Parlamento e Consiglio UE approvano la Direttiva 2016/343 in tema di presunzione di innocenza e diritto di partecipazione al giudizio
Il 9 marzo scorso gli organi legislativi europei hanno approvato la Direttiva 2016/343/UE, la quale è stata successivamente pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione (G.U.U.E.) in data 11 marzo. Tale atto normativo sancisce le norme minime comuni con riferimento alla presunzione di innocenza e alla partecipazione al giudizio penale, che ogni stato membro dovrà garantire a ciascun imputato per il tramite della legge nazionale.
Si tratta di un passo ulteriore della normativa penale europea verso la realizzazione dello “spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia” inizialmente prefigurato al Consiglio europeo di Tampere (FIN) del 1999 e successivamente inserito nella legislazione convenzionale dell’Unione (art. 3 §2 TUE, artt. 67-89 TFUE).
Come è noto, l’implementazione della suddetta area comune di giustizia passa -tra l’altro- attraverso la garanzia dei “diritti della persona nella procedura penale”, su cui l’Unione è espressamente autorizzata ad imporre l’armonizzazione degli ordinamenti nazionali, attraverso lo strumento della direttiva (art. 82 §2 lett. a TFUE).
Sulla scorta di tale competenza, il Consiglio Europeo, con Risoluzione del 30 novembre 2009, aveva predisposto una “tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali di indagati o imputati in procedimenti penali”, la quale prevedeva interventi normativi comunitari sulle principali garanzie in tema di processo penale.
Prima del provvedimento oggetto della presente analisi, la legislazione europea aveva prodotto tre Direttive sui temi appena evocati. In particolare, sono oggi in vigore:
- Direttiva 2010/64/UE – sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali
- Direttiva 2012/13/UE – sul diritto all’informazione nei procedimenti penali
- Direttiva 2013/48/UE – sul diritto al difensore e alla comunicazione con i terzi
Ebbene, la Direttiva 2016/343/UE costituisce la quarta tappa della tabella di marcia appena descritta. Vediamo dunque quali sono le novità che la stessa introduce.
Come anticipato, la Direttiva fissa i paletti minimi a cui gli Stati membri devono conformare i propri ordinamenti processuali, in modo da fornire ai cittadini europei due garanzie fondamentali del processo penale: la presunzione di innocenza ed il diritto di partecipare al giudizio. Elementi questi, è bene precisarlo, già patrimonio dei diritti fondamentali europei, giacché sanciti sia dalla Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (artt. 47 e 48), sia dalla Convenzione EDU (Art. 6).
Sotto un profilo preliminare, il provvedimento in analisi restringe il proprio ambito applicazione ai soli procedimenti penali, nonché alle sole persone fisiche (art. 2), dal che evidentemente si trae che lo stesso non riguarda i procedimenti amministrativi o civili, né si applica alle persone giuridiche (v. anche consideranda 11-14). Inoltre, la medesima norma chiarisce che la direttiva si applica in ogni fase del procedimento, dall’inizio delle indagini fino al giudicato.
Quanto precipuamente alla presunzione di innocenza, l’articolo 3 impone agli stati membri che tale diritto sia garantito ai cittadini indagati e imputati sino a che non ne sia stata legalmente provata la colpevolezza.
In particolare, sugli stati gravano tre oneri distinti.
Il primo impone che siano adottate misure idonee al fine di evitare la presentazione al pubblico dell’indagato/imputato come colpevole (artt. 4 e 5). Tali misure devono anzitutto riguardare le dichiarazioni delle autorità pubbliche, così come le decisioni giudiziarie diverse da quelle sulla colpevolezza, mentre non è necessario che si applichino agli atti della pubblica accusa volti a dimostrare la colpevolezza dell’indagato/imputato (si pensi ad esempio ai provvedimenti ex artt. 415-bis e 416 c.p.p.) e le decisioni preliminari di natura procedurale adottate da autorità giudiziarie fondate sul sospetto o su indizi di reità (si pensi ad esempio ai provvedimenti di applicazione di misure cautelari). Inoltre, è fatta salva la possibilità per le autorità pubbliche di divulgare informazioni sui procedimenti penali, qualora ciò sia strettamente necessario per motivi connessi all’indagine penale o per l’interesse pubblico (art. 4 §3).
L’articolo 5 stabilisce poi che gli stati debbano evitare la presentazione visiva dell’indagato/imputato come colpevole, attraverso il ricorso alle misure di coercizione fisica (si pensi alle manette o alle gabbie), a meno che le stesse non si rivelino necessarie per garantire la sicurezza o impedire la fuga del soggetto.
Il secondo incombente riguarda l’onere della prova (art. 6), che deve gravare sulla pubblica accusa. Sono in ogni caso fatti salvi l’obbligo del giudice ed il diritto della difesa di ricerca delle prove.
Infine, il terzo obbligo consiste nel garantire all’indagato/imputato i diritti al silenzio e alla non-incriminazione (art. 7). La norma da un lato fa salva la facoltà in capo alle autorità nazionali di raccogliere prove nel rispetto della legge e che esistano a prescindere dalla volontà dell’indagato/imputato, e dall’altro lato chiarisce che le autorità giudiziarie possono tenere conto, all’atto della pronuncia della sentenza, del comportamento collaborativo degli indagati e imputati, ma al tempo stesso che l’esercizio dei diritti al silenzio ed alla non-incriminazione non può essere considerato come prova di colpevolezza.
Venendo poi al diritto di partecipazione, all’articolo 8 la direttiva impone agli stati di garantire all’indagato/imputato il diritto di presenziare al proprio processo. Tuttavia, tale garanzia non è assoluta, nella misura in cui il processo può comunque celebrarsi in sua assenza, allorché egli sia stato informato in un tempo adeguato della pendenza del processo e delle conseguenze della mancata comparizione, oppure qualora, debitamente informato del processo, egli sia rappresentato da un difensore incaricato, nominato da lui stesso oppure dallo stato (art. 8 §2).
Inoltre, nei casi in cui l’indagato/imputato non possa essere rintracciato nonostante i ragionevoli sforzi profusi, gli Stati membri possono consentire lo svolgimento del processo in absentia, nonché l’assunzione di una decisione in merito e l’esecuzione della stessa. Ciò a patto che il condannato sia informato della decisione, così come della possibilità di impugnare la decisione e del diritto a un nuovo processo o a un altro mezzo di ricorso giurisdizionale previsti dall’articolo 9 (art. 8 §4).
Da ultimo, sempre in tema di diritto alla partecipazione, la direttiva chiarisce che esso lascia impregiudicate le norme nazionali che prevedono l’esclusione temporanea dell’indagato/imputato dal processo ad opera del giudice, qualora ciò sia necessario per garantire il corretto svolgimento del procedimento penale e sempreché siano rispettati i diritti della difesa (art. 8 §5). Sono altresì fatte salve le norme nazionali che prevedono la celebrazione del processo o di alcune sue fasi per iscritto e senza che l’indagato/imputato sia interrogato, purché ciò riguardi reati minori e sia rispettato il diritto al giusto processo (art. 8 §6).
Infine, l’articolo 10 impone da un lato che agli indagati/imputati sia concesso un ricorso effettivo in caso di violazione dei diritti conferiti dalla direttiva stessa (art. 10 §1), e dall’altro lato che nella valutazione delle dichiarazioni rese da indagati o imputati o delle prove raccolte in violazione del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi, siano rispettati i diritti della difesa e l’equità del procedimento (art. 10 §2).
Il termine per il recepimento della direttiva da parte degli stati è fissato al 1 aprile 2018 (art. 14).
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