Ancora sul caso Abu Omar. La condanna nei confronti dello Stato italiano
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 23 febbraio 2016
Nasr e Ghali c. Italia, Ric. 44883/09
In approfondimento alla notizia che abbiamo pubblicato il giorno del deposito della sentenza (vedi articolo del 23 febbraio), pare opportuno soffermarsi con maggior dettaglio sulla vicenda che all’epoca destò grande interesse mediatico, e che ha ultimamente visto l’epilogo.
Come è ormai noto, il 23 febbraio 2016 la Corte Europea dei Diritto dell’Uomo ha depositato la sentenza relativa al caso Nasr et Ghali c. Italia, riguardante il sequestro e il trasferimento forzoso del ricorrente, indagato per attività connesse al terrorismo e sottoposto a trattamenti inumani e degradanti. La Corte ha riscontrato la violazione del divieto di tortura, sancito dall’articolo 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, nonché degli articoli 5, 8 e 13 della Convenzione, condannando lo Stato Italiano alla corresponsione di ingenti importi a titolo di equa soddisfazione.
Tali violazioni sono derivate dall’aver le autorità italiane permesso il compimento di pratiche di “extraordinary renditions” da parte dei servizi segreti statunitensi nei confronti del ricorrente all’interno del proprio territorio. Tali pratiche, sprezzanti di ogni garanzia procedurale, non possono che essere fermamente ricusate all’interno di uno stato di diritto. Il presente contributo analizza questa pronuncia, svolgendo delle considerazioni sul ruolo della Corte Europea quale supremo garante delle libertà fondamentali dell’individuo.