La Cassazione torna (ancora) sul falso valutativo: la fattispecie è penalmente irrilevante.
Cassazione Penale, Sez. V, 22 febbraio 2016 (ud. 8 gennaio 2016), n. 6916
Presidente Zaza, Relatore Amatore
Si segnala all’attenzione dei lettori una terza tappa del percorso interpretativo intrapreso nel corso degli ultimi mesi dal Supremo Collegio con riferimento alle fattispecie di false comunicazioni sociali, di cui agli articoli 2621 e 2622 cod. civ., così come novellati dalla legge 27 maggio 2015, n. 69.
Com’è noto, la predetta riforma ha -tra l’altro- espunto dai testi delle norme la locuzione “ancorché oggetto di valutazioni”, con ciò suscitando notevole incertezza in riguardo alla rilevanza penale del c.d. falso valutativo.
Si ricorderà il primo approdo della Cassazione sul tema, la c.d. sentenza Crespi (Cass. pen. n. 33774/2015), che all’intervento espuntivo aveva ritenuto corrispondere l’abrogazione del “fatto materiale” che fosse oggetto di valutazioni.
In una seconda pronuncia (Cass. pen. n. 890/2016) il Giudice di Legittimità aveva operato un vero e proprio revirement, argomentando che le parole “ancorché oggetto di valutazioni” nulla aggiungessero al concetto di “fatto materiale” e che pertanto la loro soppressione non ha avuto alcun effetto abrogativo.
Con la pronuncia oggetto della presente analisi, la Cassazione ha nuovamente affrontato il tema, negando l’orientamento da ultimo assunto e consacrando le linee argomentative tracciate dalla sentenza Crespi.
Le comunicazioni sociali che siano fondate su valutazioni estimative sono pertanto penalmente irrilevanti.
Vediamo in dettaglio il percorso logico operato dalla Corte.
Come accennato, la Cassazione ha inteso confermare pienamente le linee interpretative già disegnate dalla sentenza Crespi. Pertanto, la conclusione a cui è pervenuta è che “la nuova formulazione degli artt. 2621 e 2622 cod. civ. (..) ha determinato (..) una successione di leggi con effetto abrogativo (..) limitato alle condotte di errata valutazione di una realtà effettivamente sussistente (..)”.
A sostegno di siffatta posizione, la Corte ha portato una serie di argomenti di seguito illustrati.
In primo luogo, si è addotta una considerazione di ordine sistematico, che muove dalla comparazione tra le condotte di false comunicazioni sociali e quella di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, in cui all’art. 2638 cod. civ.. Ebbene, poiché quest’ultima fattispecie reca a tutt’oggi la locuzione “ancorché oggetto di valutazioni”, la Corte conclude che “la circostanza secondo cui la stessa espressione sia stata cancellata dal testo (degli artt. 2621 e 2622 c.c., ndr) e invece mantenuta in quello dell’art. 2638 c.c. è chiaramente dimostrativa di un intento legislativo mirato ad escludere effetti sostanziali dell’espressione (..) con specifico ed esclusivo riguardo al reato di false comunicazioni sociali e dunque a sottrarre a tale incriminazione i fatti valutativi”.
Sotto altro profilo, il Supremo Collegio ha concentrato la propria attenzione sul significato dell’attributo “materiale” riferito al fatto oggetto delle comunicazioni sociali. Sul punto, la Corte ha ritenuto che “al predicato della materialità dei fatti occorre conferire valenza opposta all’inclusione delle valutazioni fra i fatti stessi”, e ciò in quanto “(il) termine ‘materiale’ (..) non è leggibile solo come contrario a quello di ‘immateriale’, ma contiene anche un’accezione riconducibile all’oggettività dei fatti, in quanto tale estranea ai risultati valutativi”.
Posto che le due nozioni di “fatto materiale” e “valutazioni” sono tra loro intrinsecamente opposte, la Corte si è premurata tuttavia di precisare che il dettato normativo precedente -che le includeva entrambe- era tutt’altro che contraddittorio, giacché voleva intendere che “il falso punibile potesse ricadere anche su dati contabili costituenti il risultato di valutazioni, purché le stesse fossero state svolte partendo da fatti materiali, riferiti a realtà economiche oggettivamente determinate”. Di conseguenza, l’accenno normativo alle valutazioni aveva autonoma portata incriminatrice, dal che la Corte ha ulteriormente tratto che “la soppressione di quel riferimento normativo ha effettivamente ridotto l’estensione incriminatrice della norma alle appostazioni contabili che attingono fatti economici materiali, escludendone quelle prodotte da valutazioni, pur se moventi da dati oggettivi”. Detto altrimenti, la locuzione “ancorché oggetto di valutazioni” non era superflua, e dunque la sua espunzione ha effettivamente effetto abrogativo.
Da ultimo, aderendo una volta di più alle tesi della sentenza Crespi, il Collegio precisa che le voci direttamente riferibili a fatti materiali, ancorché private della componente valutativa, sono tutt’altro che esigue. Infatti, ogni volta che “il valore numerico sia esposto con modalità che ne escludano la percepibilità come esito di una valutazione, e siano pertanto idonee ad indurre in errore i terzi sulla stessa consistenza fisica del dato materiale, potrà ritenersi che il falso cada in realtà su quest’ultimo, venendo pertanto ad essere integrata, anche nella nuova formulazione, la fattispecie incriminatrice”.
Chiarita l’ampia portata del concetto di “fatto materiale”, la Corte riprende infine l’elenco a suo tempo stilato dalla sentenza Crespi con riferimento alle comunicazioni sociali che non rientrano nell’alveo dei falsi valutati, e che sono pertanto sottratte all’effetto abrogativo. A puro scopo esemplificativo si ricordano in questa sede i ricavi falsamente incrementati, i costi non appostati, l’annotazione di fatture emesse per operazioni inesistenti, l’iscrizione di crediti non più esigibili, l’iscrizione all’attivo di crediti derivanti da contratti fittizi.
La Cassazione aggiunge così un ulteriore tassello interpretativo alla riforma dell’illecito penale di false comunicazioni sociali, contribuendo a rafforzare l’orientamento secondo cui, ove siano frutto di mera valutazione estimativa, le stesse non costituiscano più reato.
Tuttavia, a fronte del descritto rafforzamento, non pare ad oggi superfluo un intervento sul punto delle Sezioni Unite.