La Commissione UE pubblica la prima Relazione sulla lotta alla tratta di esseri umani. I risultati non confortano
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 6 – ISSN 2499-846X
Il 19 maggio scorso la Commissione Europea ha stilato e reso disponibile la prima Relazione sui progressi dell’Unione nel contrasto al crimine di traffico di esseri umani. Questo documento giunge al compimento della Strategia dell’UE 2012-2016 per l’eradicazione della tratta di esseri umani.
Com’è noto, l’Europa è particolarmente sensibile a questo tipo di reati, da un lato perché normalmente compiuti da organizzazioni criminali internazionali difficilmente aggredibili dalle autorità nazionali, dall’altro perché strettamente connessi al tema oggi caldissimo dei flussi migratori dai paesi terzi.
Queste alcune delle ragioni che hanno indotto l’Unione a collocare la tratta di esseri umani tra i cd. “reati gravi a dimensione transnazionale” di cui all’art. 83 TFUE, per i quali Parlamento e Consiglio possono stabilire norme minime relative alla definizione delle condotte e delle sanzioni.
Sulla scorta di tale competenza, le predette istituzioni emanavano la Direttiva 2011/36/UE del 5 aprile 2011, meglio nota come Direttiva anti-tratta, che prevede regole minime con riferimento alle fattispecie di reato di tratta, alle sanzioni penali, alla responsabilità delle persone giuridiche, così come alcune disposizioni di carattere processuale per l’efficace perseguimento di tali condotte.
La Relazione che qui ci occupa consiste in un passaggio reso obbligatorio dall’articolo 20 della Direttiva, il quale, a fronte dell’onere di informazione in capo agli Stati Membri, contestualmente prevede che la Commissione ogni due anni presenti un rendiconto dei dati ricevuti.
Il testo reso quest’anno –il primo dall’entrata in vigore della Direttiva– è organizzato in due parti: una prima dedicata alle statistiche relative alla dimensione fenomeno, ed una seconda inerente ai risultati ottenuti dalle azioni anti-tratta intraprese dagli Stati Membri.
I dati raccolti nella presente Relazione si riferiscono al biennio 2013-2014.
1. Statistiche del fenomeno di tratta
Le statistiche raccolte riferiscono di un numero complessivo di “vittime registrate” (accertate o presunte) della tratta nel territorio dell’Unione pari a 15.846. Vi sono tuttavia fondati motivi di ritenere che la cd. cifra nera dei reati di tratta sia in realtà ben più alta.
Da una prospettiva squisitamente statistica, il primi cinque paesi dell’Unione in termini di cittadinanza delle vittime registrate sono Romania, Bulgaria, Paesi Bassi, Ungheria e Polonia. Invece, i primi cinque paesi terzi sono Nigeria, Cina , Albania, Vietnam e Marocco.
La fattispecie di reato di gran lunga predominante si mostra essere la tratta ai fini di sfruttamento sessuale, che colpisce il 67% delle vittime registrate. Nonostante i tre quarti dei casi riguardi individui di genere femminile, alcuni Stati hanno segnalato un aumento degli uomini tra le vittime, ed in ogni caso si registra un numero rilevante di minori (15%).
Al secondo posto si pone il traffico di esseri umani ai fini di sfruttamento del lavoro, che copre il 21% dei casi. Riguardo a questa tipologia, che vede il 74% delle vittime di genere maschile, gli Stati hanno dichiarato una tendenza delle organizzazioni criminali a sfruttare le lacune nell’attuazione delle normative sui visti e sui permessi di lavoro. Inoltre per un verso la crisi economica avrebbe aumentato la domanda di manodopera a basso costo, per altro verso il recente flusso migratorio avrebbe creato i presupposti per un aumento delle vittime di tratta.
Infine, il restante 12% delle vittime subisce altre forme di sfruttamento, quali l’accattonaggio forzato, lo spaccio di sostanze stupefacenti, il matrimonio forzato o fittizio, l’espianto di organi, e via dicendo.
Da un punto di vista generale, la Relazione denuncia l’aumento dei minori quali vittime del traffico. La facilità nel reclutarli e nel sostituirli, nonché -una volta di più- l’aumento dei flussi migratori, li renderebbero infatti ancor più facile preda delle organizzazioni criminali.
2. Risultati delle azioni intraprese dagli Stati
In questa seconda parte, la Relazione si sofferma anzitutto sugli strumenti di natura penale, rilevando da un lato che gli Stati Membri non si servono di strumenti investigativi sufficientemente efficaci, prevalentemente volti ad una attività di accertamento del singolo caso e senza una strategia sistematica.
Inoltre, le indagini finanziarie sono condotte allo scopo precipuo del recupero dei beni più che dell’eventuale condanna dei responsabili. Su questo specifico punto sono stati altresì riscontrati problemi pratici nel dare esecuzione ai sequestri e alle confische, oltreché nel rintracciare i proventi dei reati di tratta.
Sempre sulla base delle informazioni raccolte, un’ulteriore difficoltà deriva dal fatto che i trafficanti utilizzano strutture economiche legali, come ad esempio le imprese, per occultare le proprie attività illecite. Tale circostanza, ancorché la Direttiva anti-tratta preveda espressamente responsabilità e sanzioni in capo alle persone giuridiche (artt. 5 e 6), rende evidentemente più arduo per le autorità nazionali scoprire e reprimere le condotte di sfruttamento.
La Relazione rileva altresì la scarsa attenzione prestata dagli Stati con riguardo alle modifiche delle norme nazionali inerenti alle condotte di chi ricorre alle prestazioni delle vittime della tratta e ne trae beneficio. Solo la metà degli Stati infatti persegue e punisce tali comportamenti.
Tutto ciò rende un bilancio di azioni penali e di condanne piuttosto basso.
Nonostante questi dati attestino una tendenza negativa, alcuni Stati confermano comunque l’esistenza di iniziative volte a organizzare indagini congiunte ed istituire squadre investigative comuni, nonché un aumento della cooperazione a livello intraeuropeo.
Un diverso tipo di azione da parte degli Stati riguarda la protezione delle vittime dei reati di tratta. Sotto questo profilo, emergono difficoltà nell’identificazione, nell’assistenza e nel supporto di chi subisce gli atti di sfruttamento. In concreto infatti gli alloggi e le sistemazioni dedicati alle vittime sono spesso inappropriati, così come rimane basso il tasso di minori concretamente assistiti attraverso la nomina di tutori. Da ultimo, la Relazione rileva che nella maggior parte degli Stati, l’assistenza pratica delle vittime non è garantita dalle autorità pubbliche, ma da organizzazioni non governative.
Quanto infine all’attività di prevenzione a cui gli Stati sono tenuti (art. 18 della Direttiva), la Relazione riferisce che questi ultimi hanno intrapreso azioni di ampia portata, tra cui attività di formazione e campagne di sensibilizzazione, oltreché di formazione del personale operante in prima linea. Tale attività tuttavia risulta essere soltanto occasionale e non specializzata.
3. Conclusioni
Sulla base dei dati sinora descritti, ed in considerazione del bilancio non del tutto positivo, la Relazione conclude con una serie di indicazioni rivolte agli Stati per far fronte al fenomeno di sfruttamento di esseri umani.
In particolare, la Commissione esorta i Paesi Membri ad accrescere il numero e l’efficacia delle indagini e delle azioni penali, a lavorare al miglioramento della raccolta dei dati, a concentrarsi sulla identificazione, sulla protezione e l’assistenza delle vittime, a profondere sforzi maggiori nei casi di vittime minorenni.
Inoltre, tocca ai Paesi europei adottare piani d’azione nazionali per prevenire e contrastare la domanda che sostiene ed alimenta le forme di sfruttamento e per assegnare risorse appropriate per la lotta ai trafficanti.
Infine, la Relazione pone l’accento sulla necessità di un rafforzamento della cooperazione tra gli Stati attraverso la partecipazione regolare ai lavori della rete dell’UE, così come la ratifica di tutti gli strumenti internazionali e regionali pertinenti.
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. Roccatagliata, La Commissione UE pubblica la prima Relazione sulla lotta alla tratta di esseri umani. I risultati non confortano, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 6