Il convivente more uxorio, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, può presentare opposizione alla richiesta di archiviazione
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 3 – ISSN 2499-846X
Cassazione Penale, Sez. I, 29 marzo 2016 (ud. 1 dicembre 2015), n. 12742
Presidente Siotto, Relatore Cairo, P.G. Fodaroni (concl. diff.)
1. Si segnala alla attenzione dei lettori la pronuncia n. 12742 della prima sezione penale (deposito del 29 marzo 2016) con la quale prosegue il percorso giurisprudenziale volto al riconoscimento di rilevanza giuridica alla famiglia di fatto.
Oggetto di attenzione da parte della suprema Corte è stavolta la questione circa la legittimazione a presentare opposizione alla richiesta di archiviazione (art. 410 c.p.p.) da parte del convivente more uxorio in caso di decesso della persona offesa.
Introdotta la questione, i giudici prendono le mosse osservando come, secondo la tesi sostenuta dal Procuratore generale, la mera convivenza more uxorio non titolerebbe all’opposizione ex art. 410 cod. proc. pen. avverso la richiesta di archiviazione e, dunque, non ammetterebbe il relativo ricorso per cassazione contro il decreto assunto de plano dal Giudice per le indagini preliminari. Tale soluzione deriverebbe dal combinato disposto dell’art. 90 c.p.p., comma 3 e art. 307 c.p., comma 4: in caso di decesso della persona offesa, i diritti e le facoltà spetterebbero ai prossimi congiunti di essa, tra i quali l’art. 307 cod. proc. pen. non include il convivente more uxorio.
Nelle motivazioni i giudici passano in rassegna l’evoluzione giurisprudenziale in ordine alla nozione di famiglia di fatto prendendo atto di come la giurisprudenza (costituzionale e di legittimità), pur considerando la mera convivenza un legame non integralmente equiparabile al vincolo familiare fondato sul matrimonio, tuttavia, abbia ormai avviato «un processo interpretativo proteso al riconoscimento di rilevanza giuridica anche alla cd famiglia di fatto».
Gli stessi interventi legislativi – si legge in sentenza – «hanno preso atto del fenomeno percependo come il concetto di famiglia fosse caratterizzato da nuove dinamiche che l’ordinamento non avrebbe potuto superficialmente ignorare».
Si è, in definitiva, considerato come «il concetto di famiglia tradizionalmente costruito sul vincolo di coniugio fondato sul matrimonio si fosse progressivamente aperto a mutamenti culturali tali da includere qualsiasi consorzio di persone tra le quali, per strette relazioni affettivo-sentimentali e consuetudini di vita, apprezzabili nel tempo, fossero sorti rapporti di assistenza e di solidarietà».
2. Secondo la Corte, l’interpretazione proposta del combinato disposto di cui all’art. 90 c.p.p., comma 3 e art. 307 c.p., comma 4 non può dirsi conforme ai principi enucleati ed alla stessa linea ricostruttiva che deriva dall’interpretazione dell’art. 8 CEDU.
Un’interpretazione che ritenesse precluso al convivente l’esercizio dei diritti della persona offesa, deceduta per effetto del reato, non sarebbe infatti sorretta da una valida giustificazione razionale.
La riserva al prossimo congiunto dell’esercizio dei diritti di spettanza della vittima del reato è fondata sulla particolare natura dei rapporti relazionali che esistono tra la persona offesa e la categoria dei familiari compresi nell’art. 307 c.p., comma 4. Si tratta di soggetti legati da vincoli più o meno stretti, che enucleano il perimetro di definizione della categoria facendo leva esclusivamente sul concetto di parentela “istituzionale” e richiamando ancora quello di coniugio e di affinità. Ai fini che qui rilevano, dunque, il rapporto di formale coniugio è considerato dalla norma in funzione dell’inclusione, appunto, nella categoria anche del coniuge, soggetto che non è legato da vincolo di parentela in senso stretto, per discendenza diretta o collaterale.
D’altro canto – continua il collegio – «in questa prospettiva, ed a tutela del medesimo rapporto relazionale in fatto, lo stesso art. 199 cod. proc. pen. ha già da tempo esteso i diritti dei prossimi congiunti, in funzione dell’astensione dalla deposizione, al convivente. Ciò accade proprio perché processualmente si intende apprestare una tutela analoga a quella dei componenti della famiglia tradizionalmente intesa anche a favore di tutte le relazioni affettivo – assistenziali identiche nei substrato sostanziale al nucleo fondato sul matrimonio».
A ciò si aggiunge che il convivente, in quanto possibile danneggiato dal reato, avrebbe legittimazione all’azione civile ex art. 74 cod. proc. pen.: «escluderlo dalla possibilità di presentare opposizione alla richiesta di archiviazione significherebbe precludere una facoltà in stretto collegamento con il possibile esercizio dell’azione civile».
3. Questo, in conclusione, il principio di diritto affermato dalla Corte:
«il convivente more uxorio, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, ha diritto a presentare opposizione alla richiesta di archiviazione ex art. 410 cod. proc. pen. ed a ricorrere per cassazione avverso il provvedimento relativo».
Come citare il contributo in una bibliografia:
G. Stampanoni Bassi, Il convivente more uxorio, in caso di decesso della persona offesa in conseguenza del reato, può presentare opposizione alla richiesta di archiviazione, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 3