L’ambito di operatività della legittima difesa (putativa): caratteristiche e limiti dell’autotutela del privato cittadino
Cassazione Penale, Sez. IV, 16 luglio 2015 (ud. 27 aprile 2015), n. 31001
Presidente Brusco, Relatore D’Isa
Con la pronuncia in analisi la Suprema Corte ha affrontato una tema quanto mai attuale, legato alla scriminante della legittima difesa e, nello specifico, alla peculiare figura della legittima difesa putativa ed ai suoi rapporti con l’eccesso colposo.
In via preliminare, appare opportuno precisare come la natura della suddetta esimente sia sempre stata oggetto di ampio dibattito dottrinale. A fronte di un primo risalente orientamento secondo il quale andava considerata come una sorta di “delegazione della funzione difensiva” da parte dello Stato in favore del cittadino per quelle situazioni in cui l’intervento dell’Autorità non potesse risultare tempestivo, o di una seconda visione che la concepiva alla stregua di una lotta all’illecito, si è poi fatta maggiormente strada la concezione che vi riscontra un residuo di “autotutela” del cittadino nei confronti di colui che agisce in spregio alla legge, riconoscendo, in tal senso, prevalente l’interesse di chi viene ingiustamente aggredito rispetto a quello di colui che realizza un comportamento antigiuridico (vim vi repellere licet).
Come è stato efficacemente osservato , l’autotutela che fonda la legittima difesa rappresenta la conseguenza necessaria ed inevitabile del riconoscimento di diritti basilari in capo all’essere umano. Essa, infatti, affonda le proprie radici proprio nel fatto che quest’ultimo è titolare di una serie di diritti fondamentali, i quali sono recepiti e, conseguentemente, tutelati dall’ordinamento giuridico. Se alla vita, all’incolumità e alla libertà personale è riconosciuto il rango di diritti umani inviolabili sia a livello nazionale (artt. 2, 3 e 13 Cost.) che comunitario (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) , è allora quantomai opportuno che ciascuno possa agire in via di autotutela per la loro protezione.
Ecco quindi che la legittima difesa finisce per possedere un carattere ambivalente, al tempo stesso sia privatistico (trattandosi, appunto, di un diritto preesistente ed innegabile dell’individuo), che pubblicistico (quale strumento di salvaguardia dell’ordinamento).
Tutto ciò premesso, occorre evidenziare come la sentenza in analisi abbia il merito di delineare e, conseguentemente, esaminare con grande precisione la figura in analisi e le condizioni in presenza delle quali può operare, la qual cosa di certo assume una connotazione decisamente positiva, soprattutto a seguito dell’onda emotiva generata sul tema nell’opinione pubblica da recenti e numerosi casi di tentativi di rapina armata.
In particolare, la vicenda di cui si è dovuto occupare il Supremo Consesso concerne proprio l’assalto posto in essere da due uomini ai danni di un bar tabaccheria. Più nello specifico, la figlia della proprietaria, riuscita a sfuggire ad uno dei rapinatori, veniva inseguita da quest’ultimo. Il fratello della donna, vedendo la sorella inseguita da un uomo armato, affrontava in una colluttazione il rapinatore e, dopo avergli sottratto la pistola, approfittando di un momento in cui gli dava le spalle, esplodeva un colpo che raggiungeva il rapinatore alla spalla. A seguito della ferita riportata, l’uomo perdeva la vita e, per tale ragione, la Corte di Appello di Caltanissetta condannava l’imputato per il reato di cui agli artt. 55 e 589 c.p.