Falso in bilancio e valutazioni, nota alle Sezioni Unite
in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 6 – ISSN 2499-846X
Con la sentenza n.22474 depositata il 27 maggio 2016, le Sezioni Unite hanno finalmente posto fine alla articolata querelle giurisprudenziale – nonché dottrinale – che aveva travolto tutti gli interpreti, studiosi di diritto penale dell’economia, in materia di falso in bilancio.
L’annoso contrasto ha preso le mosse dalla ultima modifica legislativa dell’art.2621 c.c., introdotta dall’art. 9, c. 1, L. 27 maggio 2015, n. 69. Nella nuova formulazione della disciplina penalistica delle false comunicazioni sociali (cd. falso in bilancio), rispetto alla previgente enunciazione di cui alla riforma del 2002 – in merito alla quale Cesare Pedrazzi intitolava lo splendido lavoro “In memoria del «falso in bilancio»” – l’oggetto dell’esposizione falsa è stato ridotto da “fatti materiali ancorché oggetto di valutazioni” a “fatti materiali”.
Sia l’aggettivo “materiali” (in realtà un retaggio di matrice anglosassone dei “material fact”, intesi come fatti rilevanti), che la rimozione della locuzione “ancorché oggetto di valutazioni”, che di converso non è stato espunto in altre parti dell’ordinamento, come ad esempio nell’art.2638 c.c. in materia di ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, hanno creato una profonda spaccatura tra coloro che ritenevano depenalizzati i cd. “falsi valutativi” e coloro, invece, che consideravano la novità legislativa sostanzialmente sul punto ininfluente.
Se, da un lato, la dottrina si è schierata sostanzialmente unanimemente con la seconda tesi, paventando una ulteriore riduzione dell’ambito delle false comunicazioni sociali in caso contrario – dal momento che, salvo poche eccezioni, tutte le voci del bilancio, per esempio, risulterebbero essere oggetto di valutazione -, totalmente in difformità con lo spirito della riforma del 2015, in giurisprudenza vi sono stati dei più marcati contrasti, tutti all’interno della Sez. V della Cassazione, che hanno portato al quesito rimesso alle Sezione Unite di cui alla sentenza in commento.
I precedenti giurisprudenziali abrogazionisti
Secondo le sentenze Cass. pen., sez. V, 16 giugno 2015 n.33774, Crespi e Cass. pen. Sez. V, 8 gennaio 2016, n.6916, Banca Popolare dell’Alto Adige, che hanno sottolineato l’importanza del dato letterale, la significativa incidenza dell’enunciato “ancorché oggetto di valutazione” avrebbe comportato una parziale abrogazione del reato di falso in bilancio con riferimento ai “falsi valutativi o estimativi”.
Si sarebbe verificata una autentica successione di leggi penali nel tempo con effetto abrogativo e l’esplicito riferimento ai “fatti materiali” starebbe a provare che il legislatore avrebbe voluto escludere dal perimetro delle repressioni penali le attestazioni conseguenti a processi intellettuali di carattere valutativo. E ciò anche sulla scorta della semplice applicazione del criterio dell’”ubi voluit dixit”, atteso anche che l’aggiunta del legislatore dell’aggettivo “rilevanti” riferito ai fatti materiali, sia indicativo della volontà di ridurre la portata normativa della norma incriminatrice.
Infine, il termine “materiali” dovrebbe essere letto come riconducibile alla stretta oggettività dei fatti e come tale escludente, pertanto, i fatti valutativi.
Il precedente giurisprudenziale conservativo
Diametralmente differente l’interpretazione data dalla Cass. pen. sez. V (tu quoque!), 12 novembre 2015, n.890, Giovagnoli, la quale, sposando un criterio ermeneutico di tipo storico sistematico, ha considerato la rimozione del sopracitato inciso come priva di conseguenze, dal momento che semplicemente atto a descrivere ad abundantiam la condotta di reato.
Partendo dall’art.12 delle Preleggi, la sentenza Giovagnoli evidenzia la natura concessiva del termine “ancorché”, il quale avrebbe unicamente finalità ancillare con funzione chiarificatrice e la cui soppressione lascerebbe intatta la norma incriminatrice. I falsi valutativi, a detta di tale pronuncia, possono continuare a considerarsi rilevanti, quando si pongano in contrasto con criteri di valutazione normativamente determinati, ovvero tecnicamente indiscutibili.
La rimessione alle Sezioni Unite e la risoluzione del contrasto
Al fine di risolvere tale inconciliabile contrasto giurisprudenziale in seno alla Sezione V della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 9186/2016 è stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto:
«se ai fini della configurabilità del delitto di false comunicazioni sociali, abbia tuttora rilevanza il falso “valutativo” pur dopo la riforma di cui alla legge n. 69 del 2015».
A questo punto le Sezioni Unite pervengono innanzitutto a una ricognizione della stratificazione normativa, partendo dal Codice del Commercio del 1982. Da questa ricostruzione storica, la Cassazione perviene alla ultima riforma della norma in esame, evidenziando come la legge 69/2015 avesse il dichiarato fine di tendere al ripristino della “trasparenza societaria” e di reintegrare una significativa risposta sanzionatoria ai fatti di falsità in bilancio, non ritenendo adeguato il previgente assetto repressivo. La ratio complessiva della riforma, pertanto, è da rinvenirsi nella veridicità e completezza dell’informazione societaria «sempre avendo come referente finale le potenziali ripercussioni negative delle falsità sulle sfere patrimoniali» degli stakeholders.
Rigettando una interpretazione abrogativa data dalla mera espunzione dell’inciso “ancorché oggetto di valutazioni”, gli Ermellini ampliano la propria sfera di cognizione all’intera disciplina societaria contenuta nel codice civile, dal quale il bilancio risulta essere un documento composito e complesso, la cui lettura e intelligenza presuppongono una specifica preparazione e il cui contenuto è essenzialmente valutativo. Il redattore di tale documento, pertanto, non può esimersi da esprimere valutazioni, che però debbono essere guidate dai criteri specifici. In sintesi, a detta delle Sezioni Unite, l’intera disciplina codicistica del bilancio presuppone e/o prescrive dei momenti valutativi e, per di più, ne detta specifici criteri, definendo un metodo convenzionale di valutazione.
Fatto materiale, quindi, non potrà essere interpretato come fatto oggettivo o a-valutativo e il sintagma “ancorché oggetto fi valutazioni” non può che intendersi in veste meramente concessiva, la cui soppressione risulta assolutamente irrilevante.
In conclusione, pertanto, risolvendo l’accennato contrasto giurisprudenziale, le Sezioni Unite hanno affermato il seguente principio di diritto:
«sussiste il delitto di false comunicazioni sociali, con riguardo alla esposizione o alla omissione di fatti oggetto di valutazione, se, in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, l’agente da tali criteri si discosti consapevolmente e senza darne adeguata informazione giustificativa, in modo concretamente idoneo ad indurre in errore i destinatari delle comunicazioni».
Come citare il contributo in una bibliografia:
L. N. Meazza, Falso in bilancio e valutazioni, nota alle Sezioni Unite, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 6