acquisto della merce.
Infatti l’unica prova contro di lei erano proprio queste videoriprese effettuate in aperta violazione della normativa posta a tutela della privacy e nello specifico della privacy dei lavoratori. La conseguenza del comportamento illecito del datore di lavoro doveva essere, sempre secondo la difesa della dipendente, l’inutilizzabilità della prova ottenuta in violazione di una norma di legge.
Ma la Corte di Cassazione (Sez. II, sent. n. 2890 del 22 gennaio 2015) ha confermato la condanna inflitta alla dipendente infedele, motivando la sua decisione con la considerazione che “sono pienamente utilizzabili le videoriprese effettuate attraverso telecamere installate nei luoghi di lavoro per accertare comportamenti potenzialmente delittuosi”.
Tutto si gioca sulla finalità per cui l’impianto sia installato sul luogo di lavoro: infatti la norma dello Statuto vieta la videosorveglianza quando questa sia predisposta per effettuare un controllo a distanza del lavoratore. Addirittura, quando sul luogo di lavoro sia necessario installare delle telecamere in virtù della particolare pericolosità dell’attività che vi si svolge (e quindi l’impianto di videosorveglianza sia predisposto a tutela della sicurezza dei lavoratori), devono essere necessariamente interpellate le rappresentanze sindacali aziendali o, in mancanza di queste, una commissione interna (art. 4 co. 2 Statuto dei Lavoratori).
Ma nel caso di specie, l’installazione delle telecamere era stata determinata da un controllo effettuato dal datore di lavoro in seguito al quale questi aveva rilevato la mancanza di profitti. Pertanto, non si poneva come strumento volto al controllo a distanza dei dipendenti tale da ledere il loro diritto alla riservatezza, bensì per ottenere la conferma dell’attività illecita che si compiva nella sua azienda e quindi per difendere il patrimonio della stessa.
Il datore di lavoro, quindi, può ben installare nei locali della propria azienda “telecamere per esercitare un controllo a beneficio del patrimonio aziendale, messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori”, e questo perché le norme dello Statuto dei Lavoratori tutelano sì la riservatezza del dipendente, ma “non fanno divieto al tempo stesso di effettuare i cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale, e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio”.
Questo, in conclusione, il principio di diritto affermato:
Sono utilizzabili nel processo penale, ancorché imputato sia il lavoratore subordinato, i risultati delle videoriprese effettuate con telecamere installate all’interno dei luoghi di lavoro ad opera del datore di lavoro per esercitare un controllo a beneficio dei patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei lavoratori, perché le norme dello Statuto dei lavoratori poste a presidio della loro riservatezza non fanno divieto dei cosiddetti controlli difensivi del patrimonio aziendale e non giustificano pertanto l’esistenza di un divieto probatorio.