Il giusto processo di appello. La rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale tra giurisprudenza europea e ordinamento interno. (Tesi di laurea)
Prof. Relatore: Marcello Busetto
Ateneo: Università degli Studi di Trento
Anno accademico: 2014/2015
Questo lavoro si propone di condurre una riflessione critica sul processo di appello, con particolare attenzione alla disciplina contenuta nell’art. 603 c.p.p., al fine di interrogarsi sulla coerenza sistematica dell’istituto rispetto ai principi costituzionali e alle istanze provenienti dalla Corte EDU.
La presente riflessione muove dalla convinzione che il giudizio di secondo grado costituisca uno snodo processuale destinato a giocare un ruolo di fondamentale importanza per assicurare una decisione “giusta” in tempi ragionevoli; tuttavia, l’interpretazione maggioritaria di dottrina e giurisprudenza configura la rinnovazione dell’istruttoria – momento nevralgico deputato all’esercizio del diritto alla prova in appello – come un istituto di carattere eccezionale, avvallando un secondo giudizio “cartolare”, in cui il decidente attinge a un “materiale preconfezionato”.
La prima parte dell’elaborato si propone di vagliare la coerenza sistematica della disciplina contenuta nell’art. 603 c.p.p. sia rispetto ai caratteri del sistema accusatorio che informano il codice di procedura penale vigente sia avendo come riferimento i principi costituzionali in materia di “giusto processo”. Il quadro che si delinea è di uno strumento difficile da giustificare soprattutto dal punto di vista epistemologico: se infatti, a partire dalla riforma dell’art. 111 della Costituzione, il rispetto delle forme prescelte dal legislatore diviene garanzia per l’accettabilità degli esiti come giusti, la decisione che scaturisce da un giudizio condotto ex actis sconfessa il metodo del contraddittorio nella formazione della prova facendo assurgere la disciplina della rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ad indice di incoerenza sistematica.
Il dibattito interno peraltro assume rinnovata vitalità a seguito di alcune sentenze della Corte EDU, la quale, pur condannando Stati diversi dal nostro, ha censurato come violazione dell’art. 6 CEDU l’omessa rinnovazione della prova dichiarativa da parte del giudice di secondo grado, in quanto il diritto dell’imputato a confrontarsi con il testimone davanti al giudice chiamato per ultimo a decidere sulla sua colpevolezza è uno dei requisiti del fair trial in appello. Poiché a seguito dell’apertura al sistema convenzionale, l’interprete è chiamato a volgere il proprio sguardo oltre i confini nazionali, la seconda parte del lavoro si propone di delineare i presupposti ed i caratteri del diritto “convenzionale” alla rinnovazione della prova. Servendosi di un approccio casistico, che ha per oggetto il procedimento penale globalmente inteso, i giudici di Strasburgo elaborano una nozione convenzionale di immediatezza, plasmata sulla dimensione soggettiva e finalizzata a riaffermare le garanzie minime di un processo rispettoso dei diritti delle parti.
La copiosa produzione giurisprudenziale proveniente da Strasburgo bussa prepotentemente alle porte del nostro ordinamento, soprattutto delle Corte superiori, alimentando l’insofferenza nei confronti di un secondo grado di giudizio sempre più difficilmente giustificabile alla luce dei principi costituzionali e convenzionali. Nella terza parte, l’oggetto dell’analisi torna ad essere l’ordinamento interno; in particolare si indaga l’impatto della giurisprudenza di Strasburgo sull’ordinamento nazionale alla luce dei consolidati obblighi d’interpretazione conforme. I giudici nazionali sono stati infatti ripetutamente chiamati a vagliare la compatibilità della disciplina di cui all’art. 603 c.p.p. con i criteri ricavabili dal case-law europeo, per questa via instaurando un dialogo tra Corti nazionali e sovranazionali, non sempre pacifico, che sta ridefinendo per via giurisprudenziale il diritto alla rinnovazione dell’istruttoria in appello.