ARTICOLIDalle Sezioni UniteDIRITTO PROCESSUALE PENALEIN PRIMO PIANO

Abrogazione (D. lgs. n. 7/2016) e revoca delle statuizioni civili: rimessa una questione alle Sezioni Unite

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Cassazione penale, Sez. V, 23 febbraio 2016 (ud. 9 febbraio 2016), n. 7125
Presidente Lapalorcia, Relatore Pistorelli

Segnaliamo l’ordinanza con cui è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: «Se, a seguito dell’abrogazione dell’art. 594 c.p., ad opera del D. Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto».

Ricordiamo, come avevamo già avuto modo di segnalare (clicca qui per leggere l’articolo), che lo scorso gennaio sono stati approvati dal Governo due decreti legislativi – il D. lgs. n. 7/2016  e il D. lgs. n. 8/2016 che hanno previsto, rispettivamente, la abrogazione e la depenalizzazione di una serie di reati – pubblicati in Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 gennaio ed entrati in vigore il 6 febbraio 2016.

La Cassazione, con la decisione che si segnala (pronunciata pochi giorni dopo l’entrata in vigore dei decreti) ha analizzato le conseguenze della intervenuta abrogazione del reato di ingiuria (a seguito della quale non può che conseguire, per gli effetti penali, l’annullamento della sentenza perché il fatto non è più previsto come reato) ponendosi il problema delle statuizioni civili pronunziate nei gradi di merito conseguentemente all’accertamento del fatto contestato ed alla sua attribuibilità agli imputati.

Se, da un lato, l’intervenuta abrogazione dell’art. 594 c.p. dovrebbe porre nel nulla anche le statuizioni civili – senza che pertanto al giudice di legittimità sia consentito esaminare il ricorso ai limitati fini di una loro eventuale conferma – tuttavia gli stessi contenuti del D.Lgs. n. 7 del 2016, così come quelli del “parallelo” D.Lgs. n. 8 del 2016, (entrambi emanati in attuazione della delega contenuta nella L. n. 67 del 2014, art. 2), rivelano anche la possibilità di altre ipotesi, “profilandosi così la concreta possibilità di contrasti interpretativi in grado di generare sperequazioni applicative”.

La Corte si riferisce, in particolare, al fatto che il D.Lgs. n. 7 del 2016 non si sia limitato all’abolizione di alcuni titoli di reato, ma – in esecuzione di quanto imposto dalla legge delega – abbia contestualmente provveduto a creare l’inedita figura sanzionatoria delle “sanzioni pecuniarie civili” cui ha contestualmente assoggettato una serie di fatti specificamente tipizzati e che corrispondono a quelli già previsti dalle norme incriminatrici abrogate.

L’irrogazione delle suddette sanzioni consegue, ai sensi dell’art. 8, del decreto, all’accoglimento della domanda risarcitoria proposta da colui che è stato danneggiato dalle condotte tipizzate dal precedente art. 4, e dunque è inevitabilmente subordinata all’iniziativa di quest’ultima, ma, soprattutto, è evidente che il fatto illecito punito con la sanzione è il medesimo che genera l’obbligazione risarcitoria (peraltro non più ai sensi dell’art. 2043 c.c., bensì delle speciali disposizioni di nuovo conio), salva la precisazione – contenuta nell’art. 3 – che la reazione “punitiva” è ammessa esclusivamente nell’ipotesi in cui l’autore abbia commesso le condotte tipizzate con dolo. I proventi delle menzionate sanzioni non sono però destinate al danneggiato, ma è invece previsto dall’art. 10 del decreto che vengano devoluto alla Cassa della Ammende.

Emerge – prosegue la Corte – la problematica classificazione della “nuova” figura sanzionatoria configurata, ma altresì della effettiva natura di quello che la stessa rubrica legis qualifica come intervento abrogativo. La configurazione di fattispecie sanzionatorie specificamente tipizzate ricalcando il contenuto delle norme penali abrogate, l’autonomia delle sanzioni rispetto al risarcimento del danno e la destinazione erariale dei loro proventi sono tutti elementi, infatti, che apparentemente concorrono a definire un’ipotesi di depenalizzazione, non diversamente da quanto previsto dal D.Lgs. n. 8 del 2016, con il quale altre figure di reato sono state contestualmente trasformate in illeciti amministrativi.

I giudici proseguono osservando come entrambi i decreti contengano una disciplina transitoria (rispettivamente contenuta nell’art. 12 del n. 7/2016 e nell’art. 8 del n. 8/2016): mentre però il decreto n. 8/2016 contiene disposizioni transitorie al fine di disciplinare, nell’ipotesi che la depenalizzazione sia sopravvenuta nel corso del procedimento penale, la trasmissione degli atti all’autorità amministrativa competente per l’irrogazione delle sanzioni amministrative e la sorte delle statuizioni civili già adottate (art. 9 del d. lgs. 8/2016), la stessa disposizione non è prevista nel d. lgs. 7/2016 (dedicato alle abrogazioni).

Potrebbe ritenersi – si legge nell’ordinanza – che la mancata riproduzione di una disposizione analoga a quella contenuta nell’art. 9, comma 3, del D.Lgs. n. 8, costituisca una lacuna involontaria o che il legislatore abbia addirittura ritenuto superfluo provvedervi; al contrario, potrebbe ritenersi comunque applicabile, anche oltre il limite dell’intervenuta definitività della sentenza di condanna, il principio di insensibilità delle statuizioni civili alle vicende della regiudicanda penale qualora il fatto già costituente reato continui ad integrare un illecito per cui è prevista l’irrogazione di una sanzione punitiva, con conseguente applicazione analogica dell’art. 578 c.p.p., e della disposizione di cui al D.Lgs. n. 8 del 2016, art. 9, in quanto ritenuti espressione del suddetto principio generale, prospettandosi in tal senso un limite al principio di accessorietà dell’azione civile nel giudizio di impugnazione.

Alla luce delle descritte problematiche, la Corte, ai sensi dell’art. 618 c.p.p., ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: «Se, a seguito dell’abrogazione dell’art. 594 c.p., ad opera del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, debbano essere revocate le statuizioni civili eventualmente adottate con la sentenza di condanna non definitiva per il reato di ingiuria pronunziata prima dell’entrata in vigore del suddetto decreto».