La problematica degli autoscatti (selfie) nell’ambito della pornografia minorile
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 5
Cassazione Penale, Sez. III, 21 marzo 2016 (ud. 18 febbraio 2016), n. 11675
Presidente Amoresano, Relatore Mengoni
La Corte di Cassazione, sez. III, con la sentenza del 18 febbraio 2016, n. 11675, si è pronunciata su una questione di forte attualità, relativa alla diffusione di immagini pornografiche raffiguranti minori, quando tali rappresentazioni siano state prodotte dal minore stesso. Più nello specifico la Suprema Corte è intervenuta per stabilire se possa ritenersi sussistente il delitto di offerta o cessione ad altri, anche a titolo gratuito, di materiale pornografico realizzato utilizzando minori, previsto dall’art. 600 ter comma 4 c.p., anche nel caso in cui tali riproduzioni siano state create dallo stesso minore raffigurato.
La Corte ha condiviso l’interpretazione della citata disposizione normativa operata dal Tribunale dei Minorenni, secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto di cessione od offerta di materiale pedopornografico, è necessario che il soggetto che produce il materiale pornografico – condotta di per sé punita dal 1° comma dell’art. 600 ter c.p. – sia diverso dal minore oggetto delle raffigurazioni.
Nel caso di specie, ad alcuni ragazzi minorenni era stata contestata la commissione del reato di cui all’art. 600 ter comma 4 c.p., per aver ceduto a terzi fotografie a contenuto pornografico raffiguranti una giovane minore. Tuttavia, tali immagini erano state realizzate di propria iniziativa e senza l’intervento di terzi dalla minore stessa attraverso autoscatti (cosiddetti selfie) e, successivamente, inviate in modo volontario ad amici, i quali a loro volta le avevano diffuse. Il Tribunale dei Minorenni ha dichiarato di non doversi procedere per il delitto di cessione od offerta di materiale pedopornografico nei confronti degli imputati, perché il fatto non sussiste: il Collegio ha ritenuto la mancanza di un elemento costitutivo del delitto oggetto di imputazione, consistente nella necessaria alterità tra colui che produce il materiale e il minore offeso.
Infatti, il 4° comma dell’art. 600 ter c.p. punisce colui che, al di fuori delle ipotesi di commercio, distribuzione, divulgazione, diffusione o pubblicizzazione, “offre o cede ad altri, anche a titolo gratuito, il materiale pornografico di cui al 1° comma”. Quest’ultima disposizione prevede la responsabilità penale di colui che produce il suddetto materiale “utilizzando minori di anni 18” (art. 600 ter comma 1, cpv. 1 c.p.). Secondo il Tribunale, il rinvio effettuato dal 4° comma della norma in esame al 1° comma impone la diversità tra l’autore delle produzioni e il minore, non potendosi altrimenti considerare quest’ultimo “utilizzato”, come invece richiede l’art. 600 ter comma 1 c.p.
Inoltre, una diversa interpretazione, che contemplasse la possibilità di estendere la punibilità della norma anche nelle ipotesi di coincidenza tra produttore di materiale pedopornografico e il soggetto minore raffigurato, comporterebbe un’applicazione analogica della norma in malam partem, come noto, vietata dal nostro ordinamento.
La Corte di Cassazione ha quindi avallato questa ricostruzione interpretativa, sulla base di diverse considerazioni ermeneutiche della disposizione in esame e dell’evoluzione che la stessa ha subito dal momento in cui fu introdotta con la l. 3 agosto 1998, n. 269.
Ai fini del rafforzamento della tutela dei minori, il legislatore è più volte intervenuto sull’art. 600 ter c.p.: dapprima con la l. 6 febbraio 2006 n. 38 e, successivamente, con la l. 1 ottobre 2012 n. 172, di ratifica ed esecuzione della Convenzione di Lanzarote sulla protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale.
Secondo il Supremo Collegio l’interpretazione dell’intera previsione va operata sulla base del 1° comma, che assume una portata fondamentale nella ricostruzione ermeneutica dei commi successivi: infatti, affinché possano essere puniti coloro che commerciano, distribuiscono, diffondono, divulgano, ovvero cedono o offrono materiale pedopornografico, occorre che vi sia stato qualcuno che lo abbia prodotto “utilizzando minori”.
Tale assunto trova, peraltro, conferma nell’interpretazione adottata dalle Sezioni Uniti della Corte di Cassazione (sent. 216337/2000), le quali erano intervenute in relazione al concetto di sfruttamento del minore, nella formulazione della norma precedente alla legge del 2006. In quell’occasione era stato chiarito come lo sfruttamento implicasse l’impiego del minore come mezzo, offendendo la sua personalità, in particolare sotto il profilo sessuale. Tale interpretazione rispondeva alla principale finalità dell’intervento legislativo del 1998, mediante il quale si è inteso punire non solo le attività sessuali compiute con minori, ma anche quelle azioni prodromiche e strumentali, come l’incitamento o la diffusione di materiale pedopornografico. Il legislatore ha predisposto, pertanto, una tutela anticipata a tutela dei minori, inserendo attraverso l’art. 600 ter c.p. una fattispecie delittuosa di pericolo concreto.
Da tale postulato conseguiva che l’autore della condotta di cui al 1° comma – pur nella sua diversa formulazione anteriore al 2012 – doveva essere necessariamente un soggetto diverso dal minore “sfruttato”, non potendosi configurare il reato in questione nell’ipotesi in cui il minore fosse contemporaneamente il realizzatore del materiale pornografico.
Secondo la Corte di cassazione, questa interpretazione operata dalle Sezioni Unite nel 2000 costituisce “un baluardo interpretativo imprescindibile”, così da non potersi ritenere, anche nell’attuale disposizione, che il 4° comma dell’art. 600 ter c.p. punisca genericamente la cessione o l’offerta di materiale pedopornografico, indipendentemente da chi ne sia il produttore.
La suddetta ricostruzione trova riscontro anche nel fatto che l’utilizzazione del minore non costituisce il momento consumativo del reato di cui al comma 1 dell’art. 600 ter c.p., ma la modalità esecutiva della condotta ivi prevista.
Ad ulteriore sostegno dell’interpretazione avallata, la Corte ha richiamato le circostanze aggravanti previste dall’art. 602 ter c.p., che, in relazione all’art. 600 ter c.p., presuppongono un’alterità tra chi produce il materiale pedopornografico e il minore offeso. Inoltre, non trascurabile è la considerazione che una diversa interpretazione della norma implicherebbe una interpretazione analogica in malam partem.
Infine, quanto all’obiezione, effettuata dal Procuratore della Repubblica nel ricorso in Cassazione oggetto della pronuncia in esame, relativa alla creazione di una lacuna normativa per quelle condotte che comportano la diffusione di materiale pedopornografico pur prodotto dal minore ivi raffigurato, la Corte respinge un simile rischio, attraverso l’applicazione dell’art. 600 quater c.p., che punisce la mera detenzione di materiale pornografico, “realizzato utilizzando minori”.
Tale disposizione costituisce, infatti, una norma di chiusura del sistema, applicandosi al di fuori dei casi previsti dall’art. 600 ter c.p., senza alcun richiamo alla disposizione di cui al 1° comma di quest’ultima previsione. Ciò implicherebbe la possibilità di punire un soggetto che detenga materiale pedopornografico prodotto dallo stesso soggetto minorenne raffigurato.
In conclusione, nel caso in cui un soggetto minorenne diffonda volontariamente a terzi, con qualsiasi modalità, un “selfie” avente contenuto pornografico, realizzato liberamente e senza condizionamenti esterni, le persone che, entrate in possesso di tale materiale, lo cedano ad altri soggetti non potranno essere condannate ai sensi dell’art. 600 ter comma 4 c.p, ma eventualmente per il delitto di detenzione di materiale pornografico di cui all’art. 600 quater c.p.