Eni-Scaroni: la Cassazione annulla il proscioglimento del GUP di Milano
Cassazione penale, Sez. VI, ud. 24 febbraio 2016, n. 17385
Presidente Citterio, Relatore Bassi
Depositate le motivazioni della sentenza con cui, lo scorso 24 febbraio, la Corte di Cassazione ha annullato il proscioglimento (da parte del GUP del Tribunale di Milano Alessandra Clementi) nei confronti dell’ex AD dell’Eni, Paolo Scaroni, in relazione all’accusa di corruzione internazionale e frode fiscale nell’ambito della vicenda Saipem.
In punto di diritto, la Cassazione si sofferma diffusamente sul tema dell’ampiezza dei poteri del giudice dell’udienza preliminare e, quindi, della regola di giudizio posta a base della sentenza di non luogo a procedere.
Avendo riguardo alla disciplina dell’udienza preliminare – affermano i giudici – la sentenza di non luogo a procedere costituisce una sentenza di merito su di un aspetto processuale. Il giudice dell’udienza preliminare è chiamato ad una valutazione sulla sostanza degli elementi dedotti dal pubblico ministero a sostegno della richiesta ex art. 416 cod. proc. pen., eventualmente integrati ai sensi degli artt. 421-bis e 422 cod. proc. pen., dunque ad espletare un giudizio di merito, e, nondimeno, tale giudizio di merito ha ad oggetto, non la fondatezza dell’accusa – cioè la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato (salvo il caso in cui essa sia evidente) – bensì la capacità di siffatti elementi di dimostrare la sussistenza di una “minima probabilità” che all’esito del dibattimento sia affermata la colpevolezza dell’imputato,.
In altri termini, «il Gup è tenuto a verificare che la piattaforma degli elementi conoscitivi, costituiti dalle prove già raccolte e da quelle che potranno essere verosimilmente acquisite nello sviluppo processuale – secondo una valutazione prognostica ispirata a ragionevolezza -, sia munita di una consistenza tale da far ritenere probabile la condanna e da dimostrare, pertanto, l’effettiva, seppure potenziale, “utilità del dibattimento».
Ne deriva – prosegue la sentenza – che «rimangono fuori dall’orizzonte del sindacato da espletare in questa fase quelle valutazioni che si sostanzino nella lettura/interpretazione di emergenze delle indagini o delle prove già raccolte connotate da una portata o da un significato “aperti” o “alternativi” o, dunque, suscettibili di una diversa valutazione da parte dei giudici del dibattimento, anche in ragione delle possibili acquisizioni istruttorie nel processo. Tale sindacato attiene invero alla delibazione sul merito della pretesa accusatoria – e non della effettiva utilità dello sviluppo dibattimentale – e dunque compete in via esclusiva ai giudici della cognizione».
A tali coordinate ermeneutiche – concludono i giudici – «non si è conformato il Giudice milanese, il quale ha dato conto delle fonti di prova a carico in modo del tutto parcellizzato ed, in particolare, non ha chiarito in termini completi e puntuali quale sia il contenuto delle dichiarazioni rese dai principali accusatori, segnatamente da Pietro Varone e Tullio Orsi, con ciò impedendo a questa Corte di verificare sia la fondatezza della non perfetta convergenza dell’apporto conoscitivo dei due chiamanti rilevata dal decidente, sia – e soprattutto – di individuare i profili del narrato che avrebbero dovuto essere confermati da specifici elementi di riscontro individualizzante e, dunque, di valutare se il giudizio espresso in merito alla superfluità del dibattimento possa o meno ritenersi corretto».
Infine, «la valutazione espressa dal Gup nel senso della inutilità del dibattimento non può che presupporre una ricostruzione puntuale e completa del compendio probatorio sia esistente e dedotto a corredo della richiesta ex art. 416 cod. proc. pen., sia di quello processualmente acquisibile nello sviluppo del procedimento, così da rendere possibile a questo Giudice della impugnazione di comprendere le premesse del ragionamento seguito per pervenire all’esito liberatorio e verificare la correttezza della ritenuta insussistenza del “minumum probatorio” dimostrativo di un “serio” livello di fondatezza delle accuse.
Il Giudice che sbarri il corso del procedimento, in un sistema governato dal principio di obbligatorietà dell’azione penale, è tenuto ad assolvere con puntualità all’obbligo di motivazione e ad esplicitare, con considerazioni circostanziate e conformi a ragionevolezza, i motivi per i quali abbia escluso la serietà della proposizione accusatoria – e, dunque, la prevedibilità di una futura affermazione di condanna – nonchè stimato irrealistico l’arricchimento nello sviluppo dibattimentale del materiale probatorio ritenuto al momento insufficiente».
Alla luce di tali principi, la Cassazione ha annullato la sentenza rinviando gli atti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Milano, il quale dovrà celebrare una nuova udienza preliminare e procedere ad una ulteriore valutazione in merito alla sussistenza o meno delle condizioni per giustificare la sottoposizione a processo degli imputati, conformandosi ai principi di diritto sopra espressi in punto di regola di giudizio da seguire in udienza preliminare e di onere argomentativo della sentenza ex art. 425 cod. proc. pen., in ipotesi ancora legittima, allorquando congruamente argomentata.