In tema di estorsione ambientale sul luogo di lavoro
Tribunale di Catania, Sez. I penale, 30 marzo 2016 (ud. 21 gennaio 2016), n. 316
Giudice Dott.ssa Giuseppina Montuori
In tema di “estorsione ambientale” all’interno del rapporto di lavoro, i primi altalenanti orientamenti giurisprudenziali (Cass., Sez. II pen., 18 marzo 1986,RP, 1987; Cass., Sez. II pen., 19 aprile 1996,LPO, 1997, 1263 nt.Meucci; P. Pescara, 19 aprile 1984,GC, 1984, I, 2264; Cass., Sez. VI pen., 12 aprile1999, n. 1281,RP, 2000, 464; Cass., Sez. II, pen., 20 gennaio1997, DPL, 1997, 553) si sono arrestati alla luce della giurisprudenza più recente (Cassazione penale, sez. II, ud.13/10/2015, dep. 20/01/2016, n. 2248), che ha conclamato la sussistenza dell’ipotesi delittuosa anche in ambito lavorativo.
La sentenza in commento estende ulteriormente tale applicazione anche ai casi di estorsione perpetrata dal datore di lavoro nell’ambito del tirocinio professionale finalizzato all’iscrizione ad un albo professionale. Il giudice catanese configurando il reato di cui all’art. 629 c.p. ha condannato a 3 anni e 4 mesi di reclusione ed euro mille di multa, oltre che al risarcimento dei danni morali e materiali subiti dalla p.c., l’editore della testata giornalistica che ponendo in essere una serie di comportamenti estorsivi nei confronti della giornalista tirocinante, l’avrebbe costretta a restituire le retribuzioni precedentemente corrisposte (mille euro) ed indotta a pagare le ritenute d’acconto dallo stesso dovute all’Agenzia delle Entrate.
Alla luce di tale condotta è scaturito un vero e proprio condizionamento morale, in cui ribellarsi alle condizioni vessatorie dell’editore, sarebbe equivalso alla mancata iscrizione all’albo dei giornalisti, circostanza poi verificatasi.
Non va in ogni caso sottaciuto che, anche l’eventuale accordo contrattuale tra editore e giornalista tirocinante, nel senso dell’accettazione da parte di quest’ultima delle suddette condizioni vessatorie, non esclude, di per sé, la sussistenza dei presupposti del reato contestato mediante minaccia. Questo perché anche uno strumento teoricamente legittimo può essere usato per scopi diversi da quelli per cui è apprestato e può integrare, al di là della mera apparenza, una minaccia ingiusta, perché è ingiusto il fine a cui tende, e idonea a condizionare la volontà del soggetto passivo.
Delitto contro il patrimonio e contro la libertà personale, l’art.629 c.p. punisce chi «mediante violenza o minaccia,costringendo taluno a fare o ad omettere qualche cosa, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno». Ad avviso del giudice, nel caso di specie, sono ravvisabili tutti i requisiti previsti dalla legge:
– la minaccia, ossia la prospettazione (da parte del datore di lavoro) di un pregiudizio alla sfera patrimoniale del soggetto passivo il cui verificarsi è certo e realizzabile ad opera del soggetto agente o di altri (omessa iscrizione all’albo) (Cass., Sez. II pen., 6 maggio 2008, n. 21537,Ced.Cass.2008; Cass., Sez. VI pen., 10 aprile 2003, n. 29704); dalla minaccia deriva uno stato di sofferenza psicologica della vittima, che è posta nell’alternativa di far conseguire all’agente il vantaggio ingiusto (il ritorno economico della violazione di norme inderogabili di legge) subendo il pregiudizio patrimoniale connesso all’accoglimento delle sue pretese (restituzione delle retribuzioni ricevute e pagamento ritenute non dovute) o subire il pregiudizio conseguente all’azione minacciata (mancata iscrizione all’albo dei giornalisti pubblicisti) (Cass., Sez. II pen., 23 aprile 2008, n.19711, GDir, 2008, 25, 92; T. Barcellona P.G., 14 aprile2008, Redazione Giuffrè); uno stato di sofferenza e costrizione cui segue non l’annullamento (T. Torre Annunziata, Sez. I, 8 novembre 2007, n.1097,Il merito, 2008, 7-8, 64), bensì una limitazione decisiva della sua volontà (contra Cass., sez. VI pen., 7 novembre 2000, SJ, 2001, 724), perciò non libera ma coartata a determinarsi nel senso voluto dall’agente, nella convinzione che l’adesione alle sue richieste determina, per il suo patrimonio, un pregiudizio inferiore a quello conseguente al verificarsi del male prospettato (T. Palmi, 15 maggio 2007, n. 1061,GDir, 2007, 46, 92; Cass., Sez. II pen., 14 dicembre 2000, n. 13043, Ced Cass.).
– l’elemento soggettivo è integrato dalla coscienza e volontà dell’editore di usare violenza o minaccia per l’ottenimento di un profitto non spettante e di pretendere un comportamento giuridicamente non dovuto (T.Torre Annunziata, 12 aprile 2008, n. 187,GDir, 2008, 38, 107; Cass., Sez.II pen., 19 aprile 2007, n. 19124,ivi, 2007, 24, 68; Cass., sez. II pen.,15 febbraio 2007, n. 14440, ivi, 2007, 17, 110).
– l’ingiustizia del profitto si manifesta nella circostanza che il vantaggio perseguito dall’agente non si collega ad una pretesa riconosciuta dall’ordinamento, o si collega ad una pretesa illegittima, (restituzione retribuzioni corrisposte) oppure è perseguito con uno strumento illecito o anche lecito tuttavia utilizzato per scopi non consentiti o per l’ottenimento di risultati (indebito arricchimento del datore di lavoro) cui esso non è finalizzato secondo la legge (Cass., sez. II pen., 31 marzo 2008, n. 16658,Ced Cass.; Cass.,Sez. II pen., 6 febbraio 2008, n. 12082).
In sentenza il Giudice esclude altresì la derubricazione richiesta dall’imputato in violenza privata, posto che l’oggetto della tutela dell’art. 610 c.p. consiste nella libertà di autodeterminazione spontanea del soggetto passivo contro qualsiasi forma di condizionamento illegittimo, mentre nel reato di estorsione l’ingiusto profitto può non essere patrimonialmente rilevante, mentre l’altrui danno deve assumere la connotazione di un’effettiva deminutio patrimonii.
Inoltre il giudice di merito che, ai sensi dell’art. 538 c.p.p., provvede in ordine alle pretese civilistiche solo quando pronuncia sentenza di condanna dell’imputato, nella sentenza in commento ha disposto il risarcimento dei danni morali e materiali in favore della giornalista tirocinante/persona offesa, mentre nei confronti dell’ordine dei giornalisti costituitosi parte civile ha configurato solo il danno non patrimoniale (Cassazione penale, sez. VI, 21/03/2013, n. 19540 , Cassazione penale, sez. I, 08/10/2013, n. 45228; Corte Costituzionale, 29/01/2016, n. 12·).
L’istruttoria dibattimentale ha evidenziato come l’omessa iscrizione della giornalista all’albo professionale, a causa del comportamento dell’imputato, ha comportato per la stessa l’impossibilità di candidarsi a numerose posizioni lavorative nel campo giornalistico: è stato riconosciuto pertanto anche il danno patrimoniale, da perdita di chance lavorative.
Tale ambito risarcitorio è collocato in ambito giuridico sia nel campo della responsabilità contrattuale che in quella extracontrattuale (aquiliana), come nel caso di specie a seconda che sia causato, rispettivamente, da un inadempimento (o inesatto adempimento) nel contesto di un rapporto obbligatorio derivante da un contratto, ovvero da un fatto illecito in assenza di un previo obbligo contrattuale.
In quest’ultimo caso, come afferma la Corte di Cassazione (v. sentenza 1998/9911), affinché possa imputarsi una responsabilità aquiliana in luogo della esclusiva responsabilità contrattuale, occorre che il fatto prospettato come generatore del danno sia completamente estraneo alla esecuzione della prestazione richiesta.