ARTICOLIDIRITTO PENALE

Delitto di alterazione di stato civile di un minore nato da maternità surrogata all’estero

in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 5

Cassazione Penale, Sez. V, 5 aprile 2016 (ud. 10 marzo 2016), n. 13525
Presidente Nappi, Relatore De Marzo, P.G. 

Si segnala la pronuncia in oggetto con la quale la Corte ha affrontato il delitto di alterazione di stato civile di un minore nato da maternità surrogata all’estero.

1. Questi, in breve, i fatti. Una coppia italiana si recava in Ucraina, dopo aver deciso di intraprendere il percorso di maternità surrogata, dovuto all’infertilità della donna. Gli spermatozoi dell’uomo venivano impiantati nel corpo di una donna ucraina, insieme ad ovuli appartenenti ad una donna non nota. “A seguito della dichiarazione della madre surrogata, quale risultante dal certificato n. 359 del 02/09/2014, la nascita del minore era stata iscritta all’ufficio dello stato civile di Kiev e il certificato di nascita n. 301 del 04/09/2014 indica, alla stregua della normativa ucraina vigente, come genitori gli odierni imputati”.

I reati ascritti agli imputati riguardavano la violazione della L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6 (Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro); dell’art. 495 cod. pen. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri); dell’art. 567 c.p., comma 2 (Alterazione di stato: si applica la reclusione da cinque a quindici anni a chiunque, nella formazione di un atto di nascita, altera lo stato civile di un neonato, mediante false certificazioni, false attestazioni o altre falsità); ed infine, degli artt. 48 (Errore determinato dall’altrui inganno) e 476 (Falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) cod. pen.

Chiamati a giudizio per aver compiuto i fatti in concorso, gli imputati venivano assolti dal GIP del Tribunale di Napoli. Nello specifico, la assoluzione scaturiva da due chiare considerazioni: il fatto non costituisce reato, in quanto gli imputati non avevano alcuna volontà di commettere un illecito, essendosi recati “in una nazione ove la pratica di procreazione era lecita, con la conseguenza che era configurabile la causa scriminante dell’esercizio putativo del diritto”; ed inoltre, per i restanti capi di imputazione, il fatto non sussiste poiché gli imputati, “senza attestare alcunché, si erano limitati a richiedere la trascrizione di un atto ufficiale redatto dai pubblici uffici di Kiev in conformità alla normativa vigente, talché non era individuabile alcun atto falso o dolosamente creato sulla base di dichiarazioni non veritiere degli stessi”.

Ricorreva in Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli con due motivi. Da un lato, la violazione della L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, per erronea applicazione della Sentenza n. 162 del 2014 della Corte Costituzionale. Dall’altro, la presenza sia di vizi motivazionali che di violazione di legge, in relazione alla ritenuta insussistenza dei fatti: a) l’atto di nascita da esibire all’Ambasciata italiana era il primo, e non il secondo diverso atto, nel quale compariva un’informazione falsa, ossia che la C. fosse la madre naturale del nato; b) il giudice aveva trascurato di considerare che gli imputati, dinanzi al funzionario consolare, che riveste la qualità di Ufficiale dello stato civile, avevano omesso di rispondere alle domande loro rivolte, quanto al ricorso alla maternità surrogata.

2. Per quanto concerne la violazione della L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, la Corte ha ritenuto che gli errori di diritto evidenziati non assumano influenza decisiva sul dispositivo, “con la conseguenza che il loro rilievo, a parte le specificazioni riportate, non comporta l’annullamento della sentenza”.

Opportunamente, la Corte ha affermato come sia fondamentale considerare che, “al di là delle contrapposizioni dottrinali, è controversa anche presso la giurisprudenza la questione se, per punire secondo la legge italiana il reato commesso all’estero, sia necessario che si tratti di fatto previsto come reato anche nello stato in cui fu commesso (cosiddetta doppia incriminabilità)”. Per spiegare le sue ragioni, la Corte ha preso a riferimento la nota pronuncia della Corte Cost., 24/03/1988, n. 364, ove si afferma che “l’errore sul precetto è inevitabile nei casi d’impossibilità di conoscenza della legge penale da parte d’ogni consociato, aggiungendo che tali casi attengono, per lo più, alla (oggettiva) mancanza di riconoscibilità della disposizione normativa (ad es. assoluta oscurità del testo legislativo) oppure alle incertezze di interpretazione giurisprudenziale”. Su questo punto la Corte ha insistito, portando come pilastro la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in riferimento alla Sentenza Contrada c. Italia, 14/04/2015, 78, n. 66655/13 della Corte Europea dei diritti dell’uomo: in riferimento all’art. 7 della CEDU, la sentenza sancisce il principio della legalità delle pene, “con la conseguenza che la legge deve definire chiaramente i reati e le pene che li reprimono”, e tale requisito viene soddisfatto solamente se l’imputato può sapere, “a partire dal testo della disposizione pertinente, per quali atti e omissioni le viene attribuita una responsabilità penale e di quale pena è passibile per tali atti”.

La Cassazione ha proseguito sottolineando come non vi sia stata un’alterazione materiale dell’atto di nascita, così come richiesto per la configurazione del delitto ex art. 567 c.p.: “l’ufficiale di stato civile italiano non ha formato alcun atto falso, ma si è limitato a procedere alla trascrizione dell’atto, riguardante un cittadino italiano, formato all’estero”. Infine, il reato di Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri, presuppone una falsa dichiarazione che non risulta essersi realizzata.

3. In conclusione, questo il principio affermato dalla Corte:
Al fine di ritenere configurabile il delitto di alterazione di stato, la condotta deve comportare un’alterazione destinata a riflettersi sulla formazione dell’atto di nascita; ne discende che il reato di cui all’art. 567 c.p. non è configurabile in relazione alle false dichiarazioni incidenti sullo stato civile di un minore nato da una procedura estera di maternità surrogata, rese quando l’atto di nascita è già stato formato dall’autorità amministrativa estera alla stregua della normativa nella quale doverosamente è stato redatto.